Recensione To Rome with Love (2012)

Grazie ad una sovrapposizione di stili e atmosfere in cui la tradizione del grande cinema italiano si fonde con la sua ironia sempre acuta e irriverente, Woody Allen riesce a consegnare una visione personale non tanto della città eterna, quanto dell'incanto esercitato su chi le si avvicina

Arrivederci Roma

Roma seduce, stupisce e disorienta. Lo sa bene Ippolito Pisaniello che, dopo una vita di completo anonimato, si sveglia improvvisamente perseguitato dai media. Lo stesso stupore un po' impaurito lo prova la dolce Milly, completamente persa tra le vie della città in balia dei suoi sogni romantici, diventanti realtà grazie all'incontro con l'attore Luca Salta. Ma tra i sette colli non è tutto oro ciò che riluce. Così Anna, una escort generosa e vitale, si trasforma in moglie per un giorno, mentre l'amore travolgente del giovane Jack per Monica altro non è che il capriccio di una presunta attrice annoiata. L'unico che sembra non lasciarsi incantare da questi inganni è Jerry, tanto preso dalla sua depressione post-pensione da combattere per realizzare l'ennesimo discutibile progetto culturale della sua carriera, questa volta assolutamente made in Italy.


Il rapporto d'amore tra la città eterna e il cinema americano ha origini lontane. Da quando William Wyler ha avuto la geniale illuminazione d'immortalare Gregory Peck e Audrey Hepburn in sella ad una Vespa durante le loro Vacanze Romane, la città ha acquistato agli occhi dei registi d'oltreoceano un fascino romantico capace di trasformarla in un vero e proprio set a cielo aperto. Un'attività che ha dato la luce a commedie rosa come Tre soldi nella fontana di Jean Negulesco (Come sposare un milionario, Papà Gambalunga), ma che ha anche condannato Roma e i suoi abitanti a una serie di luoghi comuni ormai non più rintracciabili nella realtà quotidiana. Così, tra stornelli e conquistatori dal fascino latino, si è arrivati con fatica e un pizzico di timore fino all'esperimento di Woody Allen che, pur non rinunciando completamente alle forme tradizionali del passato, con To Rome with Love riesce a consegnare una visione personale non tanto del luogo, quanto dell'incanto esercitato su chi gli si avvicina. Un risultato ottenuto grazie a una sovrapposizione di stili e atmosfere diverse, che hanno fuso la tradizione del grande cinema italiano con l'ironia sempre acuta e irriverente di Allen. In questo modo il regista newyorkese affida l'anima locale a un vigile d'ispirazione "sordiana" e a un attore un po' "vitellone", mentre dall'altra parte dell'oceano rintraccia simbolicamente lo storico personaggio di Isaac Davis per portarlo lontano da Manhattan e metterlo a confronto con la placida indifferenza di una città estranea. All'età di settantasette anni, però, Woody non è più Harry a pezzi e, nonostante rimanga intatta la forza travolgente della sua comicità, sembra aver raggiunto un compromesso con la propria natura ansiolitica e l'attrazione per la psicoanalisi.

Così, attraverso l'interpretazione di Jerry, arrivato a Roma per "benedire" il legame della figlia con un italiano, mette fine ai lunghi anni di amicizia con Freud tanto da volergli chiedere il risarcimento per l'inutile terapia, ma non rinuncia al piacere di rappresentare l'elemento disturbante, lo straniero che per paura di cedere all'invecchiamento e alla morte, tutto smitizza e ridimensiona fino a mettere in scena un'improbabile versione de I Pagliacci nella sacralità de La Scala. Ed è sempre con il punto di vista dell'estraneo che continua il suo percorso grazie alla presenza di altri personaggi. Che sia uno studente americano d'architettura sedotto e abbandonato o una coppia di sposi arrivati direttamente dalla provincia con troppe speranze, Allen non cambia prospettiva ma lascia che il destino di ognuno venga sconvolto dalla natura incomprensibile e caotica di un luogo che accomuna, senza alcun problema, bellezza e miseria umana. Perché oltre le panoramiche su Piazza del Popolo e Trinità dei Monti, che sembrano cedere forse un po' troppo alla "propaganda" turistica, il regista posa uno sguardo totalmente privo di giudizio sulle nuove ossessioni della nostra società, mettendo in evidenza il desiderio di fama a tutti i costi, il fenomeno delle escort e un giornalismo superficiale. Ed è in questa prospettiva che Roberto Benigni e Penelope Cruz hanno il compito di rappresentare la spaesata tenerezza dell'uomo qualunque travolto dall'attenzione del mondo e la sgargiante spontaneità del peccato. Due figure fuori da qualsiasi tranello retorico che la città accoglie, punisce e protegge perché Roma, culla della civiltà e delle sue rovine, è un luogo che illude ma, allo stesso tempo, tutti consola per i sogni infranti.

Movieplayer.it

4.0/5