Se c'è un argomento che tiene banco nell'entertainment tutto dell'ultimo anno, al di là dei soliti noti, questo è certamente l'intelligenza artificiale. Dalla sua applicazione ai preoccupanti pericoli, dagli scioperi di settore alle polemiche relative ai titoli di testa di Secret Invasion, da The Creator di Gareth Edwards a quest'ultimo Atlas di Brad Peyton. L'IA è uno di quei temi che dalle Sorella Wachowski a Steven Spielberg, da Alex Garland a Spike Jonze, ha sempre incuriosito e ispirato i cineasti contemporanei, soprattutto per la plasticità e relativa versatilità del soggetto, adattabile a tanti contesti differenti in un mix di generi comunque predominato dalla fantascienza.
Il fatto è che il futuro è sempre più vicino e oggi più di ieri l'IA intriga e stuzzica il mondo, venendo già utilizzata concretamente in tanti ambiti diversi. Il tema è sostanzialmente più attuale che mai e ci riguarda ormai da vicino, pure se l'evoluzione delle intelligenze artificiali ha da poco superato la fase embrionale. Il dominio dei "robot" sugli uomini è ancora distante, per così dire, e l'apocalittica e schopenaueriana visione di Matrix o quella minacciosa di Io, Robot di Alex Proyas sono ancora degli oscuri miraggi. Al netto di ciò, comunque, anche Atlas con Jennifer Lopez guarda con estrema fascinazione a quelle stesse paure e quegli stessi what if dei registi passati, e pur risultando derivativo sotto ogni punto di vista la verità è che sa come far funzionare discretamente più o meno tutti gli elementi in gioco.
A caccia di IA
Il futuro in cui è ambientato Atlas è privo di coordinate, ma la storia comincia a Los Angeles. Come immaginato negli scritti di Isaac Asimov (che viene citato direttamente) e poi riproposto nei decenni da tanto altro cinema, tv e letteratura, l'Uomo convive da anni con i bot. Lo sviluppo dell'intelligenza artificiale ha infatti permesso l'introduzione di questi robot in ogni ambito della società e del quotidiano, operativi in realtà sanitarie, culturali, di difesa e casalinghe. Improvvisamente, un'IA di nome Harlan (un freddissimo ma convincente Simu Liu) creata da Val Shepherd comincia a modificare i codici dei bot che iniziano a ribellarsi all'umanità, dando il via a un vero e proprio massacro globale. Viene creata la ICN (Conferenza Internazionale delle Nazioni) per far fronte ad Harlan e al suo esercito, poi un giorno il leader terrorista IA fugge nello spazio, promettendo di tornare e "finire ciò che aveva iniziato".
28 anni dopo, Atlas (J-Lo), figlia di Val, è un'analista della ICN che riesce a scoprire il nascondiglio di Harlan e che viene inviata dal Generale Jake Boothe (Mark Strong) in missione sul campo, affidata alle cure del Colonnello Elias Banks (Starling K. Brown). L'obiettivo è catturare Harlan sul pianeta GR-39, e per farlo la ICN ha messo a punto degli innovativi mecha IA ad uso militare con cui ogni soldato è però costretto a interfacciarsi a livello neuronale. Atlas non si fida però delle intelligenze artificiali, non più, trovandosi però suo malgrado costretta a collaborare con una di queste per sopravvivere in territorio ostile.
Se l'incipit vi ricorda The Creator, non sbagliate: il film di Edwards è una palese musa cinematografica di Atlas, da cui "ruba" l'idea del terrorismo IA e di una guerra senza quartiere tra robot e umani. Altro paragone non c'è, comunque, perché l'opera di Peyton comincia poi a guardare oltre, allo spazio, a Ultron, al videogioco (Lost Planet di Capcom), dimostrandosi un grande miscellanea d'ispirazioni. Il racconto è di per sé derivativo nello sviluppo e nell'intreccio, eppure è nella scrittura dei dialoghi tra la protagonista e la sua nuova IA, Smith, che il film ingrana la marcia giusta dal punto di vista introspettivo e riflessivo, lasciando poi ad azione ed esplorazione il compito d'intrattenere.
In da mecha
Quello che sorprende di Atlas è la sua grande capacità di sapersi muovere adeguatamente nella sua stessa derivazione. Al di là dei titoli già citati ma persino oltre il cinema, la sci-fi con J-Lo pesca da manga e anime l'attrattiva per i mecha e una nomenclatura già nota ("link neuronale") per unire esoscheletri simili a quelli di Avatar a concetti sfruttati in lungo e in largo da Evangelion a Pacific Rim. Suddiviso in tre atti ben distinti tra loro, il film trova la sua più grande forza nel corpo centrale dell'opera, quando Atlas è dentro il mecha e deve interfacciarsi con il programma IA che lo ospita. Lo scontro-dialogo tra i due apre a interessanti interrogativi sull'eventuale ponte che la collaborazione uomo-intelligenza artificiale potrebbe creare verso un domani d'intesa e non di guerra, dove nessuno è mero nemico o strumento e dove l'integrazione è l'unica scelta possibile. Nel mentre di queste riflessioni (per nulla scontate e anzi gestite a modo) Atlas e Smith si muovono tra i diversi e sconcertanti biomi di un pianeta totalmente inospitale, cominciando a conoscersi tra diffidenza e sarcasmo.
Il film si completa di buone sequenze d'azione (l'atterraggio su GR-39, la prima fuga, lo scontro finale) che soffrono però a singhiozzo una CGI non sempre di livello, a tratti leggermente posticcia ma comunque capace di regalare allo spettatore alcuni scorci alieni immaginifici e immersivi, tra inquadrature e soggettive cinematografiche e d'estrazione videoludica. All'uscita del deludente The Mother su Netflix (leggi la recensione), ci interrogavamo su queste stesse pagine sulle scelte di J-Lo in tema di genere, auspicando di trovare progetti più validi o di tornare a un cinema più classico, tra dramma e commedia. Atlas dimostra la buona volontà della Lopez di adeguarsi ai differenti generi e proporre qualcosa di appagante che, pur senza pretese o velleità intellettuali, senza chissà quale originalità né innovazione, sappia a suo modo convincere.
Conclusioni
Atlas è uno di quei titoli capaci di sguazzare nella loro stessa indole derivativa sapendo perfettamente come restare a galla. Guarda a The Creator e al genere mecha tra oriente e occidente, a Big Hero 6 e ad Ultron, ai videogiochi Capcom e ad Avatar, eppure resta in piedi, intrattiene e compiace, al netto di una CGI non sempre di livello e di una prestanza action soddisfacente ma non ottimale. L'obiettivo era quello di parlare di IA e d'integrazione tra uomo e macchina in un lungometraggio di genere che sfruttasse gli insegnamenti di Asimov e la nomenclatura giappo in un prodotto streaming fantascientifico ed esplosivo con ricercati picchi introspettivi e riflessivi. Considerando il cinema di Brad Peyton e l'ultima incursione di genere di J-Lo, possiamo dirci sinceramente sorpresi e discretamente soddisfatti.
Perché ci piace
- La riflessione sulle IA.
- Il rapporto tra Atlas e Smith, i loro dialoghi.
- L'idea di unire le fascinazioni mecha alle questioni sull'intelligenza artificiale.
- Alcune scene d'azione ben confezionate...
Cosa non va
- ... Al netto di una CGI non sempre all'altezza.
- Il terzo atto è inferiore ai precedenti.
- Mark Strong e Sterling K. Brown per nulla sfruttati.