Recensione Perfect Life (2008)

L'ambiguità è sicuramente tra le cause principali della parziale illeggibilità dell'opera di Emily Tang Xiaobai e, insieme al ritmo fiacco, l'elemento che ha fatto storcere il naso a molti a Venezia.

Dalla Cina con torpore

Tra i film che hanno raccolto maggiori consensi da parte di critica e pubblico al sessantacinquesimo Festival del cinema di Venezia non si può certo elencare Perfect Life, diretto dalla giovane Emily Tang Xiaobai e presentato tra i "Film a sorpresa" della Mostra. A giudicare dall'esodo che c'è stato durante la proiezione e dagli scarsi e poco convinti applausi successivi, è evidente che si è trattato di una brutta sorpresa. La vicenda coinvolge due donne, la ventunenne Li e Jenny, non più giovane, divorziata e con due bambine a carico. Entrambe si trasferiscono a Shenzen - la prima proveniente dalla periferia, la seconda da Hong Kong - ed entrambe cercano di dare una svolta alla propria esistenza. Li abbandona il posto di lavoro in una fabbrica di gambe artificiali e, dopo il trasloco, diventa fattorina di un albergo nel quale conosce un uomo privo di una gamba che le dice di essere un produttore di spettacoli in cerca di nuovi talenti. Jenny si dibatte tra mille problemi professionali e sentimentali, perennemente tormentata dall'ex marito...

Non è facile capire cosa non vada in questa sorta di "docu-fiction", come lo hanno definito alcuni: la sensazione di dejà vu è perennemente dietro l'angolo, a tratti il film risulta ostico, in altri momenti è talmente scontato da apparire ingenuo e soprattutto la noia domina incontrastata su tutto. Fa parte di quel cinema indipendente che, in cerca di uno sbocco creativo, tenta nuove strade e, come spesso accade, lo fa attraverso il mix dei generi: melò, dramma on the road e neorealismo in certi punti quasi documentaristico si mescolano tra loro. La regista ci aggiunge una punta di grottesco che vorrebbe arricchire il testo di significati, ma come effetto ha solo quello d'infastidire lo spettatore. L'uso massiccio della macchina a mano sottolinea il taglio da documentario della pellicola, anche se di frequente sono adottate soluzioni tipiche di un linguaggio cinematografico più classico.

Caratterizzato da un'atmosfera soffocata (almeno quella è riuscita), Perfect Life è inoltre difficile da catalogare per i frequenti cambi di direzione che sembra prendere: la sceneggiatura ha una struttura spezzata, quasi sincopata, i momenti dedicati a Jenny sono pochi in relazione allo spazio lasciato al personaggio di Li. A questo proposito colpiscono sicuramente le difficoltà che s'incontrano nel tentativo di distinguere con certezza i livelli della narrazione (!) e nel capire che rapporti intercorrano tra essi, cioè se esista o no un fil rouge che li leghi in qualche modo. Li e Jenny sono la stessa persona? La seconda è forse la proiezione della prima nel futuro? O sono entrambe due semplici donne fotografate in un attimo difficile della loro vita? Questa ambiguità è sicuramente tra le cause principali della parziale illeggibilità dell'opera di Emily Tang Xiaobai e, insieme al ritmo fiacco, l'elemento che ha fatto storcere il naso a molti a Venezia. Per contro, lasciano un'impressione positiva le notevoli ambientazioni, capaci di comunicare più di qualsiasi altro elemento del film. Esterni umidi ed inquinati ed interni chiusi e quasi claustrofobici, che respingono ed affascinano allo stesso tempo per la loro autenticità e l'aria di vissuto con cui si presentano. Non si può certo dire che la regista non abbia senso estetico e non sappia sfruttare gli spazi che ha a disposizione. Dispiace dire che le sue capacità, almeno per quanto concerne questo lavoro, si fermino alla perizia scenografica, senza andare troppo oltre.