Cafarnao, la recensione: il film di Nadine Labaki emoziona, fa discutere e prenota premi importanti

Cafarnao, la recensione: c'è chi ne esalterà la realizzazione e la recitazione naturalissima, c'è chi invece si dirà scandalizzato dal modo furbo e ricattatorio con cui la regista manipola i suoi spettatori con immagini che non possono lasciare indifferenti; noi facciamo parte della prima categoria.

Cafarnao - caos e miracoli: una scena del film
Cafarnao - caos e miracoli: una scena del film

Forse non molti avranno sentito parlare di "poverty porn", ma è un modo dispregiativo di definire opere che raccontano e fotografano condizioni di estrema miseria con lo scopo di mostrarle al pubblico occidentale. Possono essere libri, articoli di giornale o anche video e film. Nel mondo del cinema, per capirci, il premiatissimo The Millionaire ne è spesso considerato l'esempio più famoso. Se per parlarvi di Cafarnao, il nuovo film della talentuosa regista libanese Nadine Labaki partiamo da questa premessa, è per spiegarvi perché di questo film sentirete probabilmente parlare in modo completamente opposto. C'è chi ne esalterà la realizzazione e la recitazione naturalissima, c'è chi invece si dirà scandalizzato dal modo furbo e ricattatorio con cui la regista manipola i suoi spettatori con immagini che non possono lasciare indifferenti.

Noi facciamo parte della prima categoria, ma non per questo non riusciamo a comprendere, almeno in parte, le motivazioni di coloro che non hanno amato questo Cafarnao. Allo stesso modo però non si dovrebbe poi fare troppa fatica a capire ed accettare gli eventuali, e probabili, premi che potrebbero arrivare. Forse già a partire dalla Palma d'Oro o comunque un premio importante a Cannes, e, chissà, forse anche una possibile candidatura all'Oscar per il miglior film straniero. Perché Cafarnao emoziona, coinvolge, racconta storie (purtroppo) verosimili e lo fa, soprattutto, con una messa in scena ed una recitazione superba.

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Il bambino che odiava i genitori

La storia del film parte con una premessa che ha del grottesco, un dodicenne incarcerato per tentato omicidio decide di tornare in tribunale non per difendersi ma per denunciare i suoi genitori, rei di averlo messo al mondo. In realtà di grottesco non c'è assolutamente nulla perché, una volta conosciuta la storia del piccolo ma risoluto Zain, si capisce perfettamente quello che la regista vuole dirci. E, ancora una volta, dopo lo splendido E ora dove andiamo? del 2011, Nadine Labaki si dimostra una donna forte e coraggiosa, un'artista che non ha mai paura di porsi e porre delle domande scomode. Se è vero che non c'è niente di più importante che salvaguardare i bambini, la loro innocenza e i loro diritti, esistono tantissime realtà in cui tutto questo non avviene. Tanti luoghi nel mondo in cui ragazzi e ragazze giovanissimi sono costretti a lavorare, a rinunciare alla possibilità di essere educati ed istruiti, a sposare uomini molto più grandi. Cafarnao denuncia tutto questo con un realismo che a volte fa gelare il sangue e lo fa, ovviamente, puntando il dito contro le istituzioni ma anche e soprattutto alcuni genitori che non sempre sono in grado di essere all'altezza del loro ruolo.

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Se questo è un bambino

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L'odissea del povero Zain è struggente. Lascia casa dopo un evento traumatico e si ritrova a vivere da solo in mezzo a persone che a loro volta fanno fatica a sopravvivere. Ad un certo punto si trova costretto anche a prendersi cura di un bambino africano di un anno appena, ed è proprio lì che vive sulla sua pelle le difficoltà di essere "genitore", e inizia anche a comprendere come a volte si sia costretti a compiere scelte terribili di cui ci si pentirà per tutta la vita. Zain però non ci sta, così come la sua regista, e decide di denunciare questa condizione e non accettarla più passivamente. E sì, utilizza tutte le armi che ha disposizione, tra cui quella del muovere a pietà tipica del "poverty porn" di cui sopra.

Cafarnao - Caos e miracoli: la regista Nadine Labaki in un'immagine promozionale
Cafarnao - Caos e miracoli: la regista Nadine Labaki in un'immagine promozionale

Ma se non ci risulta poi troppo difficile accettare queste "scorrettezze" è grazie alla realizzazione veramente magistrale di queste sequenze shock. Pur utilizzando solo attori non professionisti, la Labaki riesce ad ottenere esattamente quello che vuole perfino da un bambino di un anno. Impossibile non pensare alla difficoltà di alcune riprese e non rimanere ammirati dalla risolutezza di questa regista che sa esattamente quello che vuole. Il piccolo Zain Al Rafeea è semplicemente superbo nel ruolo del protagonista omonimo, ed è la sua rabbia crescente, unita alla dolcezza e all'innocenza tipica della sua età, a caratterizzare ed elevare il film. Ed è sempre lui che ci lascia nel finale un messaggio di speranza di grande semplicità e potenza: un sorriso. L'unico che gli vediamo in tutto il film ma sufficiente a rimanerci impresso per molto tempo, lo stesso che migliaia di bambini ogni giorno aspettano di poter mostrare al mondo intero.

Movieplayer.it

3.5/5