Recensione Il console italiano (2011)

All'opera di Falduto si deve tutto il rispetto che un soggetto del genere, il traffico di esseri umani, merita, tuttavia ci troviamo di fronte ad un lungometraggio non perfettamente compiuto dal punto di vista cinematografico.

Cuori di tenebra

Giovanna Bruno è il console italiano a Cape Town in Sudafrica. Prossima al ritorno in Italia, l'energica e distinta signora, sopravvissuta ad un tumore che l'ha spinta a riconsiderare tutta la sua vita, deve fare i conti con un ultimo difficile caso, la sparizione di un reporter italiano, Marco Borghi, a cui è stata legata per qualche tempo. Ignorando il fatto che Giovanna e Marco avessero avuto una relazione, terminata per volontà della donna nel momento della scoperta della malattia, la fidanzata dell'uomo, Palesa (Lira Molapo), implora il diplomatico di darle una mano nella ricerca del compagno. Accomunate dal sentimento per Marco, scomparso nel bel mezzo di un'indagine giornalistica sul traffico umano, di cui Palesa per prima è stata vittima, Giovanna e la ragazza si mettono sulle tracce dell'uomo. Arrivano fino alla Namibia, luogo in cui assistono all'imbarco clandestino di un gruppo di donne schiave, legate ad una fantomatica agenzia di modelle gestita dall'ambigua signora Forbara (Anna Galiena). La resa dei conti è ormai vicina e in una notte concitata ogni pezzo del puzzle troverà finalmente la sua collocazione.


Dietro al progetto del film di Antonio Falduto, Il console italiano, distribuito da Movimento Film con particolare attenzione alle arene estive, c'è una lunga storia di tragedie e privazioni; quelle a cui vengono sottoposte le donne vittime del traffico di esseri umani, un business che frutta ogni anno migliaia di euro ad organizzazioni criminali nascoste dietro ad attività legali, quindi difficilmente perseguibili. Provenienti in maggior parte dall'Africa, queste donne destinate alla prostituzione raramente riescono a liberarsi dal giogo degli aguzzini e, quando ciò avviene, quasi mai il sogno si realizza senza aver superato indicibili sofferenze. All'opera di Falduto, esperto documentarista e sceneggiatore (suo lo script di Gangor di Italo Spinelli) si deve dunque tutto il rispetto che un soggetto del genere merita. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un lungometraggio non perfettamente compiuto dal punto di vista cinematografico.

Nel complesso sufficiente, con alcuni momenti dal forte impatto visivo, come la corsa nel deserto delle schiave liberate che apre e chiude la pellicola, e altri più divertenti (la spedizione punitiva delle donne della township nei confronti del marito violento di una di loro) il film non trova quell'ampio respiro che sarebbe servito a far arrivare al pubblico con maggiore incisività l'istanza di cui si è fatto portatore; quasi schiacciato dall'importanza del tema trattato, un filo rosso che a fatica trova un adeguato sviluppo nella sceneggiatura (scritta a quattro mani con Akida Mohamed), puntellata da battute fuori luogo e da situazioni al limite del paradossale, Il console italiano diventa un prodotto 'esotico' che poco dice (nel profondo) di una realtà sociale e politica complessa come quella del Sud Africa. Sarebbe bastato raccontare la stessa storia di amicizia-rivalità tra due donne segnate dal dolore in un altro contesto, meno lontano, più conosciuto, quindi meglio padroneggiato. E' però la mancanza di ritmo il difetto principale di un lungometraggio più adatto, come tempi del racconto, ad una programmazione televisiva. Se l'opera si lascia guardare è soprattutto per l'intensa prova della protagonista, Giuliana De Sio, brava a non enfatizzare il suo personaggio e a regalare umanità all'alter ego artistico.

Movieplayer.it

2.0/5