Sarà Palma d'Oro? A chi lo dava ormai per bollito e destinato a realizzare solo opere minori all black destinate a passare inosservate (alzi la mano chi ha visto Chi-Raq, Il sangue di Cristo o Red Hook Summer), Spike Lee risponde sfoderando una delle migliori pellicole viste finora in concorso a Cannes 71. Non che il buon vecchio Spike cambi direzione rispetto al discorso sul razzismo che porta avanti fin dall'inizio della sua carriera. Più militante che mai, il cantore arrabbiato della black people stavolta trae linfa vitale da una storia vera raccontando l'impresa dell'agente di polizia afroamericano Ron Stallworth, in forza alla polizia di Colorado Springs, che nel 1979, con l'aiuto di un collega bianco ed ebreo, riuscì a infiltrarsi nel Ku Klux Klan diventano uno dei capi della sezione locale. La tattica da lui usata? Una semplice telefonata in risposta a un annuncio di reclutamento del KKK pubblicato sul quotidiano.
E le telefonate con cui Ron Stallworth conquista la fiducia dei membri del Ku Klux Klan sono uno degli ingredienti più gustosi di BlacKkKlansman, commedia satirica che segna il ritorno di Spike Lee ai fasti della prima fase della sua carriera. Stemperando i toni polemici di certi suoi pamphlet, il regista costruisce una pellicola divertente e militante, un proclama antirazzista che è al tempo stesso un period movie (l'epoca - il 1979 - permette a Spike Lee di sbizzarrirsi abbondando in pettinature afro, camicie dai colori sgargianti, pantaloni a zampa di elefante e disco dance) e uno specchio dell'America di provincia razzista di ieri e di oggi. Il regista mette in bocca a David Duke, suprematista bianco ai vertici del Ku Klux Klan interpretato con sinistra efficacia da Topher Grace, slogan quali "Make America Great Again", cavalli di battaglia della campagna elettorale di Donald Trump, creando un ponte diretto con il presente e le sue brutture.
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Buon sangue non mente
Ad anticipare i toni sardonici di BlackkKlansman è l'irresistibile incipit in cui Alec Baldwin, scelto non a caso vista la sua esilarante imitazione di Trump al Saturday Night Live, interpreta un suprematista bianco con problemi di dizione impegnato a confezionare un video di propaganda. La parola, più che l'azione, è al centro della commedia e della missione dei poliziotti sotto copertura, mostrati più spesso alla scrivania con la cornetta all'orecchio che sulla strada a combattere il crimine. Di conseguenza in BlackkKlansman abbondano giochi di parole, calembour, espressioni anacronistiche e il linguaggio volgare e colorito tipico dei film di Spike Lee. Tra un intervento e l'altro tiene bianco un'esilarante discussione sulla differenza del modo di parlare tra bianchi e neri. E sarà proprio questo dibattito la causa scatenante della missione di Ron Stallworth.
Nei panni dell'agente afroamericano, John David Washington è una rivelazione. Il figlio di Denzel Washington sembra aver ereditato il talento per la recitazione coi geni paterni. Fin da quando lo vediamo entrare in scena, intento a toccarsi la voluminosa chioma afro mentre sosta davanti alla stazione di polizia in attesa di arruolarsi, Washington cattura l'attenzione del pubblico. Con la sua presenza magnetica ruba la scena ai colleghi, sfodera tempi comici perfetti e ha una padronanza linguistica che gli permette di dar vita a divertenti scene in cui disquisisce sulle differenze del modo di parlare di bianchi e neri (anticipiamo che vedere BlackkKlansman in versione doppiata sarà un dolore). Con il look anni '70, il suo Ron sembra uscito di peso da un film della blackxploitation, ampiamente citata con tanto di collage di copertine di cult quali Shaft il detective, Coffy, Cleopatra Jones in un appassionato dialogo cinefilo con Patrice (Laura Harrier), l'attivista del Black Power di cui si è invaghito. E proprio la diatriba sulla sua abilità di imitare la parlata bianca lo spingerà a sfidare i colleghi apertamente razzisti rispondendo all'annuncio del Ku Klux Klan e facendosi passare per un suprematista bianco.
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Black Power rulez
Ogni poliziesco che si rispetti non può essere privo di una componente buddy movie. E BlackkKlansman non sfugge alla regola. Spike Lee affianca al carismatico John David Washington Adam Driver nei panni del collega bianco chiamato a interpretare Ron Stallworth di fronte al Ku Klux Klan. Nel ruolo di Flip, agente bianco, ebreo non praticamente, scettico nei confronti della missione a cui è stato destinato, Driver rappresenta l'alter ego perfetto di Washington dando vita a divertenti confronti. Ma tutti gli agenti del dipartimento di Colorado Springs, dal capo laconico e sornione al collega razzista e violento, funzionano a dovere nell'economia del racconto grazie a una sceneggiatura a prova di bomba che alterna momenti di grande concitazione a pause meditative in cui il saggio Ron riflette su come conciliare la carriera nelle forze dell'ordine con il sostegno alla sua etnia e alla vita privata ("tutti i poliziotti sono maiali razzisti contro cui ribellarsi" sostiene la fidanzata Patrice).
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Se proprio vogliamo trovare una sbavatura, in perfetto Spike Lee style non mancano momenti in cui la retorica del Black Power ha la meglio sulla storia. Al discorso del leader interpretato da Corey Hawkins che Lee piazza per intero nel cuore della prima metà del film corrisponde, nella seconda parte, un toccante cameo di Harry Belafonte nei panni di un veterano del movimento. Non contento, Spike Lee decide di aggiungere in coda al film un montaggio degli scontri di Charlottesville, Virginia, dell'estate 2017. Tra le immagini, particolarmente violente, spicca la dichiarazione di Trump il quale difende i partecipanti alla manifestazione neonazista pro-KKK definendoli "brava gente". Spike Lee non ha remore a puntare il dito ancora una volta contro quelli che ritiene i nemici della sua gente; in tal senso è significativa un'altra sequenza cinefila, montata in alternanza con le parole di Belafonte, in cui i membri del KKK reagiscono con entusiasmo alla visione di La nascita di una nazione, pamphlet razzista per eccellenza.
Questi momenti circoscritti si incastonano, però, in un film che brilla per eleganza ed equilibrio, un'opera matura che rappresenta una felice summa della poetica di Spike Lee sposando felicemente forma e contenuto (efficacissima la score di Terence Blanchard) e stemperando la vis polemica nell'ironia.
Movieplayer.it
4.5/5