Cinema e calcio. Un abbinamento che di tanto in tanto dà buoni frutti, come è accaduto di recente per Looking for Eric, il film di Ken Loach presentato a Cannes con un Eric Cantona in grande spolvero, simpaticamente guascone e irriverente come suo solito. Sarebbe eccessivo definire Piede di Dio la risposta italiana all'exploit di Ken Loach, ad ogni modo la stampa di casa nostra sembra aver reagito positivamente alla presentazione della pellicola, diretta dall'esordiente Luigi Sardiello (per lui trascorsi importanti sul versante della critica cinematografica, con la rivista Filmaker's Magazine di cui è direttore responsabile) ed interpretata, tra gli altri, da un Emilio Solfrizzi che ha riscosso non pochi consensi da parte degli addetti ai lavori.
Il confronto con il regista e col cast ha riservato poi qualche altra sorpresa, di natura prettamente sportiva. Non a caso l'incontro è stato moderato dal giornalista Boris Sollazzo, esperto di spettacolo come anche di calcio internazionale, il quale ha coinvolto più volte nella discussione un ospite d'eccezione come Luca Marchegiani, ex portiere della Lazio e della Nazionale. Non l'unico ospite sportivo, a ben vedere, considerando che il co-protagonista del film accanto a Emilio Solfrizzi è Filippo Pucillo, giovane talento che ha conquistato tutti con la sua spontaneità; talento cinematografico, essendo stato scoperto da Emanuele Crialese in Respiro, ma soprattutto calcistico, in quanto titolare del Lampedusa nel campionato di Prima Categoria. E le donne? Un tempo si sarebbero forse accontentate di un ruolo più marginale, visto l'argomento della pellicola, ma oggi come oggi le bellissime Elena Bouryka e Rosaria Russo hanno dimostrato di non essere figure accessorie, rispondendo a tono ogniqualvolta sono state chiamate in causa. Ma sentiamo pure cosa ci hanno raccontato l'autore e i protagonisti di Piede di Dio, attraverso il variopinto collage delle loro dichiarazioni.
Cosa ha spinto il regista a realizzare un film intorno all'ambiente del calcio, sport la cui rappresentazione sullo schermo pone sempre qualche difficoltà?
Luigi Sardiello: Cosa mi ha spinto? Essenzialmente il fatto che per me il calcio era e rimane lo strumento ideale per raccontare l'Italia di questi anni. Ma più di tutti mi interessava quella specie di viaggio della speranza cui vanno incontro due personaggi marginali, bizzarri, che avevano bisogno intorno a loro della cornice adeguata; una cornice fatta di genitori maniacali e oppressivi, di procuratori, di intermediari, e di altri rappresentanti della stessa umanità.
Ad Emilio Solfrizzi vorremmo invece chiedere come si è trovato a interpretare la figura del talent scout, recuperando le intuizioni migliori di una certa tragicommedia all'italiana.
Emilio Solfrizzi: In realtà non mi sono ispirato a nessuno, in un certo senso mi sento io stesso una specie di ex calciatore che, fortunatamente, dopo incidenti vari ha scoperto che la sua vera carriera era fare l'attore.Parlando più seriamente, non pensavo tanto al fatto di interpretare un ex calciatore passato ad attività limitrofe, quando piuttosto all'idea che avevo di un personaggio incattivito. Uno dei tanti "incattiviti" che si agitano, in vari campi, nella nostra società. Pertanto ho trovato meravigliosa la storia, con questi due marginali che esplorano la provincia circondati da mostri. Dei due personaggi ve n'è uno, il procuratore da me interpretato, che è ancora prigioniero delle sovrastrutture inculcate dall'esterno, mentre il ragazzo coi suoi modi spensierati e innocenti incarna la quintessenza del gioco.
Boris Sollazzo: Mi inserisco soltanto per dire che la recensione più bella, a mio avviso, è stata quella di Zola, il quale ci ha ricordato come l'essenza del gioco permetta di superare un tuo limite trasformandolo in possibilità. E a tal proposito viene in mente subito la figura di Garrincha, leggendaria ala brasiliana citata più volte nel film...
