Buongiorno Italia, c'è vita dentro te
Arriva dalla Settimana della critica la prima vera sorpresa italiana di questa sessantaseiesima Mostra del cinema di Venezia, un esordio brillantemente articolato in termini narrativi e dallo stile visivo potente, che ha la capacità di crescere sempre di più durante il suo dispiegarsi. Good Morning Aman parte infatti male, molto male: il protagonista si presenta agli spettatori con una voce off da dj, poi la regia comincia a seguirlo ostentando un'estrosità piuttosto fastidiosa. Tutto cambia nel giro di poche sequenze, quando Aman, un giovane somalo cresciuto a Roma, comincia a vagare per le vie della capitale, in una città multietnica nei numeri ma in cui si stenta ancora a realizzare l'integrazione. Vedendo un invisibile promosso a protagonista di un film italiano, si teme una classica e retorica storia di discriminazione razziale, ma ci si ritrova lentamente immersi nel toccante racconto di un'amicizia tra due solitudini rappresentanti due mondi totalmente diversi.
Con l'entrata in scena di un tormentato Valerio Mastandrea nei panni di un ex-pugile che ha perso il gusto della vita per una tragedia nel passato di cui ancora non sa scontare la colpa, il film chiarisce le sue intenzioni, rivelando una profondità e una ricchezza a livello di scrittura davvero inusuale nel panorama del cinema italiano. Evitando la trappola dell'opera ombelicale, Claudio Noce esordisce dietro la macchina da presa con una sceneggiatura scritta a più mani, tra le quali le sue, che si muove su più livelli e dà grande libertà allo sguardo del regista di posarsi su personaggi e ambienti in maniera personale che per una volta s'allontana dalla mediocrità della cinefiction nostrana. Noce gioca col fuoco, fa parlare soprattutto i volti variando continuamente la messa a fuoco, educando il nostro sguardo a quello che si vede e quello che si dovrebbe vedere, spesso però gratuitamente. Digerendo il suo stile si rischia seriamente di trovarlo geniale. E' molto interessante la struttura di Good Morning Aman che si concentra separatamente su due personaggi non facili da amare per lo spettatore, per motivi diversi. Poi li coglie insieme nelle lotte e negli abbracci, in un tenero ma virile rapporto da cui le rispettive solitudini cercano di trarre sollievo. Il loro si configura quindi come un viaggio, l'uno dentro l'altro, ognuno dentro sé stesso: Aman è incapace di mostrare una qualsiasi reazione, anche quando provocato; Teodoro deve fare i conti con un passato che l'ha allontanato dal mondo esterno. La vita per quest'ultimo è una faccenda che riguarda un altrove inafferrabile, come spiega il dipinto in cui perde spesso lo sguardo: un uomo di spalle in piedi su una montagna. Noce si muove in una Roma che oggi sarebbe tanto cara a Pasolini, tra Piazza Vittorio e Corviale, con il terribile "Serpentone" che fa da sfondo al degrado dell'anima della città. Il film torna a perdersi verso il finale, un vero capolavoro in termini di montaggio ma eccessivo nella sua produzione di senso, sfiorando il risibile. Lo script ha però l'intuizione di confondere, sminuzzando la realtà nell'immaginazione. Ci sono piccole ingenuità e difetti macroscopici in quest'opera che ci negano il gusto di gridare alla nascita di un grande autore, ma la sua freschezza e la frequenza con cui riesce a fare delle immagini una poesia metropolitana lascia ben sperare per il futuro.