Dodici anni dopo il terzo capitolo della saga di Die Hard, Bruce Willis torna a vestire i panni dell'eroe John McClane in un film dal ritmo mozzafiato che promette di intrattenere il pubblico con "cose incredibili, mai viste prima". Sbarcato a Roma per presentare Die Hard - Vivere o morire, in uscita il 26 ottobre in 600 copie distribuite da Fox, Willis incontra la stampa nella piccola sala Torlonia dell'Hotel de Russie e si congeda dai giornalisti stringendo loro la mano, uno per uno, per scusarsi del ritardo accumulato a causa di un problema legato ad un capo d'abbigliamento non arrivato nei tempi previsti.
Come può un attore cinquantenne tornare a vestire i panni di un action hero che ancora non ha paura di lanciarsi in pericolose avventure? Ce lo svela il divo Willis, con berretto e occhiali da sole, sotto l'occhio vigile delle sue guardie del corpo.
Signor Willis, lei porta avanti il ruolo di John McClane da più di venti anni. Cosa la lega al personaggio?
Bruce Willis: L'elemento di continuità del personaggio è fondamentalmente quello che io ero e ciò da cui venivo. Avevo trent'anni all'epoca del primo Die Hard (Trappola di cristallo). Quando mi è arrivata la proposta di interpretare quel ruolo avevo fatto televisione per un anno e l'offerta di un ruolo così importante ad un attore praticamente sconosciuto ha suscitato molto scalpore ad Hollywood. Sono cresciuto nel New Jersey e quando cresci in una determinata città ci sono alcune caratteristiche che ti porti dietro e in questo caso sono le stesse che mi legano a McClane, e quindi ritrovo molto di me nel personaggio, un uomo che in realtà in questi anni non è cambiato molto, a parte il fatto che è diventato più vecchio, più lento nei movimenti, e più irascibile e nervoso, ma credo che quest'evoluzione caratteriale sia comune a molti uomini.
Ha avuto paura di dover indossare a cinquant'anni la canottiera di McClane?
Ehi, sta parlando con Bruce Willis! No, seriamente, non ero preoccupato. Io interpreto questo personaggio come sono oggi, a 52 anni. Ho cominciato ad essere John McClane quando avevo 32 anni ed il personaggio è cambiato, invecchiato e cresciuto con me, perciò non ho avuto nessuna paura di dover indossare i suoi panni nuovamente.
Come si è preparato per questo nuovo capitolo della saga di Die Hard?
La preparazione è stata fatta in modo da reggere riprese molto veloci e i tempi serratissimi della produzione. Oggi non rimbalzo più come quando ero ragazzino e mi faccio molto più male quando mi lancio dalle macchine in corsa. In più non è facile competere con ragazzini che non erano nemmeno nati quando è uscito il primo Die Hard. Quindi non è stato semplice tornare a interpretare questo ruolo, ma di certo è stato un piacere.
Lei rende simpatici, grazie alla sua ironia, personaggi che altrimenti sarebbero inverosimili. Quanto di lei c'è nel film?
La parte comica del personaggio e quello che faccio nel film è frutto del mio lavoro. Sento il dovere di essere l'elemento di continuità dal primo Die Hard a quest'ultimo. Nel film accadono tante cose incredibili e perciò penso che abbiamo creato un trend, perché siamo il primo film a far fare al personaggio cose così incredibili, ad essere realizzato come un vero e proprio giro sulle montagne russe. Ovviamente spero che a nessuno venga in mente di lanciarsi da un'auto in corsa a 150 kilometri orari.
In questo periodo c'è il ritorno di attori come lei e Sylvester Stallone all'action movie e ai loro storici personaggi. Perché?
E' stato un grosso rischio e c'è voluto tanto tempo e lavoro prima di girare nuovi capitoli di storiche saghe, come Rocky o Die Hard, anche se tanta gente desiderava vedere questi personaggi di nuovo sul grande schermo. Se il primo film non avesse avuto il successo che ha avuto sarei tornato a fare qualche triste programma televisivo. C'è molta pressione sugli attori perché la gente chiede un determinato standard, ma io penso che andare al cinema sia sempre un piacere, anche perché rappresenta una buona occasione per baciare qualche bella ragazza.
