Una storia di libertà, anarchia e rottura degli schemi nella Spagna di Franco. Mettete insieme l'ingenua testardaggine di una ragazza che coltiva il sogno di fare la ballerina, le paillettes, la brillantina e le scollature censurate dalla tv franchista degli anni '70 e le canzoni più celebri di Raffaella Carrà. Ne otterrete un omaggio spensierato ad una delle più libere protagoniste della tv italiana, che il regista ispanico Nacho Álvarez (come leggerete più avanti nella recensione di Ballo Ballo) declina nei toni di una commedia musicale. Il film avrebbe dovuto aprire il Torino Film Festival, se non fosse stato per l'emergenza sanitaria che ha costretto la manifestazione a svolgersi interamente online con le conseguenti defezioni; ora la decisione di farlo uscire su Amazon Prime Video dal 25 gennaio. Alvarez raccoglie una sfida coraggiosa consegnando alla sua opera prima il compito di celebrare l'artista che, come titolava il Guardian qualche tempo fa, "insegnò all'Europa le gioie del sesso". "Nessun ballerino che abbia sangue nelle vene riuscirebbe a resistere a questo ritmo", recita una delle battute più significative del film, peccato però che la Carrà e la sua portata rivoluzionaria nell'universo morigerato dell'intrattenimento italiano tra gli anni '60 e '70, rimangano sullo sfondo e la scrittura si limiti spesso a una superficiale sequenza di numeri musicali, vicende dal sapore retrò e amori da soap opera.
Storia di una rivoluzione: la critica al franchismo
Quando Nacho Álvarez incontrò per la prima volta la musica di Raffaella Carrà, era un adolescente: "Poi con l'avvento di YouTube, ho potuto conoscerla meglio ed è stato un viaggio senza ritorno", ha raccontato. Anni dopo quelle suggestioni hanno ispirato le vicende del suo esordio alla regia, Ballo Ballo, nato dalla voglia di omaggiare l'icona culturale che a forza di Tuca Tuca sovvertì il modo di intendere e fare spettacolo in Italia e non solo.
La narrazione della spregiudicata rivoluzione dei costumi e della rottura delle convenzioni, passa attraverso una romantica storia d'amore a tinte pastello, che guarda alle soap dal sapore latine e prende in prestito i colori spumeggianti e il gusto per il vintage di Pedro Almodovar. Il film si apre su una giovane sposa in fuga dalla Città Eterna, Maria, che per paura di ritrovarsi prigioniera di un matrimonio tradizionale, abbandona il suo sposo italiano sull'altare per tornare a Madrid e inseguire il sogno di diventare una ballerina.
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Qui dopo essersi imbattuta nell'affascinante Pablo ed essersene innamorata follemente, va a vivere con la vulcanica Amparo e con un po' di fortuna riesce a entrare nel corpo di ballo di uno dei più famosi programmi della tv spagnola, "Las noches de Rosa". Presto però la sua disarmante irruenza e la passione per la danza dovranno scontrarsi con le rigide regole della tv iberica castrata dalla censura franchista: la lunghezza delle gonne misurata al centimetro, le coreografie castigate, le scollature vietate, ogni passo "osé" destinato a finire fuori dall'inquadratura. Ma Maria lo affronterà a colpi di canti e balli cambiando la vita di tutti quelli che la circondano.
L'omaggio alla Carrà tra soap opera e technicolor
L'intera struttura del film poggia sulle canzoni più note della Carrà (dal "Ballo Ballo" del titolo a "Luca", "Rumore", "Tuca Tuca", "Com'è bello far l'amore"), che tra coreografie in technicolor e siparietti da commedia rosa scandiscono le tappe più importanti della vita dei protagonisti.
Ma al di là delle atmosfere pop ed eccentriche, l'inno scanzonato alla libertà della morale e dei costumi che era nelle intenzioni iniziali, con l'evolversi della storia si traduce in una sequela di brani impilati uno dietro l'altro. La critica al mondo castigato e ultra cattolico della Spagna degli anni '70, la questione di genere e quella delle molestie sul posto di lavoro, non ha la ferocia e l'acume necessari per lasciare il segno.
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Ci si diverte, si sorride, in un'esplosione di balli, note e colori, ma tutto rimane in superficie, senso del ritmo e della musica compresi: i doppiatori nella versione italiana si limitano a cantare in maniera anonima i brani citati, non senza incappare spesso in evidenti problemi di sincrono, gli interpreti spagnoli ci provano da Ingrid García Jonsson, un mix di romanticismo e sfrontatezza, a Fernando Guallar, il timido e indulgente Pablo . Una favola alla quale si fatica a credere e alla fine della quale ci si chiederà che fine abbi fatto il sogno.
Conclusioni
Come ribadito nella recensione di Ballo Ballo l'opera prima di Nacho Álvarez ha senz'altro il merito di rispolverare e mettere alla berlina un’epoca, quella franchista, attraverso la forza liberatoria e spregiudicata dei brani della Carrà. Un omaggio sentito, che rimane però in superficie tanto quanto le questioni che il regista prova ad affrontare a colpi di Tuca Tuca.