Peter Bowker, scrittore e produttore, da circa vent'anni è uno dei Re Mida della TV britannica: in Gran Bretagna, infatti, ha firmato produzioni apprezzatissime come Flesh and Blood, Blackpool, Occupation, Eric & Ernie e Marvellous, aggiudicandosi tre BAFTA TV Award. E per l'autunno 2015, Bowker torna sulla scena con un nuovo dramma televisivo realizzato per la BBC: Capital, miniserie in tre episodi basata sul romanzo omonimo di John Lanchester, la cui prima puntata è stata presentata in anteprima in concorso al RomaFictionFest 2015, dove ha ottenuto il premio per la miglior sceneggiatura.
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Nell'arco di circa quaranta minuti, Capital - Mistero a Pepys Road ci conduce all'interno delle vite dei suoi protagonisti, in un racconto corale contraddistinto da un'unica cornice: Pepys Road, una via situata in un quartiere residenziale nel Sud di Londra. Nato come un sobborgo popolare per le famiglie della working class, con il passare dei decenni Pepys Road ha assunto sempre maggior prestigio, facendo schizzare verso l'alto il valore delle case: un fenomeno sintetizzato anche dagli intermezzi che scandiscono lo scorrere del tempo narrativo, con il passare dei mesi autunnali.
"We want what you have": niente da nascondere?
"Vogliamo quello che hai": è il messaggio, velatamente minaccioso, che giunge in contemporanea a tutti gli abitanti di Pepys Road. Un messaggio reiterato, che di mese in mese torna a manifestarsi: prima sottoforma di innocue cartoline, per quella che potrebbe essere semplicemente una bizzarra campagna promozionale, e in seguito stampato su foto 'rubate' degli stessi abitanti del quartiere (a questo punto, a qualcuno tornerà in mente Niente da nascondere di Michael Haneke). Il mittente dei messaggi è ignoto, ma su una cosa i destinatari quasi di certo hanno ragione: sono di fronte a un'escalation, e qualunque sia l'obiettivo delle missive, a breve esso verrà reso noto... che si tratti di pubblicità o di un reale rischio.
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Si tratta dell'unico, autentico elemento di suspense introdotto nella prima puntata di Capital: l'indizio di un pericolo indefinito ma incombente, destinato a concretizzarsi negli episodi successivi. È uno dei motivi per cui è difficile elaborare una valutazione precisa di Capital a partire dai primi quaranta minuti: lo sceneggiato di Peter Bowker, contraddistinto dalla sobria regia di Euros Lyn, non ha alcuna fretta di mettere in moto la trama. Al contrario, Capital si prende i suoi tempi in maniera distesa (forse fin troppo), senza scoprire le proprie carte, né innescando - per ora - una vera tensione rispetto a quanto viene messo in scena in questo episodio introduttivo.
Gruppi di famiglia in un interno
Agli occhi dello spettatore, Pepys Road appare come un microcosmo emblematico della Londra contemporanea. Un angolo di Londra cosmopolita, lontano da tensioni sociali ma dipinto al contrario come lo scenario di una pacifica convivenza fra gruppi etnici e religiosi differenti: un quartiere in cui un'anziana vedova non ha paura di percorrere la strada di sera, al ritorno dalla spesa, e dove il razzismo e l'ignoranza non sembrano trovare spazio. Ma in questo episodio d'apertura, Capital svela soprattutto l'intenzione di offrirci uno sguardo alle vite private di questi personaggi, mostrati singolarmente o nei rispettivi nuclei familiari: da quello dell'uomo d'affari Roger (Toby Jones) e di sua moglie Arabella (Rachael Stirling), due individui materialisti, nella spasmodica attesa di un bonus a sette cifre sulla busta paga di Roger, alla famiglia di Ahmed (Adeel Akhtar), immigrato pakistano che gestisce un emporio, mantiene i propri figli ormai adulti e all'ora di cena si collega in videochat con la moglie in Pakistan.
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Nell'arco di pochi minuti ci vengono presentate anche Quentina (Wunmi Mosaku), una giovane donna arrivata dallo Zimbabwe come rifugiata politica, impiegata come vigile urbano ma messa di fronte al rischio di dover tornare nella terra d'origine; e Petunia (Gemma Jones), una gentile ed anziana vedova a cui viene data una drammatica notizia. Tanta carne al fuoco, insomma, per una miniserie che procede lungo binari paralleli, e che per ora si è soffermata in particolare sulla storyline dedicata a Roger e Arabella: il ritratto di un precario equilibrio matrimoniale, basato essenzialmente sul privilegio altoborghese e sugli status symbol, è di notevole sgradevolezza e di impressionante ferocia, ma al contempo non trasforma i due personaggi in un facile bersaglio, restituendo invece gli aspetti più intimi della figura di Roger, una sorta di moderno mad man alle prese con il silenzioso malessere provocato dal peso di dover sostenere la facciata di una "famiglia perfetta".
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3.0/5