Crialese e il suo Terraferma approdano al Lido

A Venezia è il giorno di Terraferma, primo film italiano in concorso diretto da Emanuele Crialese che torna al Lido dopo il successo di Respiro e Nuovomondo. E su un argomento così delicato come quello degli sbarchi degli immigrati non sono ovviamente mancate le polemiche.

Una storia sospesa tra realtà e mito, che narra una vicenda di uomini e donne alla ricerca della propria Terraferma in un'Italia ancora saldamente ancorata a vecchie tradizioni e a lavori che ormai hanno fatto il loro corso e stanno scomparendo. Nonostante non sia palesemente un film sull'immigrazione, ma sulle tradizioni, sui valori umani e sulla voglia di un futuro migliore in un mondo in cui per sognare si deve aver coraggio di andare, il film ha scatenato molte polemiche durante la conferenza stampa, soprattutto per il modo aspro in cui nel film viene rappresentata la figura dello Stato.
Uno dei più famosi attori siciliani, il 'puparo' Mimmo Cuticchio, interpreta Ernesto, un pescatore di settant'anni che vorrebbe fermare il tempo ed evitare di rottamare il suo vecchio peschereccio, suo nipote Filippo, interpretato Filippo Pucillo, ne ha venti, ha perso il padre in mare e non sa ancora quale strada percorrere, sospeso tra il volere del nonno e l'attività prolifica dello zio Nino, un bravissimo Giuseppe Fiorello, che ha smesso con i pesci per buttarsi sui turisti, aprendo uno stabilimento balneare piuttosto pittoresco. L'unica a voler abbandonare quella che è stata la sua Terraferma per decenni è Giulietta, che ha il volto di Donatella Finocchiaro, la madre di Filippo, giovane vedova che l'immutabile condizione dell'Isola ha reso straniera, una donna decisa a fuggire per dare sia a lei stessa che al figlio un'altra possibilità. Come per gli immigrati dunque, cominciare una nuova vita per i Fucillo significa muoversi, andare via. Le loro vite vengono però sconvolte quando il mare fa arrivare con le sue onde verso l'isola altri viaggiatori, una donna incinta e un bamino in particolare, disperati che cercano di approdare sulla Terraferma dall'Africa. E' in quel preciso momento che l'antica legge del mare va a cozzare con la nuova legge degli uomini e che tutti loro dovranno per forza di cose cambiare rotta.
Il cast al completo, insieme allo sceneggiatore Vittorio Moroni, al produttore Riccardo Tozzi di Cattleya e al regista Emanuele Crialese ha presentato al Lido il film, molto applaudito in sala dalla stampa. Assenti Claudio Santamaria, cui è toccato lo scomodo ruolo del finanziere dispotico, e Timnit T., la ragazza che nel film interpreta Sara, la donna venuta dal mare che partorirà la sua seconda figlia proprio sull'isola, una donna che nella vita reale ha vissuto la stessa esperienza del suo personaggio.

Quanto ha influito la cronaca sulla direzione del film durante la scrittura? Che rapporto c'è stato durante la lavorazione tra il presente vissuto dal nostro Paese e la fiction?
Emanuele Crialese: La cronaca che leggevamo sui giornali in quel periodo rappresentava per noi un po' tutto quello che sapevamo di dover mettere nel nostro film, è stata una grande fonte di ispirazione, tutte le notizie che raccoglievamo al riguardo venivano messe in un bagaglio da usare per trasformare e raccontare una storia che uscisse dai canoni televisivi e documentaristici.

Nel film hai costruito personaggi fortissimi, su tutti la mamma di colore, che purtroppo oggi non è qui. La scelta di un personaggio reale come lei rappresenta la realtà che impatta sulla rappresentazione, come l'hai convinta a entrare nel cast?
Emanuele Crialese: Era l'agosto 2009 e mentre tornavo da Lampedusa a Roma è uscita la notizia di uno sbarco tragico nei pressi dell'isola, si trattava di un'imbarcazione rimasta alla deriva per tre settimane con settantanove persone a bordo, di cui settantatre morti e quattro sopravvissuti, tre uomini e Timnit. Il suo volto mi ha colpito al cuore quando ho aperto il giornale, sono rimasto come ipnotizzato, il suo era il volto di una donna che ha visto l'inferno. Ricordo che c'erano persone che arrivavano vicino alla sua barca per portare acqua e cibo, poi si allontanavano di nuovo. Per lei tutto era a portata di mano, ma era come se ci fosse un limite invalicabile che non poteva essere superato.

Com'è avvenuto l'incontro?
Emanuele Crialese: Per lei essere arrivata in Italia significava aver toccato il paradiso, poi sono passati dei mesi e io tramite Laura Boldrini (portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ndr.) sono riuscito ad incontrarla. Noi cercavamo dei personaggi e i volti giusti, ma cosa volevamo veramente? Solo attori o anche persone che hanno vissuto veramente questa esperienza da entrambe le parti? Timnit e Filippo sono la risposta a questa domanda.

Ci sono state difficoltà per lei nel capire esattamente dove si voleva arrivare con il film?
Emanuele Crialese: Lei non voleva raccontare la sua storia personale, era come se volesse creare una separazione tra la sua vita prima dello sbarco e quella futura, non ha voluto fornirmi dettagli sulla sua esperienza. A quel punto le ho chiesto di rinventare insieme a me una storia nuova, proponendole quella che avevo scritto io e chiedendole di correggerla dove pensava che io avessi sbagliato. Ho potuto farlo perchè a quel punto la sceneggiatura ci permetteva un margine di libertà ancora molto ampio. E' una donna dal volto molto espressivo, una grande dignità ed è sempre sorridente ed ha una grande voglia di dimenticare. Lavorare con lei è stata una grande lezione di vita per me.

