Essere parte di un team non significa solo condividere la propria quotidianità, spartendo con altri sogni e dolori, perdite e vittorie. Essere parte di un team significa elevarsi a componente essenziale di un solo corpo, arto imprescindibile di una macchina perfetta che si muove all'unisono, in perfetta armonia. Ma come ogni corpo, capita che qualcosa attenti al proprio perfetto funzionamento, distaccandosi e distruggendo il lavoro armonioso di movimenti e pensieri che in esso si compie. Una frattura dell'osso, una ferita dell'epidermide, e la macchina si inceppa, i suoi ingranaggi si bloccano, e tutto deve ripartire, imparare a funzionare di nuovo.
Come sottolineeremo in questa recensione dei primi due episodi di Corpo Libero, la serie televisiva diretta da Cosima Spender e Valerio Bonelli (in arrivo su Paramount+ dal 26 ottobre e presentata ad Alice nella Città) scava tra gli inframezzi di un'ambizione incancrenita, e un'empatia sclerotizzata; un universo femminile dove il sentirsi parte di un tutto si tramuta in un gioco alla distruzione interna, tra scherno e tossicità. Filtrata dalla cinepresa dei due registi, la ginnastica artistica si fa strumento sostitutivo di una distruzione psicologica messa in campo da chi ti dovrebbe supportare; una serie di pugnalate invisibili, ma letali, che porteranno alla realizzazione fisica di minacce tradottesi in un omicidio. E così quel corpo unico, libero di volare, si spezza, disunito, facendosi portatore di morte e sospetti, tradimenti e ricordi omertosi.
Corpo libero: la trama
Per una ginnasta ci sono momenti unici, eventi che possono cambiarti la vita e dare una svolta alla carriera. Per le protagoniste di Corpo libero quell'attimo si gioca tutto nell'arco di una settimana: una settimana dove, nei presso di un Abruzzo innevato, si disputano i tornei invernali e con essi una possibile convocazione nella squadra olimpica. E così, nell'arco di sette giorni, le rivalità si faranno ancora più feroci, le relazioni ancora più complesse fino a sfociare in un probabile omicidio ai danni di una delle partecipanti.
Mente distrutta in corpore dilaniato
Le parole fanno male, possono essere coltelli affilati, colpi più dolorosi di un corpo che cade per un esercizio sbagliato, o una trave mancata. Le parole sono echi che si fanno padroni della nostra mente, ritornelli dilanianti che riecheggiano, allentandoci dal cibo, spingendoci più in là dei nostri limiti. Il mondo dello sport vive di competizione, ne assorbe ogni particella riflettendola in ogni movimento, ogni sguardo. Può trattarsi di competizione sana, amichevole, oppure morbosa, nefasta, pronta a innestarsi negli inframezzi del pensiero, modulando il carattere, costruendo un alter-ego diabolico, pronto a tutto nel nome di una vittoria. In Corpo libero la squadra della Vis Invicta si fa specchio di una gioventù perennemente in ansia, fragile e bersaglio di ingiustizie e insicurezze. Un riversamento psicologico ed emotivo compiuto con semplicità e poca retorica sia dai due registi, che dal team di sceneggiatori comprendente Chiara Barzini (Arianna), Ludovica Rampoldi (Gomorra - La Serie), Giordana Mari (1992) e la stessa autrice del romanzo Ilaria Bernardini. Carla, Martina, Nadia, Anna e Benedetta si fanno pertanto personificazioni di paure, speranze e timori tipici dei giovani, tanto di ieri quanto di oggi. Un saggio che vede nell'omicidio la catarsi di un animo distrutto, rinchiuso in un corpo dilaniato, orfano della propria unità, tradito. Proprio come tradite sono le componenti di una stessa squadra, di uno stesso cuore.
