Una delle gioie del nostro lavoro è poterci confrontare con chi lavora dietro le quinte e si impegna per portare sullo schermo le opere di cui parliamo. Una soddisfazione ancora più importante quando si ha a che fare con cineasti indipendenti, il cui cammino è mosso da grande passione e sacrifici, come è accaduto alcuni giorni fa con Christian Bisceglia, sceneggiatore e regista, insieme ad Ascanio Malgarini, di Cruel Peter, il film horror disponibile in esclusiva su RaiPlay dal 21 maggio (ma in piattaforma è presente anche la loro prima opera, Fairytale, un'altra fiaba gotica con diversi punti di contatto con il nuovo lavoro).
L'abbiamo raggiunto a casa, come capita di frequente negli ultimi tempi, per farci raccontare proprio le difficoltà di mettere in piedi un film di questo tipo, "con un budget limitato, ma l'ambizione importante di tornare a commercializzare i nostri film all'estero. Non siamo ancora preparati come cinema" ci ha detto Bisceglia, "ma bisogna iniziare a farlo e noi l'abbiamo fatto da indipendenti, che è ancora più problematico."
La nascita di Cruel Peter
Partiamo dalla genesi del progetto: come nasce questa idea di un bambino cattivo che dà il via alla storia?
Prima di questo progetto avevamo fatto un film, Fairytale, che parte da Latina e la sua fondazione, che potesse in qualche modo sfruttare le qualità della società che aveva Ascanio che si occupava di computer grafica. Quindi cercare di fare un horror a costo contenuto, ma con degli elementi di spettacolarizzazione che potesse aumentarne il valore percepito. È stato il motivo per cui il film, oltre all'interesse per la storia, è stato venduto bene. L'idea era di raccontare una storia italiana all'interno di una struttura narrativa che era tipicamente inglese, diciamo tra l'inglese e il giapponese, quello che a entrambi piace, anche se abbiamo competenze diverse e per questo lavoriamo bene insieme. Con Cruel Peter abbiamo cercato di fare altrettanto: è un film che è nato soprattutto da un luogo, che è questo cimitero di Messina, e ci ha permesso di completare questa sorta di gemellaggio, visto che lui vive a Latina e io sono messinese d'adozione. A Messina c'è questo cimitero fantastico che è un luogo che è rimasto cristallizzato a quel 28 dicembre 1908, ovvero un cimitero molto ricco di una città che era molto ricca. È rimasto così, com'era, ed è molto affascinante perché c'è l'aspetto gotico, visto gli Inglesi erano moltissimi nella città di Messina. C'era una fortissima comunità inglese perché il porto era molto importante e gli Inglesi praticamente avevano tutte le licenze portuali e il loro impero era il più grande del mondo. Si sente molto il fascino di quel gotico inglese unito a quella parte esoterica che ha la Sicilia, molto forte e legata alla sua terra. È un luogo unico. Quindi siamo partiti da quello ed è venuta l'idea di volere raccontare la storia di un bambino bullo, che nasce dalla fascinazione che abbiamo nei confronti del mondo dell'infanzia, che è un archetipo all'interno delle fiabe horror. Così è nato Peter, figlio di una ricca famiglia inglese, ispirato anche a dei racconti di uno psichiatra tedesco che si chiama Hoffman, a cui dobbiamo il nome della famiglia. Non so se ti ricordi le sue storie, c'era Pierino Porcospino per esempio, e tra queste c'era una poesia che si chiama Cruel Frederick. La poesia che usiamo è una traduzione adattata di Mark Twain, una citazione letteraria importante. Insomma è la fusione di questi due aspetti.
Cruel Peter, la recensione: Folklore italiano e ambizioni internazionali
Ho apprezzato molto tutto l'aspetto visivo del film, tutta la costruzione visiva, la fotografia, i movimenti di macchina, la composizione della scena, che mi sono sembrati insieme classici e moderni. Da cosa siete partiti per definire come doveva apparire il film?
Volevamo fare una ghost story molto classica, e lo è nello sviluppo della trama, quindi anche seguire gli archetipi della ripresa. Parallelamente, però, abbiamo cercato in color, con Duccio Cimatti e Ascanio che sono gli esperti da questo punto di vista, di riprendere quei colori che i pittori inglesi alla fine della nuova ondata romantica usavano, quando veniva in Sicilia a riprendere la parte neoclassica e usavano quel tipo di luci tra i chiaroscuri, che allora affascinavano molto. Un mondo di morte che non c'era più, ma al tempo stesso dare dei colori, di giallo e di arancione, che erano tipici della Sicilia. È stato fatto un lavoro di ricerca in questo senso: mentre con Fairytale abbiamo approfittato delle strutture razionaliste di Latina per isolare i protagonisti e rendere la storia ancora più tetra, raffreddando le luci, qui abbiamo accentuato i neri e riscaldato il giallo e il rosso per creare riferimenti pittorici che richiamassero quel mondo.