Il film punta molto sulla distanza tra le leggi dello Stato e le leggi degli uomini, c'era l'intenzione da parte tua di rappresentare la confusione morale che stiamo vivendo e la violenza che nasce dagli insegnamenti repressivi del nostro governo?
Emanuele Crialese: E' un dato di fatto, la legge dello Stato va contro i doveri morali del mondo civile, lasciar morire le persone in mezzo al mare è un segno di grandissima inciviltà, una barbarie assurda. Ci bombardano di notizie in tv e sui giornali e a volte non ci rendiamo nemmeno più conto della tragedia che c'è dietro a questi sbarchi della disperazione, ci facciamo scivolare tutto addosso. E' un problema di direzione morale, il mio pescatore la rotta non l'ha mai persa ma la maggior parte delle persone oggi in Italia sì. Si parla di nord, sud, est e ovest, si etichettano queste persone con un aggettivo orribile che è 'clandestino', così in Italia i media definiscono la tragedia che sta esplodendo nel nostro mare, e la responsabilità dello Stato e di un certo tipo di informazione è grandissima.

Perchè secondo te proprio gli italiani, che sono un popolo di migranti, troppo spesso dimenticano loro origini?
Emanuele Crialese: Francamente non so cosa pensino gli italiani, non so chi siano gli italiani veramente, non so rispondere a questa domanda anche se in realtà me la pongo spesso anch'io. Ci sono italiani e italiani, a volte penso che l'italiano abbia più paura dello straniero di affrontare questo tipo di problemi, forse proprio perchè si sente protetto dalla sua identità e ha paura dell'altro. In Europa siamo gli unici ad aver tirato su una barriera nei confronti delle contaminazioni, considero l'Italia come un paese un po' vecchio, penso che ci sia bisogno di aria nuova e di un cambio netto di rotta. I nostri politici non sono solo parassiti, molti di loro sono bravissimi, persone preparatissime che sono convinto possano aiutarci a superare il momento difficile che stiamo vivendo.

Nel suo film c'è un grosso equivoco perchè in Italia non c'è alcuna legge che vieta ai pescatori di salvare le persone dalle grinfie del mare, la legge vieta di nascondere questi salvataggi alle autorità...
Vittorio Moroni: Io credo che non ci si debba fossilizzare su questo aspetto, il film si muove su un altro livello, abbiamo capito che avevamo il dovere di riferirci più che altro allo stato d'animo che quella impostazione suggerita dallo Stato stava generando nelle coscienze delle persone, il film non si occupa di questi dettagli ma di quale sia l'organizzazione morale della gente nei confronti di questo argomento.
Emanuele Crialese: Sequestrare pescherecci ai pescatori che salvano i dispersi in mare con l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina è la cruda realtà con cui dobbiamo fare i conti, si scatena un meccanismo di paura che va a modificare l'istinto umano di fratellanza e accoglienza.

Perchè non si nomina mai Lampedusa ma hai scelto di chiamarla semplicemente 'isola'?
Emanuele Crialese: Volevo che fosse un'isola immaginaria perchè quella di Terraferma è una storia che potrebbe aver luogo in qualsiasi punto del mondo, su questo aspetto puntavo moltissimo. Altrimenti sarebbe stata sempre la stessa Lampedusa mentre volevo che fosse semplicemente una storia italiana.

Cosa ne pensano i produttori? E' un film che potrebbe avere un futuro internazionale?
Riccardo Tozzi: Il film ha una co-produzione francese e siamo sicuri che avrà una diffusione molto ampia visto anche quel che è accaduto con gli altri film di Emanuele. Vorrei sottolineare che questo è un film non un saggio sulla politica o sull'immigrazione, quella di Terraferma è una storia che tocca due grandi temi, l'accoglienza e il respingimento, non c'è un buono e un cattivo ma dentro oguno di noi ci sono entrambe le cose, si vuole solo interpretare con uno stile favolistico una storia sociale di grande contemporaneità. Alla fine siamo un po' tutti poliziotti e pescatori.

Com'è stata l'esperienza sul set per una siciliana doc come Donatella Finocchiaro?
Donatella Finocchiaro: Il personaggio di Giulietta rappresenta questa lotta tra l'accoglienza e l'ostilità, il suo progetto di fuga si scontra con il viaggio di questa donna disperata che il mare ha portato, una donna che ha appena partorito una bambina grazie al suo aiuto. Tra le due si crea un legame molto forte, uno scambio emotivo e il fatto di lavorare con Timnit mi ha regalato momenti molto forti sul set, molto potenti emotivamente. E' stato un sogno che si è avverato quello di lavorare con Emanuele, un regista che ha dipinto la mia terra in un modo unico che raramente altri registi hanno saputo trovare.

Per un attore esperto come Mimmo Cuticchio cosa ha rappresentato Terraferma?
Mimmo Cuticchio: Interpreto il ruolo di un vecchio pescatore che sembra che difenda dei valori arcaici e andare contro corrente, invece Ernesto è un uomo che porta dei valori saldi dentro di sé, morali ed etici, i valori di un mestiere e la pazienza di andare tutti giorni in mare. Valori che anche oggi dovremmo ritrovare tutti a discapito di cose che in realtà sono molto meno necessarie.