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Corpo libero e il volteggio della visione
Non è una regia sfacciatamente ambiziosa, o interessata a un eccessivo virtuosismo quella di Cosima Spender e Valerio Bonelli. A infondere un alito di vita a Corpo libero è una ripresa semplice, mai intrusiva, perché intenta a mettere in primo piano la figura dei propri personaggi e la loro lotta interiore. La macchina da presa si ancora a ogni protagonista, volteggia con lei sulla pedana della vita, seguendola a giusta distanza per mostrarne in maniera oggettiva fantasmi del passato e speranze spezzate. Se c'è qualcosa che stona in questo quadro emotivo, è forse l'uso di ralenti in momenti di pausa (l'uscita dalle proprie stanze per esempio) che eleva le protagoniste a un ensemble supereroistico, quando tra loro vige la tensione e l'eccessiva ansia da prestazione. Sfruttando sapientemente l'espediente dell'interrogatorio, i registi lasciano che sia la stessa Martina a farsi narratrice di eventi vissuti in prima persona. Una caratteristica, questa, tipica di quel genere documentaristico che entrambi conoscono molto bene (Cosima Spender è la regista di documentari come Palio e Sanpa: Luci e tenebre di San Patrignano, entrambi montati dallo steso Bonelli) e che una volta riportata con intelligenza nel mondo di Corpo libero va a rivestire di verosimiglianza un evento nato dalla mente dell'autrice Ilaria Bernardini.
Sappiamo che l'omicidio di cui è indagata Martine, e tutto l'universo della Vis Invicta, è stato forgiato dal fuoco dell'immaginazione, eppure tra le mani di Cosima Spender e Valerio Bonelli ecco che si ammanta magicamente di realtà. Una realtà dolorosa, fragile, proprio perché nata in seno all'animo umano, il cui pathos è ancor più enfatizzato da un montaggio serrato, di primi e primissimi piani a opera dello stesso Bonelli che apre uno squarcio interno alle protagoniste, permettendo allo spettatore di insidiarsi e condividere sofferenze e calunnie, tradimenti e ambizioni.
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Il corpo disunito in menti fragili
Corpo libero è soprattutto una rete di anime. Un gioco di vite che si incrociano fino a dar vita a un microuniverso sfilacciato, privo di chimica e intriso di ambizione mista ad ansia. Corpo libero è soprattutto il racconto di un disagio dalle mille sfaccettature. E a dar corpo a questi sentimenti sono adesso cinque giovani attrici chiamate a modellare i propri personaggi, traducendo in sguardi e movimenti, pensieri e paure di psicologie ben definite e complesse. La giovane età tradisce sicuramente una mancanza di maturità interpretativa, ciononostante ogni attrice riesce comunque a trasmettere il carattere della propria ginnasta. Una condivisione compiuta soprattutto sul lato mimico, fatto di sguardi parlanti ed espressioni piene di sentimenti e non detti. È nel momento della declamazione di certe battute che si ritrova un'acerbità recitativa, ma ciononostante ognuna delle giovani protagoniste risulta convincente nella propria prova attoriale, rendendo umane, e per questo complesse Anna, Martina, Carla, Nadia e Benedetta. Non servono molte parole per analizzare invece la performance di Filippo Nigro nei panni del medico sportivo, e di Antonia Truppo in quelli della coach. I due si muovono davanti alla cinepresa con fare sicuro, senza per questo rubare mai la scena alle loro giovani colleghe. Situando ogni personaggio in una posizione prestabilita, Cosima Spender e Valerio Bonelli riescono anzi a potenziare e arricchire ogni performance, realizzando una rete interpretativa dove ogni interpretazione giovi ed enfatizzi quella contigua, in uno scambio di dare e avere.
Ed è qui, sullo sfondo di un dipinto caravaggesco, dove la luce della ribalta sportiva fa a gara con il buio della mente, che prende vita quel corpo libero che le atlete vanno cercando. Un corpo unito dal punto di vista visivo e filmico, ma pronto a disunirsi nel contesto mentale delle sue protagoniste. Uno scarto che getta nel baratro della paura e della vendetta, un corpo martoriato, pesante, non più libero di volteggiare, ma solo di piegarsi per il gelido dolore.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione dei primi due episodi di Corpo libero, sottolineando come la serie televisiva diretta da Cosima Spender e Valerio Bonelli sfrutti la ginnastica artistica per delineare paure e timori, fragilità e ambizioni di un'intera generazione.
Perché ci piace
- Il racconto in prima persona di Martina, memore dei documentari diretti da Cosima Spender.
- Il montaggio serrato nei momenti di pathos.
- La delineazione psicologica dei personaggi.
- Gli sguardi delle giovani protagoniste.
Cosa non va
- L'uso dei ralenti in determinate scene.
- Ambienti poco consoni per dei tornei mondiali di ginnastica artistica.