Ogni azione ha la propria conseguenza, ma anche dietro un semplice desiderio si può nascondere una portata rivoluzionaria destinata a cambiare tanto noi stessi, quanto il mondo che ci circonda. Per anni il mondo di Come d'incanto ha tentato di evitare la forza di un desiderio come quello espresso da milioni di spettatori bramanti un suo ritorno. Deciso a tenersi stretto il proprio "e vissero felici e contenti" il film diretto da Kevin Lima ha corso una gara a ostacoli, così da non lasciare intaccare la propria perfetta esistenza. In un mondo dominato dalla nostalgia, Come d'incanto ha tentato di vivere nella mente dei propri spettatori sfruttando la potenza di un equilibrio magico tra commedia, umorismo, e un tocco di autoironia con cui prendere e scardinare ogni elemento caratterizzante la più pura tradizione disneyana. Ma nell'arco di quindici anni, la forza del desiderio nato in seno ai propri spettatori si è rafforzata sempre più; alimentato da una malinconia nostalgica che scorre nelle vene di chi si aggrappa a questi grandi ritorni per ritornare bambino e reimparare a sognare, il potere del richiamo spettatoriale ha scosso gli uffici della Walt Disney Company, e così il sentiero per Andalasia si è magicamente riaperto, e con lui un nuovo ritorno a casa.
Come sottolineeremo in questa recensione di Come per disincanto, il film disponibile dal 18 novembre 2022 sulla piattaforma Disney+ non nasce nelle forme di mero sequel di un cult generazionale. Dietro ogni fotogramma si cela un ricordo, un ponte diretto con quella fortezza infantile abbandonata dentro ognuno di noi. Giovanni Pascoli affermava che all'interno di ogni adulto si nasconde un fanciullino, e il ritorno di Giselle, Robert e di tutti i loro compagni di avventura alimenta come sostanze essenziali e fortificanti quel bambino che gioca a nascondino nei meandri della nostra mente, ristabilendo un contatto con il nostro passato. E Come per disincanto non delude le aspettative grazie a un recupero di elementi fondanti il proprio successo, integrandoli di uno sguardo diretto al nostro presente, tenendo per mano l'ombra del nostro passato.
Come per disincanto: la trama
Sono passati 15 anni dal matrimonio di Giselle (Amy Adams) e Robert (Patrick Dempsey). Un rapporto magico, perfetto, ma da cui Giselle si sente in un qualche modo limitata. Disillusi dalla vita cittadina, i due decidono di trasferirsi nella tranquilla comunità suburbana di Monroeville. Sfortunatamente questa soluzione non è così semplice come Giselle aveva sperato. La periferia ha delle regole completamente nuove e un'ape regina locale, Malvina Monroe (Maya Rudolph), fa sentire Giselle ancora più a disagio. Frustrata dall'idea che il suo "e vissero per sempre felici e contenti" non sia stato così facile da raggiungere, si rivolge alla magia di Andalasia per chiedere aiuto, trasformando accidentalmente l'intera città in una fiaba, mettendo così a rischio la felicità futura della sua famiglia. Da perpetua ottimista, Giselle si sta trasformando nella matrigna cattiva delle fiabe. Intraprende così una corsa contro il tempo per annullare l'incantesimo e scoprire cosa significhi davvero "e vissero felici e contenti" per lei e la sua famiglia.
Tornare a casa per tornare bambini
Silenzio in sala; la luce si accende e Giselle torna a cantare sullo schermo: danza e sorride, e tutto si ferma. O meglio, tutto ci prende per riportarci indietro nel tempo, a quindici anni fa. Basta un attimo, ed ecco che torniamo bambini, adolescenti, versioni più giovani di noi richiusi nel corpo di adulti. Uno scarto emotivo, anagrafico, dove la razionalità di un mondo di oggi fa a gara con lo sguardo infantile di ieri. Ed è proprio nel personaggio di Giselle, nei suoi mutamenti interiori, in quel conflitto personale tra il mondo fiabesco che ha lasciato, e quello cinico, ombroso che ha fatto suo, che si riflette il conflitto dei propri spettatori. Da spettatori desiderosi di diventare grandi, ci siamo ritrovati adesso a essere spettatori adulti che cercano di ritornare bambini. Ci aggrappiamo alla forza mnemonica di immagini, di oggetti, di canzoni per rivivere, nello spazio di un tocco, di un ascolto, o di una visione, momenti ed eventi svaniti nella nebbia della memoria. Sono magie audiovisive della stessa portata magica della bacchetta di Andalasia posta tra le mani di Giselle; il desiderio della protagonista di recuperare la propria esistenza fiabesca, è il medesimo di ognuno di noi di riappropriarsi di un passato giocoso, spensierato; un passato in cui eravamo felici e non lo sapevamo, Un processo psicologico, di desideri e speranze, questo, che Come per disincanto riesce perfettamente a tradurre in chiave cinematografica, senza per questo appesantire uno sviluppo narrativo leggero, ottimista, magico, proprio come Giselle, proprio come l'infanzia.
