Le app, le chat di WhatsApp, i selfie, Facebook, Twitter: da quasi dieci anni i social network hanno cambiato le nostre vite, se in meglio o in peggio dipende dai punti di vista. Da una parte essere sempre connessi col mondo permette di aggiornarsi e informarsi costantemente, con una velocità che fino a pochi anni fa era impensabile, dall'altra i social fomentano sempre più sentimenti e convinzioni primordiali, diffondono pregiudizi e superstizione, che spesso sfociano in bufale tremende, odio virtuale e uno spreco di parole inutili e frasi spesso sgrammaticate. Il dato più rilevante è la loro presenza in termini di tempo nelle nostre vite: scorrendo l'home page di Facebook per diversi minuti (e molto spesso ore) al giorno, sottraiamo tempo ad altre attività e soprattutto ai rapporti reali.
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Parte da questo spunto Beata ignoranza, quinta regia di Massimiliano Bruno, in cui Alessandro Gassmann e Marco Giallini interpretano rispettivamente Filippo ed Ernesto, professore di matematica il primo e di letteratura italiana il secondo, uno dipendente dai social e l'altro completamente estraneo alla tecnologia. I due insegnanti condividono non solo la stessa professione, ma anche una figlia: Nina (Teresa Romagnoli), figlia biologica di uno dei due e cresciuta invece dall'altro, che li coinvolge nella realizzazione di un documentario, grazie a cui entrambi si trovano a riflettere sulla loro vita e sul rapporto che hanno con gli altri.
Social sì o social no
Con Gli ultimi saranno ultimi (2015) Bruno aveva raccontato con occhio disincantato il precariato, grazie a una splendida Paola Cortellesi e a una scrittura coraggiosa, senza paura di risultare anche sgradevole o cinico. A due anni di distanza, il regista, attore e sceneggiatore torna a parlare di attualità, riflettendo questa volta sui social network e sull'evoluzione delle relazioni umane: pur indovinando una lunga serie di gag ben riuscite e divertenti, questa volta però a mancare è proprio un po' di sana cattiveria, che avrebbe reso Beata ignoranza più efficace e interessante. Il film invece diventa presto una commedia che, in molti punti, sa di già visto, offrendo soluzioni adottate mille volte in altrettanti film simili e altre che lasciano perplessi (il dialogo con la foto della lapide). L'idea migliore arriva dalla fusione di media: con la scusa del documentario, i protagonisti hanno infatti la possibilità di guardare direttamente in camera, come se stessero girando un video di YouTube, confessandosi in modo molto più sincero rispetto a quando parlano con un altro essere umano.
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Gassmann e Giallini: la nuova coppia di mattatori italiani
Senza sfociare mai in una critica feroce dei comportamenti alienanti che ormai vediamo ogni giorno sui nostri schermi, Beata ignoranza diventa presto il racconto di una famiglia che cerca di trovare la sua identità e di due uomini che non sanno relazionarsi con l'altro sesso, sia come padri che come amanti. L'arma segreta del film si rivela quindi la coppia di protagonisti: Gassmann e Giallini, che tornano a lavorare ancora una volta insieme dopo Tutta colpa di Freud (2014) e Se Dio Vuole (2015), sono un duo comico irresistibile, sempre più affiatato e oliato. I tempi comici dei due attori sono perfetti ed entrambi scherzano con il personaggio che si sono creati nella vita reale, con un Gassmann che fa sempre più il "Gassmann" e Giallini, scatenato, nel ruolo di "Giallini che fa Giallini e legge anche un po' di Foscolo". Nonostante il rapporto dell'uomo moderno con i social sia un pretesto mai davvero esplorato fino in fondo e le dinamiche tra i personaggi siano simili a cento altre viste in diverse commedie degli equivoci, la simpatia e la bravura della coppia protagonista strappa diverse risate, che fanno uscire dalla sala con il sorriso sulle labbra, anche se poi, dopo qualche ora, il film è sempre più lontano, come uno status su Facebook da migliaia di like sommerso presto da nuove foto di cene e video di gattini.
Movieplayer.it
3.0/5