Asia Argento, dark diva

Incontro con la figlia d'arte, timida impenitente e selvaggia dentro, che non rinnega la fortuna d'appartenere agli "Argentos", sogna Bette Davis, ha in mente il suo 'Elephant man' e intanto si diletta con 42 "esercizi di stile".

Asia Argento , con l'originale look e l'elegante stile di una principessa dark, presenta a Roma 2009, in compagnia del direttore della sezione Extra - L'altro cinema Mario Sesti, che la definisce a ragione "una soggettività anomala del panorama artistico italiano", lo sperimentale progetto Onedreamrush: visionario film collettaneo composto da 42 cortometraggi realizzati da 42 autori di appartenenza e generazione diverse - tra questi David Lynch, Mike Figgis, Abel Ferrara, Kenneth Anger, Chris Milk, Tadanobu Asano - uniti nel segno del sogno. L'attrice è diventata un'artista a tutto tondo: recita, dirige, scrive, suona e produce, insieme al compagno, il regista e produttore Michele Civetta, che sottolinea il carattere prestigioso e anomalo dell'operazione 42 "immaginate i sogni di persone da tutto il mondo che sono abituate a raccontare i sogni e immaginateli tutti insieme: è una tappezzeria dei nostri tempi"! La sua scommessa è come sempre, al di là del chiacchiericcio di corridoio e dei soliti ambigui rumours, vincente: Asia continua a lanciarsi in sfide innovative e interessanti e a mettersi in gioco proprio come la sua prima volta: quando diresse Scarlett Diva, il primo film girato in digitale in Italia. E alla sua brillante carriera artistica coniuga bene quella di mamma.

L'altro anno Olivier Assayas l'ha considerata la più grande attrice con cui ha lavorato. L'hanno voluta nel loro cast registi del calibro di Van Sant e Ferrara. Cosa c'è nel suo stile, nella sua persona e nel suo modo di essere sul set che, secondo lei, piace tanto agli altri?

Asia Argento: Il giorno che riuscirò a rispondere a questa domanda la mia carriera sarà finita. La cosa strana è che io non mi piaccio granché quindi non so cosa ci trovino in me questi artisti, che stimo tanto.

Una prima parte della sua vita, nel suo modo di presentarti, è risultata anticonvenzionale e selvaggia. Si ritrova in questa definizione?

Asia Argento: Ecco, direi che "selvaggia" va meglio di "cattiva ragazza" o "dark lady", perché mi assomiglia di più ed è qualcosa che fa parte della mia giovinezza scapestrata e ribelle. Ho imparato a conoscermi attraverso il cinema, ma sono un'autodidatta e ho iniziato a 9 anni. Mentre i ragazzi della mia età si divertivano, io già lavoravo: ho lavorato tutta la vita e non è sempre stato un percorso sereno e luminoso, anzi a tratti selvaggio appunto anche se ora mi sono "instradata" in una direzione più tranquilla.

C'è stato un momento in cui ha avuto l'impressione di aver capito la tua strada?

Tantissimi, ma ero ancora al "caro amico". C'è stato da giovanissima l'incontro con Cristina Comenicini, per il ruolo di Martina in Zoo , che mi ha insegnato a dimenticare la sceneggiatura, spiritualmente, ad avere un senso del dovere sul set, un lavoro di gruppo. Poi a 16 anni con Michele Placido (Le amiche del cuore,) ho capito per la prima volta che questo era il mio mestiere. Poi con Abel Ferrara sono venuti fuori lati non sempre positivi, però come diceva il Faust "la forza che ama il male sempre bene fa" e ho tirato fuori i lati negativi del mio carattere sul grande schermo, ma parlo sempre di cinema non di vita reale, che è un'altra cosa. Spesso mi sono divertita nel fare personaggi estremi, fuori di testa: è divertentissimo farlo al cinema perché puoi esplorare dei lati di te... abbiamo tutti dei personaggi e delle emozioni dentro di noi. È stata una mia scelta in realtà interpretare personaggi borderline perché li reputavo i più divertenti, non mi interessava il ruolo della borghese. Io sono una specie di eremita, esco pochissimo di casa e quindi volevo fare qualcosa di forte.

È interessante il fatto che tu lei si sia affermata nel cinema italiano e internazione con il ruolo selvaggio, ma in realtà poi da piccola era così timida...

Lo sono ancora! Da piccola la Comencini tirava fuori di me i lati peggiori e pensavo che forse non fosse il mio mestiere. Dopo il suo film ci fu una pausa di tre anni. Poi arrivò Placido, grande maestro di attori e anche Nanni, che cercava la perfezione, che secondo me non esiste, ma era giusto assecondarlo in questa ricerca.

Che ricordo ha della Croisette 1992?

