Berlino, Daniele Vicari scuote il Festival con Diaz

Il nostro incontro con il cast e il regista del film che racconta i tragici fatti del G8 di Genova del 2001, 'un evento drammatico che ha cambiato la storia e la natura della democrazia', ha raccontato Vicari.

Amnesty International definì l'assalto alla scuola Diaz e i successivi interrogatori alla caserma di Bolzaneto come La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda Guerra Mondiale. A dodici anni dai terribili fatti del G8 di Genova, Daniele Vicari riparte da quanto avvenuto nella notte del 21 luglio 2001, per raccontare in maniera appassionata quella tre giorni di follia insensata, caratterizzati dalla morte di Carlo Giuliani, dagli scontri fra manifestanti e polizia, dagli scontri per le strade di Genova. Diaz - Don't clean up this blood, presentato oggi nella sezione Panorama del 62.mo Festival di Berlino, arriva dritto come un pugno nello stomaco. Il film condensa le storie di varie personaggi, un giornalista, un'anarchica tedesca, un manager che si interessa di economia solidale, un vecchio esponenente della CGIL e il vicequestore aggiunto del reparto mobile di Roma, tutti presenti nel complesso scolastico Diaz-Pascoli, sede del Genoa Social Forum e adibito per l'occasione a dormitorio, nel momento in cui centinaia di poliziotti fecero irruzione, ipotizzando un attacco dei Black Bloc. Gli agenti in tenuta anti sommossa trovarono 'solo' 93 persone, perlopiù studenti e giornalisti, poi trasportati nel carcere/caserma di Bolzaneto, dove sono stati ulteriormente sottoposti ad indicibili violenze da carabinieri, guardie penitenziarie, medici ed infermieri, 44 dei quali condannati in Appello per abuso d'ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, violenza privata. Su più di 300 poliziotti che parteciparono al blitz della Diaz, 29 sono stati processati e nella sentenza di Appello in 27 hanno riportato una condanna per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia. Presente in massa nella città tedesca, il cast del film, comprendente Claudio Santamaria (l'agente Max Flamini), Jennifer Ulrich, Renato Scarpa,Fabrizio Rongione, Monica Barladeanu e Ralph Amoussou, la sceneggiatrice Laura Paolucci e il produttore Domenico Procacci, presidente di Fandango, hanno incontrato oggi i giornalisti in una conferenza stampa piuttosto vivace.

Daniele qual è stata la motivazione che ti ha spinto a dirigere questo film e più in generale a lavorare a questo progetto così lungo e complesso? Daniele Vicari: di motivi ce ne sono davvero tanti. Il più importante però è che quello che è successo alla scuola Diaz e a Bolzaneto è stato così inaccettabile e talmente orribile da mettere in discussione i principi democratici dell'Italia e dell'Europa. Abbiamo cominciato a pensare di scrivere una storia legata alla Diaz quando nel 2009 ci fu la prima sentenza del processo, una sentenza che fece gridare allo scandalo in quanto assolutoria. Una ragazza tedesca giurò che non avrebbe mai più messo piede in Italia dopo la decisione del giudice e allora mi sono sono detto che avremmo dovuto fare qualcosa. Per fortuna siamo riusciti a fare un film come piace a noi e siamo riusciti ad andare avanti.

E' un film politico, militante?
No, non amo quel genere di film politici in cui tutto è preordinato. Se avessimo agito così avremmo fatto un'operazione tranquillizzante per tutti. Invece questo è la storia di un evento drammatico che ha cambiato la storia e la natura della democrazia. Stiamo raccogliendo le macerie di un rapporto falsato.

Qual è stata la vostra priorità una volta iniziato il progetto? Laura Paolucci: presuntuosamente dico che volevamo cercare la verità. Abbiamo lavorato tantissimo nel raccogliere quanti più documenti possibili, accedendo ad una miriade di fonti, esattamente come avrebbe fatto uno storico. All'epoca si trattò di un evento mediatico enorme e per la prima volta c'era la possibilità di realizzare e condividere tanti filmati. Siamo partiti dai testi e dai documenti, poi siamo passati al materiale spurio. Poi è toccato all'analisi dettagliata degli atti del processo, facendo delle schede di ogni personaggio. E' stato un lavoro freddo, ma onesto, valutando tutte la parti in causa e intrecciando le loro vicende in modo da creare una storia corale che potesse essere il più possibile vera ed emozionante.

Avete timore che ci possano essere delle reazioni negative da parte della polizia? Domenico Procacci: Assolutamente no. Siamo stati seguiti da un consulente legale che fin dal primo giorno ci ha detto che non si sarebbero state conseguenze giuridiche dal film. Al momento in polizia non hanno ancora visto il film, quindi non so se ci saranno delle risposte negative. Posso dire però che ci sono state delle polemiche all'inizio, quando ho detto che avrei messo il copione a disposizione del Capo della Polizia. Si è detto che cercavamo un'autorizzazione ma non era così. In realtà mi aspettavo una reazione che non è mai arrivata, mi aspettavo delle scuse per tutto quello che era successo, nonostante Manganelli in persona abbia detto, dopo la sentenza di primo grado, che avrebbero fatto di tutto affinché la verità venisse fuori. Il che è un'affermazione decisamente interessante visto che in Primo Grado sono stati assolti tutti tranne i capi del settimo nucleo, ovvero quelli che materialmente hanno condotto il blitz alla Diaz. Dopo la sentenza di Secondo Grado, che ha attribuito responsabilità anche a tutti gli alti in grado, però, Manganelli è stato più cauto, facendo appello alla presunzione di innocenza.

