Captive State, la recensione: Gli alieni, l’America e Donald Trump

La recensione di Captive State: un film di fantascienza originale, una storia universale e una metafora dell'America divisa in due dell'era Trump.

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Captive State: Ashton Sanders durante una scena

"Temi i greci che portano i doni". È una battuta che si scambiano due personaggi di Captive State, il film di Ruper Wyatt in uscita il 28 marzo. Il riferimento è a all'Iliade di Omero e al Cavallo di Troia (la frase esatta, timeo Danaos et dona ferentes, è "temo i Danai, cioè i Greci, anche quando recano doni"), lo stratagemma di Ulisse che permise ai greci di vincere l'infinita Guerra di Troia. Il riferimento è sottile e lo capiremo solo alla fine del film, ma avrete capito che parliamo di uno stato di guerra. Così come da questa nostra recensione di Captive State capirete che si tratta di un film molto particolare: un film di fantascienza - con i piedi ben piantati nella realtà odierna - che è una variazione sul tema dell'invasione aliena, un film indipendente originale, una storia di alieni senza gli alieni, un indie-pendence day. Per chi è appassionato del genere, ma non solo, un film da vedere. Fino in fondo.

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Captive State: un'immagine del film

La trama: non è La guerra dei mondi o Independence Day

A differenza di molti film di fantascienza, come La guerra dei mondi, o Independence Day, Captive State non si concentra sulla guerra. Per evocarla basta una breve scena, con l'arrivo di pochi alieni in un tunnel, e una spiegazione efficace durante i titoli di testa. Il film vero e proprio inizia nove anni dopo l'invasione, e dopo che abbiamo capito che gli umani hanno fatto un armistizio con gli invasori: gli hanno ceduto il comando, le leggi, e il centro delle principali città, dove gli alieni si sono stabiliti con le loro astronavi, per poi diffondersi nel sottosuolo. La polizia e i governi collaborano con loro. Ma c'è una frangia degli umani che decide di organizzare la resistenza. Di accendere un fiammifero che possa far scoppiare una guerra. Tra loro seguiamo le gesta di Gabriel (Ashton Sanders), che cerca il fratello creduto da tutti morto, Rafe (Jonathan Majors), che è diventato un simbolo della resistenza, di William Mulligan (John Goodman), un poliziotto, e di Jane Doe (Vera Farmiga), una escort che intrattiene con lui una strana relazione.

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Un film sugli alieni senza gli alieni

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Captive State: Ashton Sanders in una scena del film

Capitve State è un film estremamente furbo, in qualunque accezione vogliate intendere il termine, forse addirittura geniale. Perché riesce a fare un film sugli alieni senza gli alieni: dopo il prologo, li vediamo in una breve apparizione nel momento chiave del film, e una volta in sottofinale. Per il resto la loro presenza è evocata, attraverso i nostri contatti con loro, la presenza delle loro astronavi, organiche come rocce appuntite, le loro basi al centro delle città, le scie di alcune bombe lanciate. È un'idea geniale perché permette alla produzione di girare un film di fantascienza con un budget contenuto, limitando all'essenziale gli effetti speciali. Ma non è ovviamente solo una questione di costi e di mezzi. In fondo Captive State è girato così perché, non vedendo l'invasore ma sentendo costantemente l'atmosfera di oppressione, diventa una storia che si apre a un discorso universale, che potrebbe raccontare tutte le repressioni, tutte le dittature, tutti i controlli e i controllori.

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Captive State: una scena del film

Una metafora dell'America di Donald Trump?

È giusto che gli alieni ci siano ma che non si vedano. Perché l'attenzione è davvero tutta su di noi. Forse vediamo Trump dappertutto, in ogni film che esce, come anni fa ci vedevamo Bush o l'11 settembre. Ma ci sembra che sia possibile vedere Captive State come una metafora dell'America odierna, un paese diviso in due, tra chi non accetta un governo che ritiene deleterio, e non si sente rappresentato da esso, e chi invece lo appoggia. Rappresentare l'alieno come colui che fa le leggi, che limita ogni libertà civile, è evidentemente il segnale di una profonda insofferenza verso chi si ritiene un comandante fuori dal mondo, e il bisogno di risvegliare gli altri che ancora lo appoggiano. Come non vedere nella resistenza l'America dei giovani, quella che si sta risvegliando, quella che non ha paura di chi ha paura? Eppure dobbiamo inserire Captive State nel novero dei film "profetici": ha avuto una gestazione lunghissima e la sceneggiatura è stata completata nel 2016, poco prima dell'avvento di Donald Trump. La sua comparsa è coincisa con l'avvio delle riprese, nel 2017, confermando qualcosa che evidentemente era nell'aria e che Rupert Wyatt e la sua cosceneggiatrice, la moglie Erica Beeney, hanno saputo cogliere.

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Captive State, un film originale

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Captive State: James Ransone in una scena

Basterebbe tutto questo per fare di Captive State un film interessante. Ma è un film originale anche per molti altri aspetti. A cominciare dagli alieni: per quel poco che li vediamo possiamo notare che sono piuttosto diversi da come li avevamo visti raffigurati finora. Sono ricoperti di spessi peli che, rizzandosi, possono diventare aculei. Così come sono piuttosto nuove le navi. E anche le città non sono le solite metropoli rase al suolo ma sono tutto sommato le città di oggi, con i loro grattacieli (il film è stato girato in alcune vere location di Chicago), ma con un grande monte al centro, qualche nube di fumo che sale al sottosuolo, piccoli droni che solcano il cielo. Sulle coste del lago Michigan si stagliano delle torri, probabilmente dei pozzi di estrazione delle nostre risorse. Insomma, è il nostro mondo, con qua e là dei segni di un'inquietante presenza.

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Captive State: una scena con Vera Farmiga

John Goodman, figura da noir, e la rivelazione finale di Rupert Wyatt

Captive State: John Goodman in una foto del film
Captive State: John Goodman in una foto del film

Sono delle magnifiche presenze invece i due attori chiave del film. William Mulligan il poliziotto di John Goodman, è una stropicciata figura da noir in impermeabile, silenzioso e pieno di dubbi e misteri. La Jane Doe di Vera Farmiga è una prostituta dolce, dolente e molto colta. Alla regia c'è l'autore di L'alba del pianeta delle scimmie, Rupert Wyatt, che anche qui aspetta la fine per rivelarci tutto il piano e il senso del film. Wyatt, che si è ispirato a film come L'armata degli eroi di Melville e La battaglia di Algeri di Pontecorvo, ancora una volta gira un film che ci fa interrogare sulle nostre azioni e le nostre responsabilità, un film dal vago sapore orwelliano, che non lascia indifferenti.

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Conclusioni

Nella recensione di Captive State spieghiamo come sia un film molto originale, un film di fantascienza con i piedi ben piantati nel mondo di oggi, dove le libertà civili sono sempre più a rischio. È un film di alieni in cui l’attenzione è a noi e alle nostre reazioni verso il potere. E può essere letto come una metafora dell’America di Trump, anche se è stato scritto prima. E quindi è addirittura un film profetico.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • È un film intelligente e furbo, addirittura geniale: gli alieni si vedono poco, ma sono sempre evocati, e questo permette un grande risultato con un budget ridotto.
  • Non mostrando l’invasore ma sentendo costantemente l’atmosfera di oppressione, diventa una storia universale, su tutte le repressioni.
  • Può essere letto anche come una metafora dell’America di Trump, un paese diviso in due.

Cosa non va

  • Potrebbe scontentare chi si aspetta il classico film sulle invasioni aliene, con astronavi, bombardamenti ed extraterrestri verdi…

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3.5/5