Se Chiamatemi Francesco - Il Papa della gente ha evitato i toni agiografici, restituendo la personalità più autentica di Jorge Bergoglio, è merito della regia aggraziata e intelligente di Daniele Luchetti e delle ottime interpretazioni di Rodrigo de la Serna e di Sergio Hernández, il volto più giovane e quello attuale di Papa Francesco. Insieme al produttore Pietro Valsecchi, i tre hanno raccontato cosa ha significato intraprendere questo percorso, che inevitabilmente non è stato solo professionale.
Così uno dei film più attesi di questa stagione, venduto in 40 paesi (nella sua versione cinematografica e in quella televisiva, con quattro puntate da 50 minuti) e in uscita il 3 dicembre in quasi 700 copie, ha rivelato, esattamente come Bergoglio, il suo aspetto familiare ed emotivo. La prossima settimana inoltre si svolgerà un'anteprima mondiale in Vaticano con 7000 persone: "i più bisognosi", che il Papa dal sorriso buono ha sempre cercato di proteggere e sostenere.
Non fare né un "santino" né un "film da turista"
Come si è avvicinato il regista al progetto?
Daniele Luchetti: Per approfondire la personalità di Papa Francesco, io e Pietro Valsecchi ci siamo recati a Buenos Aires e abbiamo incontrato sia persone che lo conoscevano benissimo sia altre che dichiaravano di conoscerlo bene, ma dopo le elementari non l'avevano mai più rivisto. Eppure dicevano che era già chiaro il suo destino. Via via che raccoglievo testimonianze, sentivo che mancava un filo narrativo, una verità. Finché, da una persona intervistata, è arrivata la chiave giusta: "Jorge era un uomo preoccupato". Lì ho capito che avrei dovuto approfondire, attraverso ciò che lui era ieri, perché è così oggi. E quello che pensavo sarebbe stato un film fra tanti è diventato per me via via indispensabile, come un innamoramento. Ma avevo paura che ne uscisse un santino, un'opera che ammiccasse agli spettatori quasi a dire: "Vedi che si capiva già che sarebbe diventato Papa?". Inoltre mi premeva molto rispettare la storia dell'Argentina e non fare un film da turista. Così ho provato a mettermi dal punto di vista di un argentino, e ho chiesto a tutti i miei collaboratori argentini di sorvegliarmi per evitare banalizzazioni.
Credere in chi crede
Come avete gestito il materiale biografico?
Daniele Luchetti: Sono stato avvicinato spesso agli angoli di strada da persone col bavero alzato, che sostenevano che Bergoglio fosse implicato nella dittatura argentina. Si diceva tutto e il contrario di tutto. Ma quando si racconta una storia si deve stare dalla parte del personaggio, e lui come personaggio mi sembrava cristallino. Così ho deciso di dare ascolto alle testimonianze più credibili. E prima non credevo, mentre adesso credo nella gente che crede (ride). Ho incontrato preti e vescovi di Buenos Aires straordinari, e sono stato sedotto dal lavoro sul campo.
Pietro Valsecchi: Ma a voi sembra facile fare un film su Papa Francesco? Altre volte, come nel film su Borsellino, ho potuto confrontarmi con un interlocutore, in quel caso col figlio. In questo caso invece c'erano solo persone che cercavano di deviarmi, e io ho vissuto due anni in apnea. Ero attratto fin dall'inizio dalla figura di Papa Francesco, che con quel dolce "buonasera" dal balcone ci ha avvolti tutti come in una carezza. Così ho cominciato a raccogliere materiale, ho chiamato Daniele che ha accettato la mia proposta, e insieme siamo partiti per l'Argentina. Abbiamo conosciuto questo Monsignor Caputo, un omaccione col naso gonfio perché lo avevano aggredito per rubargli il portafogli. A un certo punto il suo telefono ha squillato; ci ha detto di aspettare un attimo, e quando è tornato ci ha informato: "Era Jorge che voleva notizie sul mio naso. Gli ho detto che ci sono due italiani che vogliono fare un film su di lui". Il Papa lo sapeva e noi non eravamo stati mandati via, e questo mi ha consolato. Temevo chiedesse: "Chi è Pietro Valsecchi per voler fare un film su di me?". Sarebbe stato terribile. Invece la cosa più bella è stata quando Monsignor Karcher ha visto il prodotto. È rimasto in silenzio per un po', poi si è girato e ha detto: "Avete fatto un buon film". E la prossima settimana verrà proiettato in Vaticano. Sento che abbiamo vinto una grande scommessa.