Ho apprezzato anche l'attenzione rivolta al sonoro, mi racconti un po' come avete lavorato su effetti e musica?
Io e Ascanio ci dividiamo i compiti e questo è un aspetto che seguo di più io. Avevamo una protagonista sordomuta, quindi abbiamo cercato di affrontare anche il mondo del silenzio, che è un mondo di pre-morte, di suoni ovattati. Con Luca Balboni, il musicista, volevamo inizialmente creare una musica un po' barocca, ma poi abbiamo sottratto tanto, perché abbiamo visto che il gioco del silenzio era più importante per far sì che non fosse né troppo povero di suoni come un mockumentary, né troppo carico, lasciando spazio a quello che raccontavano gli attori dei personaggi e della loro storia.
Ambizioni internazionali
Ci racconti anche qualcosa su casting? Come avete scelto gli interpreti per i vari ruoli?
Per il cast inglese abbiamo fatto un casting regolare con una società londinese che ci ha permesso di trovare Henry Douthwaite e Rosie Fellner, che è un'attrice con un'ottima esperienza e con una continuità di lavoro in Inghilterra molto solida. E poi il bambino, Aran Bevan, che si prestava all'idea di cattivo che avevamo in mente, anche se in realtà si tratta di un ragazzino estremamente buono. La grande sorpresa è stata Zoe Nochi, che regge sulle spalle gran parte del film e ha imparato il linguaggio dei sordomuti in inglese in brevissimo tempo, pur essendo italiana. Regge il film sulle sue spalle e per avere 14 anni ha dato una dimostrazione di grande talento. Poi abbiamo pescato molto in Sicilia, come per Katia greco, Biagio Pelligra, Claudio Castrogiovanni e Aurora Quattrocchi, insomma dalla grande tradizione del teatro e cinema siciliano recente. Messina ci ha garantito un buon bacino di talenti, che è importante quando giri un horror: sono film molto più spericolati rispetto ad altri e c'è bisogno di una dedizione maggiore e vuoi essere anche circondato da quel margine di protezione che determinati attori possono darti in certi momenti. C'è stata grande dedizione, perché girare la notte, in un cimitero... non sono mai situazioni semplici.
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Hai fatto riferimento alle ambizioni internazionali e si nota in questo film anche rispetto al precedente. Un'ambizione che anche il casting conferma, perché andare a prendere anche degli attori internazionali indica il voler superare i confini del nostro paese già dalla genesi del progetto. Quanto è difficile raccontare una storia italiana che però sappia coinvolgere anche un pubblico internazionale?
La sfida è stata questa. Ho cominciato facendo un film, non so se particolarmente riuscito o meno, solo dopo è nata la società, se così possiamo chiamarla, con Ascanio Malgarini. In quell'occasione ho capito che non era quello che volevo fare e che c'era una spazio molto limitato di espressione all'interno del nostro cinema. All'epoca Ascanio lavorava soprattutto come regista pubblicitario e collaborava con Anthony Lamolinara che era premio Oscar per gli effetti di Spider-Man di Sam Raimi, e vedevo questi ragazzi che si rapportavano all'estero con una grande facilità, quindi se la nostra pubblicità e quel tipo di lavoro poteva essere esportato, forse si potevano raccontare anche storie nostre in lingua inglese. L'ambizione è stata questa, di tornare a vendere i nostri prodotti all'estero, ma non solo i prodotti, proprio la nostra cultura in un modo diverso, perché il mondo cambia e non possiamo restare ancorati al passato, vanno trovate strade nuove. Noi ci abbiamo provato da indipendenti, ed è molto più faticoso, anche se abbiamo avuto il supporto di grossi distributori internazionali. Siamo stati il primo film a uscire alla riapertura delle sale in oriente, siamo stati settimi al boxoffice in Taiwan, siamo entrati nella top 10 Netflix, forse il primo film italiano tra gli show più visti. E questo pur essendo un film normale, quindi gli spazi ci sono. E ci piacerebbe che ci fosse continuità rispetto alla nostra esperienza o altre come quella di Alessio Liguori, che con Shortcut ha ottenuto ottimi risultati. Vorremmo consolidare queste esperienze, confrontarci con gli altri colleghi e trovare un modo per fare sempre meglio, per continuare su questa strada e continuare a raccontare storie italiane che siano vendibili all'estero.
