La stiamo aspettando con ansia, dopo aver divorato le prime due stagioni. Cobra Kai 3 arriverà su Netflix a gennaio (l'8 gennaio, la data finora annunciata, è stata sostituita con un generico "gennaio") e non vediamo l'ora di vederla. Ma perché la stiamo aspettando così tanto? Ovviamente ognuno di noi ha le sue buone ragioni per aspettare il ritorno di questa serie, che riprende i personaggi dello storico film Karate Kid. Probabilmente hanno a che fare con la nostalgia, con l'eterno ritorno degli anni Ottanta (e le due cose sono spesso strettamente collegate, ma non sono la stessa cosa), con il ritmo e la freschezza della confezione (gli episodi, da 30 minuti, scorrono piacevoli e velocissimi), con l'inserirsi di Cobra Kai in un filone, il teen drama, che in streaming e soprattutto su Netflix sta andando per la maggiore. Ognuno, insomma, ha i suoi buoni motivi per aspettare con ansia l'arrivo della terza stagione. E Cobra Kai ha molti punti di interesse. Andiamo a vederli insieme.
Si esce vivi dagli anni Ottanta: l'eredità di Karate Kid
Gli anni Ottanta, ormai da qualche anno, sono una vera e propria passione per il pubblico. Le storia ambientate negli Eighties hanno una doppia valenza: catturare immediatamente il pubblico dei quarantenni/cinquantenni, quelli che erano bambini all'epoca, con l'effetto nostalgia di cui parlavamo prima, e colpire le nuove generazioni con i colori e gli stili degli Ottanta, che sono accattivanti e coinvolgenti. E poi le empatiche storie preadolescenziali o adolescenziali degli anni Ottanta hanno una sensibilità in grado di conquistare anche i preadolescenti e gli adolescenti di oggi. L'elenco di serie e film che pescano nell'immaginario degli anni Ottanta è lungo, ma prendiamo ad esempio la più famosa: Stranger Things. La serie creata dai Duffer Brothers è immersa profondamente negli anni Ottanta per temi e atmosfere: la scelta è stata quella di creare una storia tipica di quegli anni (vedi I Goonies e Stand By Me, oltre ad E.T.) e di giocare, stagione dopo stagione, ognuna ambientata in un anno preciso, con le citazioni. Cobra Kai fa un altro gioco: conscio di avere in sé un'eredità preziosa, quella di quattro film nati negli Eighties, sceglie di ambientare la nuova serie ai giorni nostri. In questo modo diventa allo stesso tempo un sequel, un reboot e uno spin-off. E non ha assolutamente paura di legarsi ai film originali: anzi, li richiama continuamente. Lo fa in sceneggiatura, riproponendo alcune situazioni topiche dei film, soprattutto i primi due. E lo fa anche - scelta ardita, insolita, ma molto riuscita - in montaggio, mettendo, accanto alla scena che la riprende, anche la scena originale, in dei brevissimi flashback, come dei voli nel passato con la memoria. Così, la festa di Halloween è la scusa per riportare in scena i costumi da scheletro che Johnny Lawrence e i suoi amici indossavano, il colpo di karate che rompe i blocchi di ghiaccio in occasione della presentazione di Miyagi Do riprende un colpo di Dainel Larusso in Karate Kid II - la Storia Continua, a Okinawa. Una festa a tema revival anni Ottanta è l'occasione per sfoggiare il giubbetto rosso che Johnny aveva da giovane. Ogni sequenza è seguita da un breve flashback, un lampo, con la scena originale che riprende. D'altra parte, Cobra Kai aveva messo ben in chiaro subito le cose: la serie si apre proprio con la storica scena finale del primo Karate Kid - Per vincere domani, quella del calcio volante di Daniel. Per poi staccare su Johnny, il suo avversario, e vederlo oggi.
Cobra Kai: il sequel di Karate Kid "ha il suo equilibrio" e arriva su Netflix
I duri hanno due cuori: il protagonista è Johnny
Sì, perché quella scena dà subito il senso dell'intera serie, che non a caso non si chiama Karate Kid, ma Cobra Kai. Il Cobra Kai era il dojo del grande nemico di Daniel, Johnny (William Zabka), biondo, glaciale, spietato, quello in cui si insegnava "strike first, strike hard, no mercy" (colpisci per primo, colpisci duro, nessuna pietà). L'idea geniale - e poco battuta, almeno in questi termini - è quella di fare un sequel/reboot/spin-off degli storici film non seguendo principalmente Daniel (Ralph Macchio), il protagonista, ma un altro personaggio. E non un carattere minore da portare alla ribalta. No, Johnny era proprio il "cattivo". E, come il suo maestro, John Kreese (Martin Kove), un personaggio in fondo poco approfondito. La bravura di chi fa prequel, spin-off e sidequel, è proprio quella di andare a trovare nicchie ancora inesplorate tra i personaggi o tra gli accadimenti: a Star Wars ne sanno qualcosa, e Rogue One: A Star Wars Story ne è un chiaro esempio. Così, la storia di Cobra Kai è un ribaltamento totale delle premesse del primo film del franchise. Dopo aver esultato per la sconfitta di Johnny, condita da un bel calcio in faccia (meritatissimo, secondo tutti noi, a quei tempi e viste le premesse), siamo passati avanti, e non ci siamo mai chiesti che ne fosse stato di lui. Per fortuna se lo sono chiesti gli sceneggiatori di Cobra Kai, che ci hanno fatto capire come quella sconfitta abbia influito sula sua vita. Johnny è un perdente, un alcolizzato, è rancoroso. Nel frattempo, rispetto ai manichei anni Ottanta le storie sono cambiate, ci siamo appassionati a molti "cattivi" e li abbiamo trovati più interessanti dei buoni. I duri hanno due cuori, cantava Ligabue. E così il duro Johnny ha anche un suo lato più sensibile. E un passato che ci fa capire perché sia così.