È un ricordo un po' frivolo: per il red carpet mi comprai un vestito veramente ridicolo a via del Corso, una roba da principessa, tutto di nylon, una schifezza!

La sua è la natura di un'artista ibrida, che sta davanti e dietro la macchina da presa, volto e corpo su cui si appuntano sguardi d'autore inconfondibili. Lei è nata nel cinema...

Il mio bisnonno era in Brasile e distribuiva film, mia nonna fotografa, gli zii produttori, mamma un'attrice... e poi c'è papà Dario: sono una dinastia gli Argentos!

Ha mai avuto la tentazione di fuggire?

No, non sono mai voluta scappare da questo mondo. Quand'ero piccola mio padre prese un beta e io guardavo film tutti i giorni, specialmente gli horror perché allora erano proibiti. Guardavo cinque film al giorno, sempre gli stessi!! In realtà volevo scrivere per il cinema, poi a 5 anni dissi a mia madre che volevo fare l'attrice, ma lei mi disse di lasciar perdere. I miei mi dicevano di fare altro. Mio padre mi disse di fare la regista perché gli attori sono persone tremende. Lì un po' mi bloccai, non volevo diventare una persona tremenda.

C'è stato un momento in cui dopo aver maturato tante esperienze, ha deciso che provare a scrivere ed esprimerti col cinema fosse un'esigenza?

Sì, è stata un'esigenza perché a un certo punto mi è venuta una storia e la vedevo come una storia che non era mai stata fatta, era una questione molto romantica soprattutto perché avevo 23 anni. Scarlet Diva è stato un film piccolissimo che ha avuto una vita lunghissima, un film imperfetto e pieno di errori non lo riesco a guardare perché mi sembra di rileggere un mio diario con tutte le brutture dell'adolescenza. È stato un film necessario. All'inizio non fu ben amato in Italia, ma le critiche mi hanno aiutata a crescere: volevo raccontarlo in quel modo, ed è stato il primo film in digitale in Italia. Ora siamo al terzo e spero che sia meglio, ma so che la perfezione non esiste.

Nel primo film sembrava che ci fosse una rabbia che si liberava. È così? Com'è stata l'esperienza della regia per te?

Parecchia rabbia! Ma rabbia positiva! Anche molto divertimento, che è stato mal interpretato: uno humour per cui gli altri pensavano mi prendessi seriamente, ma io me la ridevo, forse però me la ridevo da sola. I miei primi due film li ho scritti e diretti quindi sapevo cosa volevo da me: bisogna essere come delle mosche, guardarsi continuamente in giro, amare il controllo e abbandonarsi,ma non troppo, nell'aiuto degli altri. Come Truffaut diceva: "il regista è una persona che deve rispondere a delle domande, e deve farlo velocemente". Oggi puoi controllare vedere se non è venuta bene una scena e la puoi rifare, ma in genere io faccio al massimo 2-3 ciak a scena.

Qual è la cosa più divertente della regia?

Fare tutto, il regista è musicista, fotografo, attore, autore: in realtà è il mestiere più completo, è divertente e molto faticoso. Secondo me, il regista è una persona capace di vivere a lungo con le proprie ossessioni mentre in genere le persone si arrendono alle proprie ossessioni.

Quant'è diverso fare i film all'estero?

In Italia io mi sento più a casa, eppoi sono una fan del cinema italiano. I miei mostri sacri sono quelli che finiscono in -ini: Fellini, Pasolini, Rossellini sono i miei maestri e continuo a vedere i loro film come un'ossessiva compulsiva! In Italia il cinema, il set è più caloroso, puoi trovare la sarta che ti fa l'amatriciana... In Francia è un po' più snob, si ha l'idea di fare il film della tua vita, che non arriva purtroppo in Italia... L'America è un'industria, ma ci sono eccezioni come Gus Van Sant... Ci sono stati film eccezionali per esempio con Tony Gatlif con una piccola truppe franco-rumena... dove il piccolo ego degli attori viene distrutto ed è una cosa che mi piace... Ho imparato molto da lui, mi ha insegnato perfino come si monta.... Invece nei film americani ognuno sta al suo posto perché lì ci sono le unions, i sindacati, ed è tutto a compartimenti.

Trova che i film americani siano divertenti?

I film americani sono come andare al luna park, è una pacchia!

Uno dei suoi ruoli rimasti più impressi è la Contessa du Barry in Marie Antoinette che pone bene la differenza tra uomo e donna. Lei cosa pensa di questo rapporto?

Bella domanda! Io non lo so perché su 1000 registi solo uno è donna. Io volevo lavorare come regista con donne soprattutto nel reparto tecnico e in Italia ce ne sono poche. Si potrebbe fare di più per le donne. È un discorso che mi sta a cuore. Sofia Coppola è il "potere gentile", non ha bisogno di comandare perché ha molto carisma ma è anche infantile eppure riesce a dirigere il set con grande garbo, riesce a improvvisare....