Forse in questo momento può essere più semplice con l'aumentare delle piattaforme streaming?
Purtroppo continuo a dirti che non è facile, ma spero che il nostro mercato diventi più ricettivo. Perché veniamo da un film che è costato 200mila euro ed è stato venduto il 67 paesi, i film italiano più venduto dopo La grande bellezza e La miglior offerta di Tornatore, e ti aspetti che i produttori vengano a cercarti per questi risultati ottenuti. Questo non è successo, quindi capisco che c'è molto da fare in termini di scouting e di confronto. Noi stiamo cercando di collaborare e di parlare con gli altri registi e autori, perché questo sistema va cambiato per evitare di fare storie sempre più autoreferenziali. Non dico che siamo noi la chiave, perché non siamo un Baggio o un Pirlo, ma forse basta essere un Gattuso.
Sia guardando Cruel Peter che Fairytale avrei pensato a un budget più corposo.
Abbiamo la fortuna da un lato di avere una società di produzione che si occupa di effetti digitali, e questo ci permette di contenere i costi, dall'altro l'esperienza di Ascanio nel costruire quelle scene che hanno molto colpito il pubblico internazionale, come la pioggia dei vetri, l'incidente con la macchina. Con le sue qualità di uomo di marketing e pubblicitario, Ascanio è abile in questo. È anche un designer e ha una visione molto chiara di quello che può colpire. Poi ci sono le scene più tradizionali, campo e controcampo, in cui si ottimizza la spesa.
L'attenzione alla storia italiana
Nel background di Cruel Peter c'è il terremoto di Messina del 1908, Fairytale invece parte dalla bonifica della palude pontina. Da cosa deriva questa attenzione, o forse un po' ossessione, per il passato del nostro Paese?
Forse perché siamo un Paese che tende a dimenticare e a seppellire qualunque tipo di memoria. In questo senso Messina è una città straordinaria, è come se avessero dimenticato il terremoto, però aleggia sempre come giustificazione. C'è la rimozione di questo dramma infinito, perché comunque quando perdi l'ottanta per cento della popolazione è una catastrofe come Nagasaki e Hiroshima, però mentre a Nagasaki e Hiroshima l'idea della bomba comunque resta, e diventa frutto diventa il frutto di memoria collettiva, qui questa cosa qui rimossa. La storia italiana ci ci insegna quanto siamo bravi a rimuovere a dimenticare. Non è solo una metafora politica, perché tendiamo anche a dimenticare la bellezza che abbiamo. Sei del sud come me e sai quanto la bellezza venga oltraggiata. Non si tratta di fare una cartolina, ma ci sono degli spunti molto belli legati alla nostra cultura al nostro folk alla nostra tradizione. Mi ricordo i miei nonni e genitori che del folk si interessavano, mentre ora sembra che quasi tutto venga dimenticato. Noi non vogliamo farlo, perché ci affascina e perché ci divertiamo a scoprire.
Ci sono già altri spunti che avete individuato per eventuali progetti futuri?
In particolare stiamo sviluppando una serie con Endemol Shine Italia e Israele che racconta momenti del passato e uno sviluppi su luoghi che amiamo molto, che sono il viterbese, l'Etruria, Roma, che sono estremamente esoterici e carichi di passato. Un'altra storia di cui non posso parlare si svolge in Puglia, che pure ha una grande tradizione di presenze, che sono quelle che interessano al mondo. Basta guardare all'horror recente per vedere che ci sono storie spagnole e americane che si concentrano su questi aspetti. Noi continuiamo ad andare in quella direzione, visto che il nostro paese è ricco di queste storie perché era il centro del mondo.
E ha perfettamente senso, d'altra parte anche il Giappone attinge alla loro tradizione culturale per questo tipo di storie.
Per loro i fantasmi sono cose serissime, che esistono veramente, e se ci pensi anche al Sud ancora adesso nelle vecchie generazioni i fantasmi sono reali. I fantasmi, le presenze, le apparizioni, i Santi che fanno miracoli, sono tutte cose che possono essere interpretati anche in chiave oscura. L'horror è il genere più antico del mondo del cinema, perché l'uomo sperimentava nel vedere il sé mostruoso, aveva la necessità di separarlo da sé e metterlo davanti alla macchina da presa. L'horror è molto interessante sia in chiave storica che psicanalitica.