The Sweetest Perfection: Se Daniel San diventa un perfettino
Il ribaltamento, in Cobra Kai, è totale. Perché, per un Johnny che, anche da grande, è quello che è, ma impariamo a capirlo, c'è un Daniel Larusso che forse non è diventato quello che ci saremmo immaginati. Oddio, non ci siamo mai veramente chiesti che fine avesse fatto Johnny, non ci siamo neanche mai posti il problema di cosa avesse fatto Daniel, che avevamo fissato nella sua giovinezza e ci andava bene così. D'altra parte, le favole finiscono con ".. e vissero tutti felici e contenti" e nessuno si chiede cosa voglia dire, cosa ci sia dopo. Ecco, il "vissero tutti felici e contenti" di Daniel Larusso è noiosissimo: forte della sua fama di vincente ha messo su una concessionaria di automobili. Ha una bella moglie, una bella figlia (Mary Mouser, che è uno dei motori della storia) e un figlio che sembra la sua antitesi, pigro, per nulla sportivo, poco socievole (che nella stagione 2 scompare: perché?). Daniel è benestante, e ha una bella casa. E allora? Non è solo il fatto che la perfezione è noiosa. È che Daniel è proprio diventato un perfettino, un pedante. Non ai livelli del Furio di Carlo Verdone, ma in ogni caso è uno di quelli che ha avuto successo e sembra avere la ricetta pronta, da insegnare agli altri. È uno di quelli che vuole impartire lezioni. Quando, alla riunione del board per le regole gel torneo di karate di All Valley che aveva vinto da giovane, si impunta per non far partecipare il Cobra Kai, fa davvero una brutta figura. Quando interrompe, equivocando, il primo appuntamento della figlia non ne parliamo neppure. Tutto questo ha un senso: il successo e quindi una continua accondiscendenza da parte di tutti lo hanno reso forse troppo sicuro. Il Daniel della stagione 2 è diverso. Decide di tornare al karate, e apre il suo dojo, il Miyagi Do. Ma, se da un lato lo fa in memoria del suo mentore, il maestro Miyagi, dall'altro sembra farlo per una rivalità con Johnny e il suo Cobra Kai, sembra spinto da una questione personale. E, dedicandosi al karate, sbaglia ancora, perché trascura l'attività e la moglie.
Cobra Kai: la serie sequel di Karate Kid intrattiene, tra nostalgia e teen drama
Buoni o cattivi: da che parte stare?
Anche Daniel Larusso, insomma, ha due facce, proprio come Johnny, e, al netto di quella sua lieve antipatia, comincia a diventare più interessante man mano che la storia va avanti. Il ribaltamento di cui parlavamo, tra l'altro, è doppio. E, davvero, non si sa per chi tifare, non si sa chi sono i buoni e chi sono i cattivi. All'inizio sembra chiaro: Miguel Diaz (Xolo Mariduena), il ragazzo di umili origini, che vive con la madre (e la nonna) e non ha il papà, e viene bullizzato, è il nuovo Daniel. E, non a caso, trova nel karate la sua forza. Solo che, al posto del saggio Mlyagi, ha come maestro il più spiccio e rancoroso Johnny, che ha deciso, anche grazie a lui, di fondare il Cobra Kai. E così, insieme a lui, nel dojo trovano riscatto altri perdenti, altri ragazzi poco popolari. Sono loro i buoni, ci sembra chiaro. Però cominciano ad abusare del loro status di campioni di karate, della loro acquisita popolarità. Hanno grandi poteri, ma non grandi responsabilità. E, durante il torneo di All Valley, Miguel sembra macchiarsi delle stesse scorrettezze di cui si era macchiato Johnny. D'altra parte, Johnny ha un figlio che non ha mai frequentato, Robby Keene (Tanner Buchanan) e che finisce per essere supportato e poi allenato da Daniel. Che, insieme a lui, allena la figlia Samantha. I buoni, una volta entrati in scena, sembrano essere loro: un altro ragazzo in fondo senza padre per cui parteggiare. Ma l'incidente che chiude la stagione 2 di Cobra Kai sembra rimettere tutto in discussione.
A volte ritornano: Kumiko nella stagione 3
Il trailer della stagione 3 parte proprio da qui, da Miguel Diaz, prima beniamino, poi personaggio più controverso, ora in un limbo, in pericolo di vita. Dalle crisi di coscienza di Johnny, ma anche da quelle di Daniel. E da una serie di ritorni. Un video appena diffuso - che vedete qui sotto - ha anticipato che ci sarà il ritorno di Kumiko (Tamlyn Tomita), che riprende il ruolo di Karate Kid 2. Il continuo gioco di citazioni e rimandi ai film classici ci riporta ancora a quel film, con il ritorno di Yuji Okumoto nei panni di Chozen, che era l'avversario di Daniel in quel film. Cobra Kai promette quindi di avvolgerci ancora di nostalgia e di tenere alta la nostra attenzione con il suo ritmo sostenuto. Siamo molto curiosi di capire cosa succederà. Senza scordare che, per un attimo, in quel ristorante nel quale erano finiti per caso, Daniel e Johnny, quasi quasi, erano sembrati andare d'accordo...