"La punizione non può essere maggiore del crimine". C'è una frase emblematica, involontariamente (?) politica, pronunciata tranchant da Rachel Zegler alias Biancaneve a Gal Gadot versione strega Grimilde. Da questo spunto, appare ancora più chiaro quanto il chiacchiericcio che ha anticipato il live action di Marc Webb sia stato essenzialmente strumentalizzato, e involontariamente (?) sospinto dalla stessa Disney, con una campagna stampa ristretta e "controllata" (preventivando ed evitando polemiche ancora più accese?). Questo non è bastato a frenare le incontrollate voci, come quella che definirebbe il rapporto tra Zegler e Gadot non immune agli attriti, in quanto le due attrici hanno, per così dire, due visioni opposte su molti temi (e per questo la frase con cui abbiamo aperto la recensione, ça va sans dire, supera la finzione).

Ora, a scanso di equivoci, la battuta della Zegler risulta politicamente rilevante, sia nel contesto attuale, sia nel contesto narrativo portato avanti dalla sceneggiatura di Erin Cressida Wilson, e ovviamente basata sul soggetto di Biancaneve e i sette nani (sì, quei nani oggetto di discordia, spariti senza motivo dal titolo). Di nuovo, a scanso di equivoci, questa Biancaneve è la più classica delle favole tout court (come si dice, perfetta per grandi e piccoli), però rivista e strutturata secondo un linguaggio che sia al passo con i tempi. E qui diradiamo l'altro nuvolone: le preventive accuse di aver snaturato il personaggio in funzione dell'agenda woke si infrangono sotto la verità delle cose. Nel Biancaneve di Webb non c'è una palese spinta in tal senso, bensì troviamo un equilibrio non scontato (ma forse precario), dimostrando quanto le critiche di posizione siano assurde e (contro)producenti.
Biancaneve e la rivoluzione gentile

Parlavamo di favola, e una favola non può omettere il classico regno incantato, che vive in pace e armonia. Almeno fino a quando il climax non viene rotto dalla Regina Cattiva Grimilde, capace di mettere in moto un vero e proprio golpe ai danni del Re, rimasto vedovo dopo la morte della Regina. Dopo il colpo di Stato, il regno cade in disgrazia, ma la giovane principessa Biancaneve - che professa gentilezza ed empatia - diventerà la scintilla capace di accendere la rivoluzione: quando lo specchio magico dirà a Grimilde che "la più bella del reame altri non è se non Biancaneve", la spietata despota ordina che la minaccia venga immediatamente eliminata. La tela malefica non si realizza, e Biancaneve troverà rifugio dai sette nani - Dotto, Brontolo, Gongolo, Pisolo, Mammolo, Eolo, Cucciolo, che lavorano in una miniera di terre rare! -, aiutata poi dal fuorilegge reietto Jonathan (Andrew Burnap).
I nani in CGI, la ribellione e quella scena (ancora) traumatica
Come detto, c'è una caratterizzazione generale che vede Biancaneve come una sorta di live action che legittima l'archetipo focale del buono e del cattivo, semplificando al massimo i due cardini su cui si poggia la favola (la stessa cosa accadeva nel capolavoro Disney del 1937). Se il salvifico principe diventa, per ragioni di scrittura, un bandito che si contrappone al dominio della cattiva, la stessa Strega altro non è che il riassunto speculare del più classico dittatore, in questo senso più ossessionato dal potere che dalla bellezza. Un dittatore colonialista, spietato, conquistatore e soggiogante verso il regno conquistato con la forza e con la paura.

Di contrasto, la Biancaneve di Rachel Zegler diventa la principessa decaduta che, dopo l'illuminante (e luminoso) percorso dell'eroe, diventerà una donna del popolo, pronta a scendere in piazza per lottare - in nome di una spregiudicata gentilezza - contro i poteri forti. In mezzo c'è un cinema estetico colorato (ma un po' goffo e piatto, quasi da libro stampato), ci sono gli intermezzi musicali in stile Broadway e sì, ci sono i nani: hanno una profondità che va oltre i loro nomi (Brontolo, per dire, brontola perché è incompreso, e vagli a dar torto), sono ricalcati su quelli del famigerato film animato, ma hanno una resa in CGI che sfiora, loro malgrado, il weird (pensiamo a Cucciolo, che sembra Alfred E. Neuman, la mascotte di MAD Magazine).

Certo è, la figura di Biancaneve creata dai Fratelli Grimm, in un universo del genere, ha una sua forte credibilità (e per questo il film risulta tendenzialmente riuscito), anche nella stilizzazione a portata di grande pubblico (come è giusto che sia) rispetto a un cardine motivazionale sempre efficace: guidare e non piegarsi, ribellarsi, seguire le proprie scelte. Tra i primi contatti diretti dei bambini con il concetto di morte, se ripensiamo all'inquietante sequenza animata del 1937, quando giaceva in un feretro di vetro, accerchiata da cerbiatti, passerotti e coniglietti, il personaggio cambia senza cambiare davvero, puntando a un'evoluzione che possa essere ispirante nella sua ricerca della speranza. Ricordandoci, tra l'altro, che un film va prima visto, e poi giudicato.
Conclusioni
Oltre le apparenze, oltre un fare a tratti goffo, e oltre una CGI che sfiora il weird (vedi alla voce Sette Nani). Il live action di Biancaneve è il più solido esempio di quanto un film andrebbe giudicato solo e soltanto dopo averlo visto: in questo caso, il film con Rachel Zegler diventa inconsapevolmente una favola socio-politica, in cui la figura della principessa viene riletta come emblema di una rivoluzione gentile, in lotta contro i poteri forti e contro le dittature. Non tutto gira per il meglio, ma soppesando scrittura ed estetica, la rivisitazione Disney dimostra di avere la giusta lucidità narrativa.
Perché ci piace
- L'evoluzione di Biancaneve.
- Alcuni temi politici portati avanti, forse in modo inconsapevole.
- Il finale, che insegue la rivoluzione gentile.
Cosa non va
- La CGI dei nani è weird.
- A tratti goffo.
- A tratti visivamente piatto.