BioShock, il ritorno del videogioco capolavoro: un naufragio in fondo al male

Malato, cupo, disturbante. Se esiste un degno erede delle distopie immaginate da George Orwell, si chiama BioShock. Un capolavoro videoludico che ci immerge nel delirio di un'umanità alla deriva.

Sono Andrew Ryan e sono qui per porvi una domanda: un uomo non ha diritti sul sudore della sua fronte?
No, dice l'uomo di Washington. Appartiene ai poveri.
No, dice l'uomo in Vaticano. Appartiene a Dio.
No, dice l'uomo di Mosca. Appartiene a tutti.
Io rifiuto queste risposte. Piuttosto scelgo qualcosa di diverso. Scelgo l'impossibile. Scelgo Rapture!

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Si può ambire in alto anche abitando sott'acqua. Perché qui, nella megalopoli subacquea di Rapture, non c'è individuo che non punti a migliorare, a sfidare se stesso, a sognare vette tutte personali per essere degno di questa utopia a forma di città. Immersi in una folle ambizione, gli abitanti di Rapture credono nello strapotere dell'Io, accecati dalle infinite possibilità di un individualismo sfrenato. Bisogna credere in se stessi. E in nessun altro, in nient'altro. Perché farsi arginare dalla religione? A cosa serve la gretta politica? Ridicolo affidarsi a degli ideali partoriti da menti altrui, no? Tra immensi grattacieli inabissati e linee metro tappezzate di manifesti pubblicitari, Rapture ribolle di desideri, di miraggi, ispirata dall'esempio del suo fondatore Andrew Ryan. Però, colui che vuole liberare il popolo dalla tirannia dei dogmi cade nel paradosso proprio quando vuole imporre agli altri le sue regole, la sua visione del mondo. Così, su ogni targa, sotto ogni monumento o obelisco commemorativo di Rapture ecco capeggiare la scritta: "la visione di un uomo, la salvezza dell'umanità".

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Questi e altri motti ispiranti vengono ripetuti ovunque come ossessioni; sugli schermi onnipresenti, negli altoparlanti sempre accesi. Come il Grande Fratello orewlliano, Ryan plasma questa nuova Atlantide, la invade di regole travestite da consigli paterni, la permea dentro una prigione dorata, la acceca con l'onnipotenza. Questa città pensa sempre in grande, ma si fonda su ambizioni troppo grandi per non implodere dentro se stessa. Fondata nel 1946 (in fondo al mare per timore di nuovi attacchi atomici), Rapture cade in rovina solo una dozzina di anni dopo. Ed da qui che parte BioShock: dai detriti di una città perduta, impazzita, delirante. Il sogno è naufragato, l'utopia ha fallito.

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Insomma, avete capito che per raccontare questo capolavoro della compianta Irrational Games bisogna partire dalla sua ambientazione, da Rapture, una città in cui siamo tornati volentieri in occasione dell'uscita della BioShock The Collection (disponibile per Ps4, Xbox One e Pc), versione rimasterizzata della trilogia completata da BioShock 2 e BioShock Infinite - come sempre vi rimandiamo alla recensione di Multiplayer.it per maggiori dettagli tecnici e relativi al gameplay. In questo articolo ci soffermeremo sul primo tassello di questo folle puzzle, sul primo capitolo di una saga fondamentale che a nove anni dalla sua prima uscita non mostra un filo di ruggine. Tappatevi il naso, chiudete gli occhi e immergiamoci in questi abissi perduti.

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Distopia liquida

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I videogiochi sanno portarti in posti che il cinema e le serie tv non sempre riescono a raggiungere. Si avvinghiano a te e ti costringono a vivere storie e avventure epidermiche, che ti rimangono addosso per anni. Da BioShock si esce fradici. Letteralmente. Zuppi, quasi marci, avendo addosso un disturbo causato da questa storia piena di pessimismo nei confronti dell'essere umano. E se qualcuno ha definito The Last of Us il migliore racconto post-apocalittico dei nostri tempi, noi vi diciamo che BioShock è il più degno erede del 1984 scritto da George Orwell, il che lo rende di diritto la più profonda e complessa distopia contemporanea. Ancora più di V per Vendetta, ancor meglio di Matrix, I figli degli uomini e Hunger Games, BioShock costruisce un contesto sociale definito in ogni minimo dettaglio (leggi, abitudini, usi, costumi), ci fa entrare nelle menti alterate di qualsiasi abitante, ci fa odorare i corridoi e ascoltarne gli echi deliranti. Questo videogioco è distopia pura, perché rappresenta l'esatto opposto di un'utopia, la copia-carbone di un sogno sfociato nella pazzia collettiva.

