Bignamino d'amore
Dopo il successo del primo Manuale d'amore, Giovanni Veronesi decide di bissare la formula che tanta fortuna gli aveva dato nella pellicola precedente: quattro episodi indipendenti ma concatenati da un unico filo conduttore (in questo caso una trasmissione radiofonica condotta dal simpatico Claudio Bisio), una comicità "frizzante", politically correct e improntata alla massima fruibilità, un parco attori collaudato che mescola nomi affermati (Carlo Verdone, Sergio Rubini) ad altri saliti alla ribalta da pochi anni (Riccardo Scamarcio, Fabio Volo). Il tutto per narrare, ancora una volta, il sentimento più rappresentato (e abusato) al cinema, con storie che ne mettono in luce aspetti diversi e spesso contraddittori.
C'è l'ossessione erotica dell'episodio con Scamarcio e Monica Bellucci, l'odissea di una coppia (Fabio Volo e Barbora Bobulova) costretta ad andare in Spagna per ricorrere alla fecondazione assistita, il travagliato percorso verso le nozze di due omosessuali (Rubini e Antonio Albanese), l'avventura di un cinquantenne (Verdone) che arriva ad un passo dal mollare moglie e figlia dopo una sbandata per una donna molto più giovane. Su tutto regna la programmatica mancanza di spessore di molta commedia all'italiana recente (che raggiunge livelli persino imbarazzanti nel primo segmento), le risate facili, impossibili da fuggire e più che mai innocue, la già ricordata correttezza politica che non fa mai male, e che si esprime per ben due volte nel confronto con l'avanzata e progressista Spagna zapateriana (dove è consentita la fecondazione assistita e i gay si possono sposare - ma serviva Veronesi per ricordarcelo?)
Peccato che il film, andando a scavare, abbia la stessa consistenza della canzone di Gigi D'Alessio che Volo e la Bobulova ascoltano sulla macchina di uno scatenato "collega". Forse l'episodio con Verdone è l'unico a sprizzare un po' di sano divertimento (dovuto principalmente alla mai smarrita simpatia del protagonista), oltre a qualche momento in cui la regia riesce a dar corpo a qualcosa che somiglia a un'emozione autentica (l'incontro della ragazza col padre perso anni prima). Non che ci si aspettasse da Veronesi una commedia alla Mario Monicelli, sia ben chiaro, né che si chiedesse chissà quali approfondimenti psicologici ad un film destinato a far ridere il grande pubblico (il nostro grande pubblico). Ma forse, anche nell'ottica di un prodotto con certi limiti prestabiliti, era possibile fare qualcosa di più rispetto a personaggi macchiettistici come quelli della Bobulova o della coppia Rubini/Albanese, zeppi di luoghi comuni e in fondo funzionali a tenere la Spagna (in entrambi i casi agognata "terra promessa") ben distante dalle nostre italiche meschinità.
Così, la "morale" espressa da Veronesi non sembra essere in fondo diversa da quella di un ascoltatore della trasmissione di Bisio, che così sintetizza il suo pensiero dopo aver ascoltato la storia narrata dal personaggio di Albanese: "Io volevo dì che nun c'ho niente contro i froci... basta che poi nun esagerano, che nun se mettono a fà pure i matrimoni in chiesa... quello no, eh. E comunque viva li froci!" E allora diciamo pure viva Veronesi, senza problemi: a patto, ovviamente, di non trovarsi tra qualche anno i suoi film proiettati in qualche cineclub, oggetto di puntuali quanto improbabili "rivalutazioni".
Movieplayer.it
2.0/5