Recensione 4-4-2 Il gioco più bello del mondo (2005)

L'operazione "4-4-2" riesce soprattutto nelle intenzioni, mettendo in luce come il "gioco più bello del mondo" sia universale, esente da razzismi e da classismi, e foriero di emozioni vere e primordiali.

Cinema rotolante

Il calcio è l'oppio del popolo. Italiano.
Difficile pensare a qualcosa che riesca ad animare le folle come lo sport nazionale. Ed è altrettanto difficile affrontare 4-4-2 Il gioco più bello del mondo senza fare riferimenti al terremoto che attualmente sta facendo crollare la Federcalcio e la credibilità del nostro beneamato campionato.
Facendo tabula rasa di Moggi & Co. il film a episodi di quattro registi esordienti usciti dal Centro Sperimentale di Cinematografia è un insieme di quadri che riproducono altrettanti personaggi che si muovono lungo la traettoria del pallone. E siccome la palla è rotonda (metafora del destino) non è dato sapere se le speranze rappresentano la realtà.

Nel primo episodio diretto da Michele Carrillo, una giovane talento, che si diletta a giocare per le strade di Napoli, viene scoperto da un allenatore (Nino D'Angelo) e portato alla Juventus. Qui, però, il pupillo non riesce ad adattarsi.
Nel secondo, Claudio Cupellini affronta il calcio al femminile. Rolando Ravello, CT della Lazio, è in balia delle donne: La futura moglie, la mamma, e il centravanti della squadra (Francesca Inaudi). Il suo carattere debole non gli lascia speranza, ma verrà graziato in Zona Cesarini.
Il terzo episodio è l'occasione per Francesco Lagi di dimostrare come l'incomunicabilità, a qualsiasi livello sociale sia superata dal linguaggio del calcio. Gigio Alberti è un procuratore, ex-calciatore senza speranze, che incontra un giovane africano che sa esprimersi solo nella sua lingua e in uno stentato francese.
L'ultimo episodio, diretto da Roan Johnson, oggettivamente il migliore, vede Valerio Mastandrea interpretare un portiere di riserva a fine carriera che, ormai relegato in tribuna, cerca di trovare una "via" per un futuro migliore.

Il filo conduttore dei quattro racconti cinematografici è indubbiamente interessante. Se il calcio è gioia quando è vittoria, i personaggi qui rappresentati sono dei perdenti. Perdenti alla ricerca di un'identità e di una dignità. Perdenti che ritrovano uno scopo nella vita fra righe di gesso e campi d'erba, spesso non troppo rigogliosa. L'apporto di attori di nome facilita notevolmente il lavoro dei nostri registi esordienti, ma come sempre accade in questi casi, la retorica è un rischio da correre. E talvolta è inevitabile.
L'operazione 4-4-2 riesce soprattutto nelle intenzioni, mettendo in luce come il "gioco più bello del mondo", nella sua natura semplice e originaria, sia universale, esente da razzismi e da classismi, e foriero di emozioni vere e primordiali. Fede, pura fede calcistica, la stessa che abbiamo per il nostro cinema anche quando è acerbo.