Maradona come Pina Bausch. Nessuno potrebbe dirlo meglio del settantasettenne scrittore francese Daniel Pennac, penna instancabile e ora anche protagonista di un documentario, Daniel Pennac: ho visto Maradona!, girato da Ximo Solano e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Un film bizzarro, un viaggio surreale in mezzo alla gente e per le strade di Napoli, tra vecchie signore che cantano "Ho visto Maradona" affacciate ai balconi del rione Sanità e le memorie di tre napoletani doc: Roberto Saviano, Maurizio Di Giovanni e Luciano Ferrara. L'obiettivo è quello di indagare l'impatto emotivo che la morte di Maradona ha avuto sulle persone. Non un film sul pibe de oro, ma su quel legame viscerale tra il calciatore e la città di Napoli, che Pennac identifica con "l'effetto Maradona" e che qui proverà a raccontare mettendo in scena uno spettacolo con la compagnia teatrale con cui spesso lavora come attore. La macchina da presa di Solano ne seguirà il processo creativo per circa venti giorni e le infinite connessioni tra Pennac, il mondo partenopeo e quell'uomo "tracagnotto" che, come dirà Saviano, "è stata l'unica promessa mantenuta per il Sud Italia".
L'effetto Maradona: un sogno, una compagnia teatrale e un dolore collettivo
Prima nelle interviste con la stampa, poi sul palco dell'incontro che segue la proiezione del film, Daniel Pennac è un fiume in piena. A partire dal racconto della rocambolesca genesi di Daniel Pennac: Ho visto Maradona!, quasi una sorta di miracolo per uno che al calcio non si è mai appassionato: "Le persone a cui il calcio non interessa sono pochissime, si contano sulle dita di una mano; me ne vergogno moltissimo ma faccio parte di queste quattro-cinque persone al mondo!". Poi la mattina del 25 novembre 2020 la notizia della morte di Maradona arriva anche a Pennac: "Certo, la cosa mi aveva reso triste, ma per me era una notizia tra altre mille", almeno fino a quando non avrebbe visto Demi, Pako, Ximo e Clara, quattro membri della sua compagnia teatrale, piangere disperatamente per la morte del campione argentino: "Sono sceso per bere un caffè e ho trovato gli attori napoletani della compagnia che piangevano e mi dicevano: 'Maradona è morto!'. Poi arriva la regista dello spettacolo e anche lei scoppia in lacrime. Erano tutti disperati e io cercavo di consolarli, mi trovavo lì con tre persone più o meno normali che si disperavano perché era morto un calciatore. Improvvisamente mi squilla il telefono, è Ximo Solano che mi dice: 'Daniel, Maradona è morto?'".
È a quel punto che gli viene l'idea di fare uno spettacolo in cui rappresentare le emozioni provate dalle persone che aveva visto disperarsi e piangere: "Mi sono detto che se quattro persone provano un'emozione simile perché è morto un calciatore, probabilmente quattro milioni di persone avranno la stessa impressione. Quello che mi interessava era l'effetto Maradona sul mondo, non è un film su Maradona, ma piuttosto sull'effetto Maradona". Ci tiene a ribadire che non si tratta di un documentario "sulla rappresentazione mitica che Pennac ha di Maradona. Non lo conoscevo affatto, forse potevo averlo visto su qualche manifesto, in qualche immagine televisiva, ma non ne sapevo assolutamente nulla". E ricorda un sogno quasi premonitore fatto la notte prima di quella mattina di novembre: "Passeggiavo in un giardino, c'era gente che si divertiva, mangiava e a un certo punto vedo una grande porta, la tocco, si apre e dietro trovo Stefano Benni, che con un bisturi in mano mi dice: 'Sto operando Maradona'. Era come se a livello subliminale fossi stato posseduto da Maradona".
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Maradona, capro espiatorio e ballerino-poeta
Nel corso del documentario Pennac lo definisce spesso "capro espiatorio" proprio come Malaussène, il protagonista dei suoi romanzi più famosi, perché in fondo, ammette, entrambi condividono "il senso della collettività. Maradona ha sempre avuto il ruolo del padre-fratello di famiglia, è una persona che si è occupata dei giovani e delle periferie proprio come Malaussène. Ambedue hanno saputo creare intorno a sé delle vere e proprie tribù", e tutti e due sono capri espiatori: "Basta ricordare gli striscioni che esponevano i tifosi delle altre squadre quando giocava o il pensiero di tutti i benpensanti alla sua morte. Hanno cominciato a dire: 'Ma in fondo si drogava e frequentava la mafia'". Per il resto precisa lo scrittore, sono completamente diversi: "Malaussène non ha mai giocato a calcio, e Maradona non ha mai letto molto".
Ma se nell'immaginario collettivo si rincorrono le immagini del mito, per Pennac Maradona è alla fine di questo viaggio un po' la Pina Bausch del calcio: "L'ho guardato giocare in occasione dell'allestimento dello spettacolo e ho scoperto che il calcio, sport che mi era totalmente estraneo, incarna la poesia. Ci sono degli sportivi che hanno il dono della grazia, è successo nella boxe con Cassius Clay ad esempio e nel calcio è capitato con Maradona; era un ballerino e un poeta, potremmo paragonarlo a Pina Bausch, anche se il suo fisico era tutto il contrario della poesia: era un uomo piccolo, un po' tracagnotto, più largo che alto, un cubo, eppure bastava che avesse un pallone tra i piedi per riuscire a trasformarsi in Pina Bausch. Era questo il suo miracolo". E di una cosa adesso è certo: "Di Maradona ce n'è uno solo, ed è nato la mattina in cui ha visto quelle persone piangere per la sua morte.
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