Ha avuto problemi nel finanziare il film?
Certamente non abbiamo trovato le porte aperte. Ho tentato di agire seguendo le vie canoniche, ma ho rinunciato perché avevo capito che non sarebbe stato possibile, inoltre avremmo rallentato troppo. Abbiamo solo usato i nostri fondi, con un piccolo finanziamento da parte del Ministero Italiano e della fondazione cinema dell'Alto Adige.

Alcuni sostengono che i comportamenti violenti di certi poliziotti dipendano dall'assunzione di droga, motivo che spiegherebbe il perché di tanta ferocia. E' d'accordo? Daniele Vicari: Ipotizzare che un poliziotto agisca con violenza solo perché sia un drogato è un'affermazione fatta solo per far stare tranquilli. Leggendo gli atti del processo Diaz-Bolzaneto ho avuto invece la percezione della sistematicità degli avvenimenti che non sono spiegabili in nessun modo attraverso dei semplici atti inconsulti. La violenza della Diaz non è una cosa da ubriachi, ma da persone molto lucide. Il cuore del nostro film è esattamente questo.

E' per questo che nel film avete focalizzato meno la vostra attenzione sulle motivazioni politiche dei No Global?
Sì è così. Il movimento dei No Global è talmente complesso e stratificato che sarebbe stato impossibile dar voce a tutte le istanze. Quello che mi sembra chiaro e che abbiamo voluto sottolineare è che all'epoca del G8 a Genova c'è stata una repressione senza precedenti e rappresenta un evento di una gravità straordinaria. Altro che macelleria messicana o evento fascista, ciò che è avvenuto riguarda la democrazia, o meglio la democrazia all'interno di un Paese e di un Continente che non hanno fatto nulla.

Claudio, com'è stato lavorare al ruolo del poliziotto? Il tuo Max è forse l'unico a dimostrare un briciolo di umanità appena messo piede nella scuola, ma è anche il primo a far finta di non vedere quello che stava succedendo a Bolzaneto.... Claudio Santamaria: infatti non lo considero un eroe. Il fatto che interrompa il massacro non ha nulla di eccezionale, si è limitato a fare quello che avrebbero dovuto fare i poliziotti entrati per primi alla Diaz, cioè chiedere i documenti ed eventualmente fermarli.

E' stata una scelta precisa quella di non rimarcare continuamente i nomi dei politici che all'epoca governavano l'Italia? Daniele Vicari: abbiamo scritto una sceneggiatura con nomi e cognomi, sia delle parti e offese che dei poliziotti, e ovviamente anche dei politici ma ad un certo piunto abbiamo deciso di non inserirne nessuno per non trascinare il film in una polemica assurda.
Domenico Procacci: non solo, ma dalle parti offese ci è arrivata la richiesta di non vedere scritti i loro veri nomi e allora abbiamo deciso in tal senso.

Jennifer e Ralph, voi interpretate due dei ragazzi del movimento No Global, cosa potete raccontarci di questa esperienza? Jennifer Ulrich: è stato uno sforzo fisico ed emotivo perché solo sul set ho avuto modo di capire quello che è successo sul serio in quei giorni. Il mio personaggio, Alma, riesce a mantenere la sua forza e grazie a questo sentimento riesce a superare quanto è successo.
Ralph Amoussou: avevo 12 anni quando c'è stato il G8 e non ne sapevo molto. Posso solo dire che un attore aspetta tutta la vita che arrivi un ruolo del genere. E' stata un'esperienza fantastica, molto dura. E' difficile dire la verità ma è parte del nostro lavoro.

Avete il timore che il film possa alimentare l'odio nei confronti della polizia? Daniele Vicari: E' un rischio, ma è un rischio che si deve correre in un Paese come il nostro, una nazione in cui apparentemente si può parlare di tutto, salvo poi lasciarsi avvolgere da una nube di chiacchiere in cui spariscono le verità profonde. Noi non siamo abituati ad un cinema che affronta direttamente certi nodi. Capisco che il film possa spiazzare, ma non può essere lo spunto per un'azione violenta e spero che i cittadini ne abbiano consapevolezza.
Domenico Procacci: è vero che dai fatti di Genova si è creata una frattura profonda fra polizia e cittadino, ma noi ci limitiamo a raccontare la realtà. Le fratture si ricompongono facendo qualcosa, un qualcosa che al momento non c'è stato. Non c'è stata assunzione di responsabilità e la ferita non rimargina aspettando che cadano in prescrizione. E' peggio dimenticare quello che è successo e aspettare che non se ne parli più.