Com'è arrivata per lei la possibilità di lavorare con suo padre sul set?

Fu buffissimo perché ero sul set di Placido... Io sognavo di fare un film con mio padre perché adoro il suo cinema. Un giorno venne sul set e gli disse che avrei fatto il suo prossimo film, Trauma, scritto per me. Forse anche lui è timido! E fu un trauma la scena in cui dovevo spogliarmi davanti a mio padre. Lui è molto dolce con me ma anche severo e più si va avanti col tempo più diventa severo, ma è meglio così: così imparo.

Cosa le ha insegnato suo padre dal punto di vista artistico?

Mio padre non si è mai seduto a tavolino per spiegarmi, ma da piccola frequentavo i suoi set e una cosa meravigliosa che mi ha regalato fin da piccola è il fatto di avermi raccontato le sue visioni, e io ero la sua interlocutrice: mi ha insegnato tante cose che oggi non si usano più, come i trucchi e l'estetica, che ho fatto mie. C'è un gusto dell'orrido che scorre nel mio sangue, ma poi nei suoi film è tutto meraviglioso e bello da guardare!

Il suo prossimo film è tratto dall'omonimo libro giapponese Il fucile da caccia, ed è una storia che per certi versi assomiglia a Rashomon. Ce ne parla?

Sì, ci sono dei punti di vista. Sono tre lettere... Ma non disturbiamo il maestro. È una storia modernissima perché il triangolo amoroso è un archetipo. Spero di raccontarlo il prossimo anno proprio qui al Festival di Roma, che trovo importante per la nostra città. Questo festival deve crescere.

Le piace ancora scrivere per il cinema?

Preferisco trovare qualcuno che è più bravo di me: lo trovo più rassicurante. Ho una storia in mente da quando avevo 16 anni: due fratelli vanno in guerra, esplode una bomba che porta via la faccia a entrambi, e la moglie non sa più come distinguere il suo vero marito. Un giorno avrò il mio Elephant man.

Ha rimpianti per il fatto di non aver lavorato per tanto tempo nel cinema italiano? Crede che la sua assenza dalla scena italiana sia dovuta a una personalità troppo ingombrante?

Forse pensano che vivo ancora all'estero o non ci sono i ruoli adatti per me, però vedo tanti film interessanti. Per esempio Marlon Brando che di personalità ingombrante ne aveva da vendere era sempre Marlon Brando qualsiasi ruolo facesse. Non voglio criticare il cinema italiano, sono di buone speranze e mi auguro che presto farò un film da attrice: dovrei lavorare con Francesca Daloya in Sogno cattivo, una storia spigolosa. Come diceva la cantilena in . Freaks "ti accettiamo, sei una di noi". E non è un caso che il team di questo film sia tutto al femminile.

Se potesse scegliere d'interpretare un ruolo di un grande classico, quale vorrebbe interpretare?

Non ho mai sognato di fare ruoli classici. Per timidezza non voglio neanche immaginare un ruolo perché ci sono delle qualità egocentriche che riconosco in me, e negli attori, che preferisco tenere a bada. Quando vede una grandissima attrice come Bette Davis, la mia attrice preferita... ecco mi piacerebbe interpretare Che fine ha fatto Baby Jane?

Qual è il segreto del suo successo?

Guardare tantissimi film. Almeno 5/6 film al giorno. Leggere tantissimi libri. Eppoi io sono stata fortunata e tutti me l'hanno fatto pesare. È vero, ma mi sono fatta un culo così. Questo è un mestiere per cui bisogna provarci e riprovarci e studiare tanto.

Ci racconta la vera storia vera di J.T. Leroy?

La cosa bella del film Ingannevole è il cuore più di ogni cosa è che è solo un film. Non sapevo niente della bufala che è saltata fuori, dopo il film. Sul fatto che JT Leroy fosse un uomo diventato donna ne ero sicura. Questa è stata per me la cosa più shockante. È stato un sospiro pazzesco sapere che non è successa questa storia a un bambino. Mi hanno intervistata sul set e rigirata come un calzino. Ma ne sono contenta perché sono ancora ingenua. Ho scoperto tutto solo con il New York Times. Nel tempo m'ha fatto stare un po' male perché già ho dei problemi a fidarmi delle persone. E' stata una grande truffa. Anche se la storia rimane. Anzi il film è ancora più film.

Asia Argento: mamma e artista. Come fa a conciliare le due cose?

Ci vuole tanta organizzazione, ma si riesce a conciliare tutto. Poi Michele e io facciamo fifty/fifty! Se fossi solo mamma sarei infelice, se fossi solo artista sarei incompleta!