Brigsby Bear e il potere terapeutico dell’immaginazione

L'adorabile film proveniente dal Sundance e che ha chiuso a maggio la Semaine de la Critique, affronta con efficacia i temi del trauma e del potere terapeutico dell'immaginazione.

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Ricordate la sensazione che provavate da piccoli nel guardare il vostro show preferito? Quel calore dato dal senso di appartenenza a qualcosa di fantastico, più grande della realtà che vi circondava, nella quale solo i più piccoli sono capaci di credere con tale purezza? È insieme l'onore e l'onere di chi scrive storie per ragazzi, il vantaggio di un pubblico più che bendisposto ad esserne immerso totalmente, ma anche la responsabilità di trattare con menti e cuori così delicati e fragili.

Immaginate per un attimo, infatti, se quel vostro spettacolo preferito, che sia un film, un libro o una serie animata, fosse l'unica cosa a vostra disposizione, se quell'UFO Robot Goldrake o I Goonies di turno fosse l'unica via di fuga dalla prigione della vostra cameretta. Come e quanto sareste stati capaci di gestire una tale dipendenza? Quanto innaturalmente forte sarebbe stato il legame tra voi e quel mondo? Quanto vi sareste sentiti vicini ai personaggi che lo popolavano? Se lo chiede il regista Dave McCary nel film che ha presentato allo scorso Sundance e che ha chiuso a maggio la Semaine de la Critique di Cannes 2017, per poi approdare alla Festa del cinema Roma, Brigsby Bear, raccontandoci una storia che non ha nella presenza di Mark Hamill nel cast il suo unico motivo di interesse.

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Il piccolo mondo di James

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Una storia, quella di Brigsby Bear che inizia in una stanzetta dal sapore un po' vintage, davanti ad una vecchia TV a tubo catodico ed una trasmissione televisiva che sa di vecchio ed economico. Ne è protagonista un grosso pupazzo, un orso spaziale che aiuta le sue amiche umane in una lotta per la salvezza del mondo, ma ne è unico spettatore James, che vive rinchiuso in una sorta di bunker nel deserto fin quando non viene liberato. Perché James è un ragazzo preso alla sua famiglia 25 anni prima, quando era bambino, e cresciuto da Ted ed April, i suoi rapitori, come se fosse il proprio figlio e le avventure di Brigsby Bear è una serie estremamente longeva, composta da 35 volumi pubblicati su VHS e prodotta dagli stessi finti genitori soltanto per lui.

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Il mio amico Brigsby

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Come è naturale in questo contesto di isolamento, nel quale James è costretto ad usare maschere antigas per uscire all'esterno del bunker e deve pedalare sulla sua ciclette per generare energia, Brigsby Bear diventa molto più di un passatempo per il ragazzo, piuttosto una vera e propria ossessione su cui fantasticare, riflettere e discutere con i pochi amici virtuali, ovviamente finti ed impersonati dagli altrettanto finti genitori, con i quali si collega tramite un vecchio computer dal look molto anni '80. Un'ossessione difficile da lasciarsi alle spalle anche dopo la liberazione ed il ritorno alla sua famiglia originaria, a due genitori amorevoli quanto preoccupati ed una sorella adolescente che fa un po' fatica ad accettarne di buon grado la presenza. Un background che il film ci descrive con pochi tocchi e con intelligenza nei primi dieci minuti film, incuriosendoci fin dalle prime suggestive sequenze.

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Il potere dell'immaginazione

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Con la fine della prigionia, e dello show, James si trova così al cospetto di un mondo che non conosce, che di storie come il suo Brigsby Bear, anzi decisamente più evolute, è pieno, con l'incapacità di gestire rapporti umani che non fossero con BrigsbyBoy1 o BrigsbyBoy2 o BrigsbyGirl. Una difficoltà che il suo interprete Kyle Mooney, anche co-autore dello script con Kevin Costello, mette in scena con tenerezza, rendendo credibile un intreccio che spinge all'eccesso il limite della sospensione dell'incredulità, per il suo surreale sviluppo: James, infatti, supera le sue insicurezze e riesce ad integrarsi in un mondo che non riesce a comprendere nell'unico modo che gli è possibile, ovvero attraverso il suo idolo di fantasia, affidandosi alla propria immaginazione e dedicandosi, insieme ai primi nuovi amici, a riprendere la storia che i suoi rapitori avevano iniziato e chiudere un capitolo triste della sua vita.

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Brigsby Bear finisce così per essere un caloroso elogio della fantasia, mettendo in scena il trauma e il suo superamento attraverso di essa, racconta le ossessioni della nostra cultura prendendosene gioco con benevolenza e sincerità. Come accennato in apertura, c'è qualche nome noto da citare tra quelli che accompagnano Mooney nel suo percorso di crescita, da Claire Danes a Greg Kinnear e Andy Samberg, fino ad arrivare ad una delle icone della cultura pop per eccellenza: Mark Hamill, impegnato ad interpretare il padre rapitore di James, nonché autore e voce del fittizio eroe del titolo. Un Mark Hamill che dimostra, ancora una volta, la sua bravura di doppiatore quando si tratta di dar voce a personaggi di fantasia.

Movieplayer.it

3.5/5