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Succede perché l'assetto cittadino di Rapture invita tutti ad eccellere, a venerare l'etica capitalista del successo personale, senza considerare l'inevitabilità delle discrepanze sociali, e poi dell'invidia, del malessere che diventa voglia di rivalsa. La grandezza di questo gioco è proprio nel modo in cui racconta questo deterioramento, ovvero a ritroso. Si parte dalle macerie per comprendere l'utopia iniziale, con i detriti che celano vecchie illusioni. Lo facciamo impersonando Jack, un uomo taciturno il cui aereo precipita nei pressi di Rapture nel 1960. Il giocatore è come lui. Non sa niente, è disorientato, non parla perché non sa che dire, né che pensare. Quindi non resta che affidarci alla prima voce percepita una volta arrivati in città: quella di Atlas, un misterioso di individuo che chiede il nostro aiuto per salvare la sua famiglia. Ma il verbo "salvare", a Rapture, non è il benvenuto.

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Delirio subacqueo

Attenzione, seguono spoiler sul videogioco Bioshock

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In BioShock nulla è banale, niente è frutto del caso. A partire dai nomi di luoghi e personaggi. "Andrew Ryan" richiama Ayn Rand, filosofa a cui si deve la nascita dell'Oggettivismo e autrice del maestoso Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante), corrente filosofica basata sull'affermazione di sé e sull'egoismo razionale; "Rapture" non è certo un termine in incoraggiante e lo stesso Jack è un nome talmente comune da diventare quasi anonimo, proprio come il nostro alter ego. Il giocatore, infatti, comanda Jack, ma a sua volta è comandato dal volere di Atlas, viene spostato da un punto all'altro come una marionetta, nel bel mezzo di un conflitto intestino tra leader e rivoltosi che si contendono il controllo di questa città in rovina. D'altronde Rapture ha sempre vissuto di manipolazioni, ha sempre avuto la necessità di addomesticare il popolo attraverso qualsiasi mezzo. Capillare e costante, la propaganda di Ryan si dimostra raffinata e minuziosa, quasi studiata a tavolino per alterare la coscienza e la psicologia collettiva. Il plagio di questo dittatore illuminato riuscirà solo in parte, perché non c'è umanità senza conflitto, senza gerarchie e voglia di distruggerle.

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Per questo BioShock è la storia di una società disperata, che affoga ad ogni bracciata verso i suoi desideri. Tra le acque di Rapture la competizione si traduce in disperazione e la disperazione porta ad alterare se stessi, con qualsiasi mezzo, a qualsiasi prezzo. Così ecco spuntare una marea di ricombinanti, abitanti ridotti a brandelli dall'utilizzo di tonici e plasmidi, vere e proprie droghe, modificatori genetici in grado di alterare l'aspetto e potenziare alcune abilità. Ma se gli adulti si trasformano in mostri impazziti, anche i bambini non vengono risparmiati da questa penetrante opera di addomesticamento. Non è solo una questione di educazione, ma anche di esperimenti fisici aberranti, che non risparmia nessuno, a partire da piccole creature vestite da bambine innocenti (le Sorelline che tanto assomigliano alle piccole gemelle di Shining). La legge di Rapture è severa e non risparmia nessuno: vuole farti sentire grande, ma in realtà vuole schiacciarti con il suo volere, vuole farti sentire come "una termite alla Reggia di Versailles".

Uno schiavo obbedisce. Un uomo sceglie.

Consumatori consumati

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Il pessimismo di Bioshock procede per gradi. Inizialmente c'è il sospetto, poi il disturbo e infine la pura disperazione. Tutto questo è mostrato e raccontato attraverso la lente della critica sociale, talvolta persino ironica e beffarda. Una delle scelte artistiche più significative e interessanti del gioco è quella di aver ribaltato l'ottimismo degli anni Cinquanta. Un po' come successo nella serie di Fallout, tutto il perbenismo, l'allegria edulcorata e la grande propensione al consumismo vengono parodiati da contrasti fortissimi. I distributori automatici (di armi, cibo, kit medici) ci sorridono con dei volti inquietanti e ci suggeriscono di "uccidere i nostri desideri" comprando; in filodiffusione sentiamo dolci voci di bambine che tentano di intenerirci, mentre emerge una pesante critica all'eccessiva cura della persona. In BioShock l'individualismo non è solo una propensione d'animo, ma una maniacale attenzione per il proprio aspetto, le proprie capacità fisiche e intellettive.

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Dalle sale di chirurgia estetica ai teatri, dalle metropolitane ai bar, ogni umido anfratto di Rapture vuole plagiarti, condizionarti e renderti schiavo della sua idea di libertà. E questo contrasto enorme tra le promesse e la realtà viene fuori soprattutto dalle audiocassette sparse per il gioco, nastri personali che contengono tante confessioni dove tante persone riversano il loro autentico malcontento. Dentro un vasto panorama di infelicità, il giocatore è inquieto, eppure perdersi non è mai stato così bello, perché annegare in questa violenta distopia è un piacere per ogni amante delle belle storie. Quelle in grado di colpirti allo stomaco, farti male e di suggerire ad ogni essere umano che si può risalire soltanto dopo aver toccato il fondo.

Movieplayer.it

5.0/5