Il dolore fisico è uno degli elementi che caratterizza la saga di Die Hard. Potremmo definire John McClane il primo eroe masochista della storia del cinema?
Non avevo mai pensato a questo punto di vista, ma credo che sia un'ottima idea! Posso dire che comincerò a definire il mio personaggio in questo modo: "John McClane, l'eroe masochista. Non importa se riesce a risolvere il crimine, l'essenziale è che ci sia sangue e dolore!" Nel 1987, all'epoca del primo film, abbiamo avuto l'opportunità di dimostrare cosa succede se sfondi una vetrata e abbiamo fatto fare al personaggio cose spaventose, alle quali riusciva sempre a sopravvivere. Tutto quello che ha fatto McClane fa parte ormai della mitologia e questa saga rappresenta un piccolo manuale di sopravvivenza per il John McClane che verrà.
Uno dei temi fondamentali del film è il rapporto tra analogico e digitale. Cosa pensa lei in merito a questa questione?
Il tempo oggi è diventato sempre più compresso, data la presenza di computer e informatica dappertutto. Oggi tendiamo a dare tutto per scontato e giriamo con un computer minuscolo che è diventata la normalità. Io cerco di mantenermi a passo con il progresso e a non farmi travolgere da questa corsa sfrenata della tecnologia.
Cosa sogna ancora Bruce Willis dalla vita?
Ho raggiunto un equilibrio ottimo nella mia vita, faccio un lavoro che mi piace e non ho più il timore, come in passato, che non mi sarebbero più state fatte proposte e con questa sicurezza che ho acquisito mi posso permettere di accettare ruoli che a 30 anni non avrei mai preso in considerazione. Quello che mi importa adesso è soltanto dare il massimo nel mio lavoro e migliorare costantemente.
Sente ancora forte il desiderio di fare un cinema diverso da quello d'azione?
Oltre ai film d'azione ho già interpretato tanti film impegnati e drammatici. Quando ero più giovane sapevo che quando mi sarei avvicinato ai 40 o ai 50 anni mi sarebbero stati offerti ruoli più seri che mi avrebbero fatto maturare come attore. Ora sto per girare due film molto importanti. Uno è Pinkville di Oliver Stone, un film sul massacro di My Lai nel Vietnam del 1968 che è un lavoro che si allontana un po' dalla cinematografia di Stone perché è un film meno basato su ipotesi e più su fatti veri, tanto che la Casa Bianca ha cercato di zittire tutte le notizie che riguardavano quest'episodio terribile del Vietnam e a tutt'oggi ci sono tanti giovani che ignorano completamente questo massacro. L'altro film che mi appresto a girare è Against All Enemies, con Robert Redford, tratto da un libro di Richard Clarke, e racconta quello che è successo alla Casa Bianca dopo l'11 settembre e del tentativo che c'era stato di avvertire della possibilità di un attacco terroristico agli Stati Uniti, un avvertimento rimasto inascoltato. In Die Hard - Vivere o morire il cattivo è un personaggio che lavorava presso la Casa Bianca e aveva cercato di avvisare del pericolo imminente, ma non è stato ascoltato e perciò decide di vendicarsi. Gli Stati Uniti, prima dell'11 settembre, si pensavano invulnerabili ma poi gli eventi hanno dimostrato che così in realtà non era.
A proposito di Casa Bianca. Pensa che il suo prossimo inquilino sarà un uomo di colore, una donna o chi altri?
Viviamo in un periodo molto interessante. Quando ero ragazzino nessuno si sarebbe mai immaginato la possibilità di vedere alla Casa Bianca un afroamericano o tantomeno una donna. Oggi ci troviamo invece con due candidati, uno nero e l'altra donna, che corrono per la poltrona di presidente. Io non mi interesso di politica e non sto seguendo la campagna elettorale che sta imperversando su tutti i mezzi di comunicazione, risultando a conti fatti soprattutto un grande show. Quello che mi importa davvero è che chiunque diventi il nuovo presidente degli Stati Uniti faccia qualcosa di concreto per fermare il terrorismo.