"Un duplice omaggio: al genio di Carosone e alle nostre radici", visto che proprio il cantante partenopeo tenne a battesimo la prima trasmissione musicale della Rai, L'orchestra delle 15, il 3 gennaio 1954. Il vicedirettore di Rai Fiction, Fabrizio Zappi, non ha dubbi: il film Carosello Carosone, che ripercorre le tappe fondamentali della carriera di Renato Carosone (in onda il 18 marzo in prima serata su Rai1), è un vero e proprio tributo all'artista realizzato "all'insegna dell'ironia di cui era portatore", oltre che un'occasione per omaggiare l'identità di un paese. Diretto da Lucio Pellegrini il film è in perfetta continuità con la recente linea editoriale della rete, che propone al pubblico una serie di personaggi indimenticabili della cultura italiana; per interpretare il protagonista è stato scelto Eduardo Scarpetta, giovanissimo attore con alle spalle una famiglia importante come quella degli Scarpetta-De Filippo. Le musiche sono curate da Stefano Bollani, che a Carosone deve molto: "È sempre stato il mio mito. Non sono mai riuscito a incontrarlo, ma a 11 anni gli mandai una lettera; mi rispose consigliandomi di studiare il blues, perché è alla base di tutto. Così andai a cercare tutti i dischi di blues che potevo e iniziai a studiarlo, in un attimo ero al jazz. Lo canticchio spesso, è un ottimo antidoto contro il primo accenno di tristezza".
La colonna sonora di Stefano Bollani: dal blues alle contaminazioni afro
Partendo dal libro 'Carosonissimo' di Federico Vacalebre, Bollani ha ricreato le canzoni e la colonna sonora restando fedele alla versione originale: "Ho dovuto immaginare la musica che Carosone suonava in Africa senza avere nessuna registrazione, ho semplicemente pensato a cosa potesse aver sentito all'epoca". E sottolinea come Carosello Carosone, al contrario di quanto facciano di solito i biopic musicali, "non presenta il lato oscuro della musica, ma quello più chiaro e limpido. Racconta il percorso di un uomo che capisce la propria missione al punto da incontrare regolarmente tutto quello che gli serve: persone che lo aiutano e gli spianano la strada. Un modo per dimostrare che 'si può fare, si può scoprire e trovare il proprio talento se il mondo intorno ti aiuta'". Una narrazione segnata dalla musica sin dall'inizio, se è vero che l'idea a Matteo Rovere e Sydney Sibilia (che lo producono con la Groenlandia) sarebbe venuta proprio ascoltando in un bar 'Tu vuò fà l'americano': "Ci ha messo di buon umore, realizzarlo è stato appagante e divertente. Lo definirei un film sul talento e sulla capacità di affermarsi, sulla meritocrazia". Fondamentale poi, il contributo del figlio Pino che "ha fatto un po' da padrino per tutto il racconto, regalandoci alcuni aneddoti da backstage".
"Era una storia poco conosciuta - spiega il regista - ma raccontava canzoni ancora nelle orecchie di tutti. Ci sembrava interessante parlare di un personaggio così esplosivo, perché ci dava anche la possibilità di raccontare la rinascita di un paese dopo la guerra attraverso il talento, la musica e l'intrattenimento intelligente. La storia ancora attuale di chi ce l'ha fatta con le proprie armi". Blues, jazz, swing e canzone napoletana contaminati dai ritmi africani: così Carosone aveva rivoluzionato la musica del Bel Paese tra gli anni '40 e '50, portandola a scalare le classifiche americane senza mai incidere in inglese, l'unico a farlo insieme a Domenico Modugno. Le sonorità e le parole di 'Torero' o 'Tu vuò fà l'americano' sarebbero diventate famose in tutto il mondo. Un grande anticipatore dei tempi capace di rendersi conto di quanto lo scenario musicale e i gusti del pubblico stessero cambiando e quindi anticipare la sua uscita di scena all'apice della propria carriera, alla soglia dei 40 anni, quando forse "sentì il bisogno di fermarsi. Credo non ne potesse più di quella vita - aggiunge Bollani - ma non mise mai in discussione la passione per la musica, continuò a suonare per tantissimo tempo lontano dai riflettori".
A Popstar is Born: le stelle della musica sul grande schermo
Eduardo Scarpetta: il suo Renato Carosone tra ironia, musica e studio
Il film si apre nel 1958 a New York, sulla luci del Carnegie Hall, dove il Sestetto è pronto a esibirsi. Per Renato Carosone che arriva in America dopo una lunga tournée in giro per il mondo, è il sogno che si avvera. Da qui si apre un lungo flashback per ripercorrerne a ritroso la parabola artistica e umana: dagli anni trascorsi in Africa a raccogliere ritmi e suoni che poi avrebbe fatto propri, all'incontro con l'amore della sua vita, Lita (Ludovica Martino), a quello con il chitarrista olandese Peter Van Wood e il batterista Gegè Di Giacomo (Vincenzo Nemolato), fino al sodalizio con il paroliere Nisa, alla base dei suoi più grandi successi ('Tu vuò fà l'americano', 'Torero', 'Pigliate 'na pastiglia', 'Caravan Petrol', 'O' sarracino').
Carosello Carosone sceglie di mettere in scena, seppur in qualche caso in maniera troppo superficiale e frettolosa, il genio, il piglio rivoluzionario, l'ironia anarchica, la spinta libertaria e anticonformista del protagonista, e nello stesso tempo la sua sensibilità di uomo mite e onesto, che per nessuna ragione avrebbe lasciato indietro i propri compagni di palcoscenico e la famiglia. Per interpretarloEduardo Scarpetta ha iniziato a studiare un mese e mezzo prima dell'inizio delle riprese con Ciro Caravano, che era stato suo insegnate di canto al Centro Sperimentale: "Abbiamo cominciato a studiare voce e pianoforte e ho anche comprato una tastiera Yamaha a 450 euro. Ho dovuto fare molti esercizi per imparare ad articolare le dita, poi abbiamo registrato le canzoni con Stefano".
Ma non è stato facile, soprattutto riproporre con la voce le contaminazioni africane: "Ho spesso provato tanta rabbia e frustrazione quando Ciro mi faceva notare che non andava bene. Le ho fatte e rifatte, le ho anche cantate da solo a casa, e poi c'era lo studio del piano, non avevo mai messo mano a uno strumento musicale". Alla fine ci sono voluti "studio, preparazione e testa bassa" per riportare sullo schermo il talento e l'umanità di un artista che Scarpetta non esita a definire "il Maradona della musica, una leggenda non solo napoletana ma anche italiana e mondiale, un sanissimo esempio di altruismo artistico, da cui si impara tanto: quando si rese conto che non aveva più nulla da dire e che stavano arrivando gli urlatori e il rock' n roll americano decise di defilarsi".
Girato in piena pandemia a Napoli il film ha rappresentato per l'attore anche l'occasione per rivivere "le emozioni di una compagnia teatrale sul set di un film. Abbiamo fatto qualcosa di cinematografico ma con lo spirito di una compagnia, stavamo tutti insieme in albergo anche se casa mia si trovava a cinquanta metri di distanza, uscivamo solo per girare e poi ci ritrovavamo a pranzo e a cena, era come se vivessimo in una bolla".