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C'era una volta... e c'è ancora
In questo gioco temporale, fatto di grandi ritorni e inedite innovazioni, Come per disincanto riesce a stabilire dei contatti diretti con il proprio, ingombrante, predecessore, senza per questo scadere nel più facile processo di copia e incolla. Nulla è reiterato, ma solo citato, omaggiato, sussurrando un eco dai meandri del passato dei propri spettatori, per inserire in ogni inquadratura un collegamento intra-testuale tra il proprio mondo di partenza, e quello di un'animazione che ha modellato e plasmato l'infanzia del proprio pubblico. Riprendendo quell'equilibrio perfetto tra live-action e opera di animazione, è negli inframezzi di quei personaggi in formato bidimensionale che si sente battere il cuore che di Come incanto, ora trapiantato nel corpo del suo atteso sequel. Opera a tecnica mista, Come per disincanto non ha paura di osare, recuperando il coraggio di ribaltare in termini parodistici e auto-referenziali, i topoi della classica tradizione Disney. E così, come fu per il primo film, tornano i brani eseguiti improvvisamente, interrompendo il corso lineare delle conversazioni, con tanto di presa in giro e sottolineatura di un comportamento fuori dall'ordinario e poco consono al mondo dei "normali esseri umani"; tornano poi gli oggetti, gli abiti, e tutti quegli elementi atti a stabilire un contatto diretto con un giacimento aureo come quello disneyano da quale lo stesso Come per disincanto prende vita. Dallo specchio preso in prestito da Biancaneve, ai vestiti delle sorellastre di Cenerentola, tutto è una galleria citazionistica con cui coinvolgere maggiormente lo spettatore, intrappolandolo in una rete nostalgica tra innovazione e tradizioni, conferme e rivoluzioni.
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La magia del talento
Eppure, è proprio nel momento in cui il desiderio prende vita, e l'opera conosce il suo primo punto di svolta, che qualcosa in questa sfera di cristallo scricchiola, cedendo sotto il peso di una responsabilità che per quanto ignorata, si fa sentire, tra attese e riconferme. Decisi a costruire una versione fresca, nuova e travolgente di Giselle, il regista Adam Shankman, e la sceneggiatrice Brigitte Hales puntano le proprie energie sulla componente visiva e musicale dell'opera, tralasciando ai margini una profondità di intenti, e un'adesione psicologica dei personaggi che circondano Giselle. Una lacuna, questa, colmata in superficie dalla portata impattante e coinvolgente dei brani musicali composti appositamente per ogni singolo protagonista da Alan Menken e Stephen Schwartz, e dalla profonda introspezione di performance attoriali convincenti e irresistibili. Amy Adams è una maschera cangiante ed espressivamente parlante, capace di modulare la propria mimica, donando alla propria Giselle ogni sfumatura possibile di un'esistenza che lotta tra due versioni divergenti e opposte di se stessa. La madrina cattiva tenta di subentrare e sovrapporsi a quella ottimista, dolce e amorevole a cui tutti sono abituati; un conflitto che l'attrice riesce a tradurre con la sola forza interpretativa di un'espressività disarmante, a sua volta fomentata da performance musicali esteticamente magistrali, e una componente verbale profonda e mai superficiale.
Ma ogni eroina ha bisogno della sua perfetta controparte per evolversi, e quella interpretata da Maya Rudolph è una Malvina Monroe costruita in sottrazione, apparentemente apatica, ma proprio per questo detestabile quanto basta da inserirsi perfettamente nel ruolo della villain perfetta. Per quanto riguarda la new-entry Gabriella Baldacchino, c'è qualcosa di estremamente naturale nella sua performance, da rendere la sua Morgan una versione realistica e irresistibilmente aderente alla realtà, di quella che sarebbe una tipica teenager contemporanea. Fucina di sarcasmo, adombrata dalla paura di non essere abbastanza, e di non essere più amata, la Morgan di Come per disincanto perde il lascito della bambina alimentata da magia, per essere colpita dai tagli del mondo reale. Ma è proprio nel momento in cui Morgan perde aderenza con il mondo cittadino, per ritrovarsi nel ruolo di erede perfetta di Cenerentola, o Biancaneve, ingabbiata nella riproposizione fiabesca di figliastre sfruttate e rintocchi di orologi magici, che il suo personaggio perde di efficacia e, limitandosi alla riproposizione filologica di modelli precedenti, si vede sottratta della propria unicità caratteriale.
Colorato, illuminato da una lotta armonica tra luci e ombre, abbigliato da stoffe preziose, e investito da una visione fanciullesca del mondo, trascinata dalla forza musicale di suoni e armonie travolgenti, Come per disincanto compie il suo incantesimo e ci riporta a casa. È un desiderio realizzato senza troppe nefaste conseguenze; un esperimento riuscito circa la forza della nostalgia tradotta in un'opera che prende tra le mani le bellezze del suo precedente, per moltiplicarle, senza depotenziamenti o decostruzioni strutturali. Tutto è uguale, eppure tutto è diverso in Come per disincanto. Sappiamo di essere tornati tra le mura calde di una casa pronta ad accoglierci, sebbene ristrutturata e modificata nel suo arredo. Per quanto trascinata in certi passaggi, e dilatata nello spazio-tempo di eventi trattati con eccessivo zelo e superfluo interesse, l'opera si tramuta in un abbraccio caloroso con il proprio io bambino; un abbraccio atteso per quindici anni, ma che sa di casa, di magia, di un eterno desiderio di un "e vissero felici e contenti".
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Come per disincanto sottolineando come il sequel di Come d'incanto non abbia deluso le altissime aspettative, giocando su un ritorno al passato per raccontare molto di più di quanto ammettiamo di noi stessi e di quel sentimento nostalgico che ci prende e soffoca.
Musical a tecnica mista come il precedente, il film si avvale di una componente attoriale straordinaria, capace di coinvolgere il proprio pubblico, merito anche di una colonna sonora fatta di brani travolgenti pronti a rimanere impressi nella memoria del pubblico.
Perché ci piace
- La potenza della componente nostalgica.
- Le performance attoriali, in particolare quella di Amy Adams.
- La forza dei nuovi brani.
- La galleria citazionistica piena di rimandi alla storia della Disney classica.
Cosa non va
- La durata un po' troppo eccessiva.
- Alcune battute dall'ironia un po' forzata.
- Il farci sentire vecchi ogni volta che ci ricordiamo che sono passati 15 anni dai due film.