Non assomigliare, ma evocare
Come avete lavorato con due attori diversi sull'interpretazione del protagonista?
Daniele Luchetti: Le ricostruzioni storiche ormai sono di dominio pubblico, basta consultare Wikipedia. In Argentina poi esiste un'interessante cinematografia sulla dittatura, e non era certo mio compito raccontare agli argentini come metabolizzare la loro storia. Ciò che mi premeva realmente era la cronologia emotiva. Quando ho incontrato questo bel ragazzo, Rodrigo de la Serna, non mi sembrava simile al Papa. Così gli ho chiesto di cercare una somiglianza emotiva: non doveva assomigliare, ma evocare.
Rodrigo de la Serna: Potete immaginarvi che responsabilità fosse per me interpretare un personaggio di tale statura. Tuttora è una grande responsabilità. Inoltre io dovevo interpretarlo dai 25 ai 60 anni, quindi in un periodo tragico sia per lui che per il mio paese. Però ho avuto la fortuna di essere diretto da un regista sensibile come Daniele, e alla fine credo di aver fatto un lavoro dignitoso. Inoltre per me è stata un'occasione: non avevo dimestichezza con la dimensione spirituale, e mi sono dovuto avvicinare al personaggio di Papa Francesco sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo. È come se avessi imparato a pregare.
Sergio Hernández: Alla fine di ottobre 2014 mi hanno offerto questo ruolo fortissimo. Daniele via skype mi ha detto che non gli interessava che assomigliassi a Papa Francesco fisicamente: avrei dovuto far trapelare la sua interiorità. Così ho cominciato a "convivere" con Bergoglio, in una sorta di ritiro: ho ascoltato le sue omelie, ho studiato. Ancora adesso faccio fatica a distaccarmene. Per prima cosa dovevo assumere l'accento di Buenos Aires, così sono andato nel suo quartiere, Barrio Flores; poi ho parlato con il vescovo Garcia e tante altre persone. Quando il vescovo ha visto una mia foto di scena con le mani alzate, ha detto: "Per carità! Bergoglio non assume mai questa posa". Inoltre mi hanno raccontato che quando il Papa sembra quasi addormentato dopo che le persone hanno parlato, in realtà ricorda tutto quello che è stato detto. Questo ruolo ha rappresentato una responsabilità enorme e la più grande sfida della mia carriera; ne sono orgoglioso.
Ispirazioni internazionali
A che tipo di opere si è rivolto in cerca di modelli? Qualche altro film sulle vite di pontefici?
Daniele Luchetti: Più che i film sui papi, mi è stato utile The Queen di Stephen Frears e quello stile tipicamente asciutto del cinema inglese. Anche The Queen parlava di un personaggio ancora vivente, e anche in quel caso si rischiava l'agiografia, per così dire (ride). Io ho smesso di pensare che Bergoglio fosse vivo e vegeto e abitasse a un chilometro da casa mia; ho smesso addirittura di leggere sui giornali le notizie che lo riguardavano, per paura di venirne condizionato. Io dovevo raccontare la sua giovinezza e la sua vita fino alla nomina a Papa. Per costruirne atteggiamenti e postura, ho chiesto a chi lo conosce perfino come fa colazione, e mi hanno detto che è solito mangiare una banana in piedi (ride di nuovo).
E su questa immagine buffa e profondamente umana, e l'annuncio smozzicato di Pietro Valsecchi (redarguito dalla consorte) sul fatto che il film verrà mandato in America ("e non posso dire altro..."), si chiude la conferenza stampa tenutasi al cinema Adriano, e trasmessa in diretta a Milano. Quasi a sottolineare l'importanza globale di Chiamatemi Francesco e delle sue implicazioni, che ovviamente travalicano il mero interesse cinematografico.