All'inizio del nuovo millennio Sylvester Stallone divenne testimonial di una nota marca alimentare nostrana e fu protagonista di uno spot "a tutta azione" al termine del quale svelava il suo nome, Bubi, suscitando l'ilarità generale. Un destino simile è capitato allo sfortunato protagonista di questa produzione tedesca, con solo una vocale a cambiare il presunto impatto sull'interlocutore. Ad ogni modo, come vi raccontiamo nella recensione di Buba, l'omonimo personaggio non possiede certo le possenti fattezze del Rocky Balboa cinematografico e le risate sono un dato di fatto, dovuto alla tipologia di film del quale è protagonista. Buba è infatti un gangster-movie virato alla commedia, pronto a rimpinguare il catalogo Netflix e a far più che altro numero piuttosto che portare effettiva qualità. Ma andiamo con ordine...
Una vita con poco da ridere
La trama vede appunto al centro della vicenda il suddetto Buba e il prologo si apre con la sua presunta morte per mano di un branco di piccoli teppisti. La storia è infatti raccontata tutta in un lunghissimo flashback di novanta minuti, diviso in quattro capitoli che ripercorrono le fasi salienti della più o meno fortuita ascesa criminale del nostro. Un antieroe sui generis, al quale fin dall'infanzia non ne va una giusta: mentre il piccolo Buba partecipa ad una competizione di break-dance e riesce ad avere il suo agognato primo bacio, i suoi genitori perdono la vita in un incidente d'auto e il fratello Dante, unico sopravvissuto, ne esce scosso e affetto da una sindrome tutta particolare. Da quel momento la sua esistenza cambia per sempre e l'indole criminale cresce a dismisura, con Dante stesso che lo sfrutta per i suoi scopi illeciti. E quando i loro interessi cozzano con quelli della mafia albanese, i due consanguinei finiscono per restare coinvolti in un intrigo molto pericoloso che coinvolge le bande cittadine.
Divertimeno derivativo tra pulp e ironia nera
Sospeso a metà tra sussulti alla Guy Ritchie e suggestioni più leggere alla Jean-Pierre Jeunet, Buba è un film senza arte né parte, mai capace di esprimere una chiara identità e sempre pronto ad affidarsi a soluzioni sulla carta sicure, ma che risentono di una messa in scena quasi sempre approssimativa. Ci troviamo di fronte ad un prequel della serie, sempre esclusiva Netflix, Come vendere droga online (in fretta), ma se in quell'occasione il regista Arne Feldhusen aveva convinto critica e pubblico, in questo caso non è riuscito a trovare la giusta coesione tra la dark-comedy e il gangster-movie, affossando ben presto i protagonisti in uno stanco susseguirsi di gag che non lasciano mai il segno.
Un susseguirsi di cliché poco ispirati
Il continuo insistere sugli stereotipi, il mellifluo afflato nostalgico e la pressoché assenza di carisma da parte dei personaggi principali, più odiosi che interessanti nei loro esasperati complessi, finiscono ben presto per far perdere d'interesse e le situazioni sporche che fanno capolino qua e là non fanno che confermare quanto di gratuito sia stato speso in fase di sceneggiatura, nel mancato tentativo di scioccare / irritare lo spettatore, dimentico di come il filone si sia ampiamente evoluto nel corso dell'ultimo decennio. La sottotrama romantica, che finisce per sdoppiarsi e aggiungere ulteriore caos alla definitiva resa dei conti finale, è ennesimo orpello inutile per provare a rendere più umana la figura di Buba, con il voice-over che cerca di aumentare il senso di immedesimazione con risultati altrettanto deludenti. Giusto la parziale bromance tra i due fratelli, pilastri di un buddy-movie allo stato grezzo, può offrire qualche dinamica parzialmente più accattivante, con diversi scambi di battute che emergono nel piattume generale. Ma tra buchi di sceneggiatura evidenti e una comicità di grana grossa, Buba finisce per essere un'occasione sprecata.
Conclusioni
Forse gli amanti della serie di cui è prequel, ossia Come vendere droga online (in fretta), potranno trovarvi qualche motivo di curiosità, ma come vi abbiamo raccontato nella recensione di Buba per tutti gli altri è una visione più che evitabile. Tra gangster-movie e commedia, il film del tedesco Arne Feldhusen gira a vuoto nel corso di un'ora e mezza di visione che gioca sugli stereotipi e reinterpreta gli archetipi in maniera approssimativa e caricaturale, senza mai trovare la propria quadra.
Perché ci piace
- Qualche scambio di battute divertente-
Cosa non va
- Humour grezzo e poco ispirato-
- Personaggi privi di carisma-
- Narrazione e relativa messa in scena monotoni-