Dopo il successo inaspettato e planetario di una serie come Squid Game, che ci mostrava una Corea del Sud fatta anche di violenza e di povertà estrema, Netflix ci riporta a Seul con un documentario che ci presenta quella stessa società attraverso la lente del reale, raccontandoci la sfrenata carneficina compiuta dal primo serial killer del paese, Yoo Young-chul. Come scopriremo in questa recensione de Caccia al killer dall'impermeabile giallo, la docuserie diretta da John Choi e Rob Sixsmith è capace di trasportarci nella Corea dei primi anni Duemila (il periodo di attività del killer è tra il 2003 e 2004), raccontandoci il contesto sociale in cui Yoo Young-chul diede inizio alla sua malata "carriera". Il valore aggiunto di questo documentario, infatti, è quello di allargare lo spettro della propria narrazione per contestualizzare i fatti in una realtà sociale e culturale che a noi è così lontana, aiutandoci a comprendere meglio gli eventi narrati ma anche il mondo raccontato in altri prodotti di intrattenimento coreani, dal premiatissimo Parasite al recente Squid Game.
La follia omicida di Yoo Young-chul
A cavallo tra il 2003 e il 2004 Yoo Young-chul massacra venti persone (anche se in diverse occasioni aveva dichiarato di averne uccise di più), dagli anziani benestanti di un quartiere rinomato di Seul alle prostitute e massaggiatrici della zona a luci rosse della città. Non ci sono precedenti nella storia della Corea del Sud, paese che sta andando incontro a un periodo di incredibile modernizzazione, tanto per numero di vittime e crudeltà di modus operandi scelto. Come è facile immaginare la polizia si trova inizialmente impreparata, le indagini procedono a tentoni e nessuno sa esattamente quale procedura seguire per catturare il più presto possibile il killer. Sarà però proprio questo caso, come ci verrà poi spiegato in chiusura, a spingere le forze dell'ordine coreane a cambiare i propri metodi, dotandosi di una scientifica e di profiler adatti ad affrontare situazioni come questa. Una volta catturato Yoo Young-chul - che come scopriamo tra il secondo ed il terzo episodio della docuserie darà parecchio filo da torcere agli investigatori - alla polizia e alle autorità politiche toccherà fare i conti con le atrocità compiute dall'uomo, cosa che purtroppo metterà in luce quanto il sistema governativo sudcoreano fosse totalmente impreparato all'eventualità di dover fornire tanto un risarcimento quanto un supporto psicologico alle famiglie delle vittime, su cui l'operato del killer ha ovviamente avuto terribili conseguenze.
I 20 migliori documentari su Netflix da vedere assolutamente
Un documentario completo ed interessante
Come dicevamo in apertura, a rendere particolarmente interessante il documentario di John Choi e Rob Sixsmith è il fatto che si riesca a tratteggiare in maniera particolarmente completa il contesto - storico, sociale e culturale - in cui avvengono i fatti. Questo anche grazie alle numerosi voci che partecipano a Caccia al killer dall'impermeabile giallo, dai familiari delle vittime ai poliziotti che presero parte alle indagini, dagli avvocati agli investigatori e al profiler che si occupò del caso, e che interagì direttamente con Yoo Young-chul. A questi inestimabili contributi si aggiungono anche numerosi documenti di repertorio che arricchiscono i tre episodi della serie, rendendola ancor più completa e approfondita. Unica pecca, forse, le sequenze in cui quello che dovrebbe essere Yoo Young-chul come voce fuori campo racconta i proprio turbamenti e pulsioni: purtroppo risultano un po' ridondanti e non particolarmente utili ai fini della narrazione. Detto questo, però, Caccia al killer dall'impermeabile giallo è un documentario molto interessante, capace di catturare tanto chi ama questo genere di prodotti true crime che chi solitamente non vi ci si approccia raccontandoci una realtà lontana come quella coreana che però è al centro di numerosi prodotti di intrattenimento di grande successo.
I migliori documentari true crime su Netflix
Conclusioni
In conclusione a Caccia al killer dall’impermeabile giallo sottolineiamo quanto questo documentario sia interessante e ben strutturato, anche perché ci racconta la società coreana, ultimamente al centro di molti prodotti (al cinema e televisione) di successo.
Perché ci piace
- Il documentario è interessante e ben strutturato.
- Approfondisce il contesto socio-culturale in cui è avvenuta la vicenda.
- Il documentario è arricchito da numerose testimonianze e materiale di repertorio.
Cosa non va
- Le sequenze in cui la voce di Yoo Young-chul racconta i propri turbamenti risulta un po’ ridondante.