Luigi Sardiello: Non so quanto si intuisca ma sono un grande appassionato di calcio, non importa che sia quello sul rettangolo verde piuttosto che quello giocato in spiaggia, oppure in casa palleggiando con un'arancia. Il Brasile di Garrincha corrisponde perfettamente all'idea che ho della magia, di ciò che Zola chiama "il limite che diventa una possibilità". Per omaggiare la personalità di Garrincha, che fuori dal campo di problemi ne avrebbe avuti non pochi, mi viene da ricordare l'episodio in cui al presidente del Brasile, dopo la vittoria della Coppa del Mondo, chiese come premio che tutti i suoi connazionali liberassero gli uccellini dalle loro gabbie... tanto per rendere l'idea del personaggio!
E come è stato per il calciatore Filippo Pucillo interpretare il film?
Filippo Pucillo: Bellissimo! E io nell'ambiente del calcio mi sento davvero libero. Scusate se non aggiungo altro, ma sono un tipo di poche parole. Anzi, a chi me lo ha chiesto prima, posso dire che quest'anno con il Lampedusa avevamo iniziato male, cinque sconfitte consecutive, ma poi abbiamo fatto un gran campionato, siamo arrivati ai play-off!
Quali sono, invece, le impressioni delle attrici protagoniste?
Rosaria Russo: Fare la mamma non è cosa semplice, neanche nella vita. Ma farlo recitando con uno come Filippo è stato emozionante, perché lui è sempre così spontaneo, proprio come lo vedete oggi. A tratti con lui si andava avanti senza copione.
Elena Bouryka: Ah, è assolutamente meraviglioso duettare con Emilio Solfrizzi, ho anche insistito un po' perché mi venissero lasciati i capelli arancioni, che portavo all'epoca: secondo me erano in gran sintonia con il personaggio! In fondo sia per me che per l'uomo cui sto vicino, nel film, la vita prospetta un futuro da perdenti, troppo condizionati da realtà effimere.
A questo punto sarebbe interessante sentire l'opinione sul film di un grande calciatore, quale è stato Marchegiani...
Luca Marchegiani: Il film mi piace perché fa riflettere su problemi reali, c'è tutta l'atmosfera che circonda ragazzini di 10, 12 anni sottoposti alle pressioni di persone che inquinano i loro sogni, siano essi i genitori o altri adulti che confondono il gioco con un business da cui ricavare tutto e subito.
Che tipo di ricerche ha fatto l'autore e come ha ottenuto i materiali di repertorio che arricchiscono il film?
Luigi Sardiello: Ho un figlio che come tanti ha intrapreso molto presto questa trafila, perciò mi sono imbattuto in genitori che venivano a vedere le partite con aspettative esagerate, incrociando poi insieme a loro gli osservatori delle varie squadre e altri personaggi simili. Per quanto riguarda i materiali li abbiamo acquistati senza problemi dalla RAI, mentre alcuni spezzoni provengono da Sky o da Mediaset. Ad ogni modo mi sembrava importante ambientare il film nel 2006, per una scelta che fosse esemplare. Credevo fosse quello, insomma, il momento in cui i nodi vengono al pettine: da un lato gli scandali di "Calciopoli", con tutto il marcio che era stato tenuto nascosto, e dall'altro la Nazionale che offriva un esempio positivo, avviandosi a vincere i Campionati del mondo.E infine come vede Sardiello il doppio ruolo di critico e cineasta?
Luigi Sardiello: Molto semplicemente credo in quello che sostiene Claude Chabrol, ovvero nell'essenza complementare dei due mestieri: il critico rispetto al film fa un'operazione di sintesi, mentre il regista partendo da un nucleo limitato, lo espande. In Francia vi è stato un grande cinema ma vi è stata anche una grande critica, penso che un apporto come quello che si deve alle personalità della Nouvelle Vague sia auspicabile ancora oggi: avere migliaia di film negli occhi è importante, per chi fa cinema.