È raro, ma quando succede è uno spettacolo: la storica Sala Darsena di Venezia che applaude, estasiata, durante la proiezione mattutina riservata alla stampa. L'applauso, il primo, scatta dopo quindici minuti dall'inizio, ovvero nel momento in cui Romain Gavras stacca la macchia da presa che chiude il pazzesco incipit di Athena, raccontato tutto in piano sequenza. E noi, seduti all'ultima fila della sala, siamo rimasti sospesi tra il godimento e l'incredulità, letteralmente trasportati dalle immagini e dalla musica. Un momento speciale che, per quanto circoscritto tra i confini della Mostra del Cinema di Venezia (dove il film è stato presentato in Concorso), è stato capace di enfatizzare davvero il senso meraviglioso dell'esperienza cinematografica.
Oggi, infatti, si parla (e si blatera) tanto su quanto il cinema deve essere necessariamente estrapolato dallo streaming, senza però spiegare quanto le due realtà possano coesistere e, soprattutto, senza spiegare il fatto che le due visioni possono essere esperienze diverse. In questo senso, vedere Athena sul grande schermo è stata un'occasione unica, se pensiamo che sia appunto un prodotto originale Netflix, ma ciò ovviamente non sottrae di certo la sua qualità intrinseca - anche se il consiglio è chiaramente di vederlo in tv, e non su uno smartphone. Digressione a parte, l'analisi che vogliamo offrirvi gira proprio attorno alla sequenza iniziale, oltre a quanto la regia di Gavras, autore che proviene dal mondo dei videoclip, sia profondamente contemporanea e capace di suscitare riverberi fotografici non da poco.
La tragedia greca in piano sequenza
Una miscela esplosiva e adrenalinica, che si fonde con la storia messa in scena dal regista: quella di tre fratelli (interpretati da Dali Benssalah, Sami Slimane, Ouassini Embarek), diversi tra loro, che reagiscono in modi totalmente distanti dall'uccisione di un altro fratello, avvenuta per mano (forse) della polizia. Questo scatenerà fuoco e fiamme (testualmente), e i tre si ritroveranno asserragliati a difendere il quartiere popolare Athena, come fossero i nani, gli elfi e gli uomini che difendono Il Fosso di Helm dagli Uruk-hai de Il Signore degli Anelli. E, come se fossimo in una moderna Terra di Mezzo, disgregata sotto il fuoco di una società fatta a pezzi, anche l'universo di Athena è frutto di immaginazione. Un luogo che geograficamente non esiste, e che potrebbe essere identificato nella periferia di Marsiglia o in una banlieue di Parigi. L'importante, per Gavras, è ridefinire il concetto di tragedia greca - e il nome Athena è abbastanza emblematico -, andando a citare in modo diretto tanto i Poemi Omerici quanto la Letteratura Medievale. Un immaginario preciso e sorprendente, che coincide in modo strepitoso all'idea registica di Romain Gavras: riprese aeree, campi larghi che si ristringono, campi stretti che si allargano, utilizzo schizofrenico e studiato dei droni che sovrastano l'azione che non ha mai interruzione.
Athena, la recensione: Le banlieue di Romain Gavras tra furia visiva e cori greci
Uno dei migliori film del 2022
Per questo, fin da subito, la messa in scena prende una piega spettacolare, con l'obbiettivo massimo di sorprendere e meravigliare sfruttando la tecnica cinematografica più immersiva che possa esserci. Del resto, il piano sequenza è il cinema portato all'estremo, nel bene e nel male, tanto che riesce ad annullare qualsiasi scarto temporale tra la realtà e la finzione. Annullando (anzi, rimodulando) il concetto di montaggio, Gavras stringe e allarga l'inquadratura che non si interrompe, sintetizza la narrazione e sovrappone il tempo reale a quello filmico, regalandoci cinema puro che si rifà per concetto alle opere pittoriche di Eugene Delacroix. Uno sforzo tecnico enorme che non prevede sbagli, mentre il regista riprende poi la tecnica del long take in diversi momenti del film, in modo tale da trasportarci al centro della storia.
Figlio d'arte di papà Costa-Gavras e di mamma Michèle Ray-Gavras (giornalista e produttrice), Romain si può considerare una sorta di autodidatta: ha fondato il collettivo Kourtrajmé, insieme a Kim Chapiron, un altro prodigio del cinema francese, cominciando poi ad affinare l'arte grazie a cortometraggi e videoclip. Il punto di svolta è il 2008, quando dirige il video di Stress dei Justice. Un videoclip che fece decisamente discutere (per via della violenza), ambientato proprio all'ombra di una banlieue. Quello che è certo, vedendo le sue opere, è la spettacolarità al servizio però di una forte sensazione emozionale. Ovvero, nulla è lasciato al caso e c'è una cura meticolosa di ogni dettaglio. Basti vedere il videoclip di Nothing Breaks Like a Heart di Mark Ronson in featuring con Miley Cyrus (che è un vero e proprio film), oppure l'ottimo Il mondo è tuo, lungometraggio del 2018 presentato a Cannes nel 2018 e poi, come per Athena, arrivato su Netflix. Su questa strada, l'opera presentata a Venezia 79 (e lo diciamo, avrebbe meritato il premio per la miglior regia) è una summa e una tesi esplicativa della poetica di Gavras che, nel giro istantaneo di quindici minuti, ci ricorda perché amiamo così tanto il cinema. E nemmeno a dirlo Athena diventa di conseguenza uno dei migliori film del 2022.