Recensione Gabrielle (2005)

Alternando bianco e nero al colore, rallentando le immagini e sovrapponendo didascalie tratte dai dialoghi, Patrice Chéreau si avvale con parsimonia di tecniche cinematografiche per arricchire l'impostazione teatrale del soggetto.

Chéreau analizza il crollo di una coppia

Parigi, 1912. Una donna lascia una lettera sullo scrittoio del marito annunciandogli la sua partenza e la conseguente rottura della relazione matrimoniale. Jean e Gabrielle sono la coppia perfetta da dieci anni. Sono ricchi, colti, serviti e riveriti dai domestici ed il loro palazzo è il più frequentato dall'alta borghesia francese. L'appuntamento settimanale del giovedì è un'occasione impedibile per fare salotto con una stoica cricca d'aristocratici. Ed è grazie ad uno di costoro che Gabrielle trova ciò che le è sempre mancato con il marito, oltre al pretesto per lasciarlo. La lettera trascina Jean nell'abisso di uno sconforto senza pari, ma ancor prima di riaversi completamente arriva il secondo coup de théâtre. Gabrielle ritorna.

Tre ore e mezza. Tanto è durato il distacco dal marito. Gabrielle torna consapevole di non avere coraggio a sufficienza per mantenere le proprie intenzioni. Si chiude in un mutismo imbarazzante rassegnandosi al dolore che le trafigge volto diafano. La grandezza di Isabelle Huppert, premiata a Venezia 2005 con un Leone speciale per l'insieme della sua carriera, sta nel confessare ad un'inserviente il declino della sua vita di coppia e farsi da parte subito dopo facendo da spalla alla performance di Pascal Greggory. Infatti, il personaggio di Gabrielle, che dà il titolo al film, si riduce ad essere una silhouette nel racconto di Joseph Conrad.

Il regista Patrice Chéreau, pilastro del teatro e del cinema francese, è rimasto stregato da Il ritorno dello scrittore inglese di origine polacca. Ne ha tratto una sceneggiatura dando vita a Gabrielle, nonostante il film poggi sulle spalle del marito Jean. Chéreau crea due punti di vista all'interno di una guerra civile di coppia in cui l'arma più tagliente è l'insolenza. Scoprono di detestarsi e che l'amore è svanito da tempo senza che se ne rendessero conto. È il crollo della loro facciata ipocrita e borghese. Alternando bianco e nero al colore, rallentando le immagini e sovrapponendo didascalie tratte dai dialoghi, Chéreau si avvale con parsimonia di tecniche cinematografiche per arricchire l'impostazione teatrale del soggetto. Il film si dimostra solido grazie al lavoro sul testo ed alle interpretazioni dei due attori, appassionante nella vivisezione di un rapporto di coppia malato, ma pesante a tratti per le rare pause dei dialoghi-monologhi.