Recensione Un altro mondo (2010)

La mano un po' grezza di Muccino, nell'accezione meno negativa del termine, contribuisce a restituire sullo schermo una storia dolce e amara fatta di spigolosità e chiaroscuri, caratterizzata da un tenore drammatico discontinuo alternato a momenti anche leggeri che si devono tutti alla dolcissima simpatia del piccolo protagonista.

Apri gli occhi e vai in Africa

Andrea è cresciuto in solitudine. Ha solo qualche vago ricordo di suo padre e dei momenti trascorsi con lui, ma non riesce a ricordarsi nemmeno che faccia abbia tanto è l'odio che prova nei suoi confronti. Emigrato quando era solo un ragazzino, l'uomo si è fatto una nuova vita in Africa lavorando come educatore tra le bidonville di Nairobi. Ma se suo padre è mancato fisicamente ad Andrea, sua madre Cristina gli è mancata affettivamente. La donna, una ricca e imperturbabile signora tutta apparenza e poca sostanza, non gli ha fatto mai mancare nulla a livello economico ma, ad oggi, il ragazzo non riesce nemmeno a chiamarla mamma tanta è la distanza che prova nei suoi confronti. Durante la scalmanata festa organizzata dalla fidanzata Livia e dal suo amico Tommaso per il suo ventottesimo compleanno, Andrea riceve una lettera dall'Africa da parte di suo padre, una lettera che non ha neanche il coraggio di aprire talmente è il rancore che prova nel cuore. Altre ne sono arrivate negli anni ma dietro quella lettera c'è uno strano presentimento che purtroppo diventa immediatamente realtà. "Sto morendo, sono molto malato, avrei tanta voglia di rivederti" recita in tono laconico la missiva, e Andrea dopo qualche giorno, nonostante l'ostilità della madre, non cede alle titubanze e prende un aereo per il Kenya. Ad accoglierlo al suo arrivo è Sara, una collega di suo padre, che gli comunica che purtroppo le condizioni dell'uomo si sono aggravate e che ora è in coma. Ma le sorprese non sono finite perchè la ragazza gli consegna in mano delle carte in cui il padre lo nomina come tutore legale del piccolo Charlie, il bimbo di otto anni che l'uomo ha avuto da una relazione con una donna africana deceduta da qualche tempo. Combattuto tra il suo egoismo da ragazzo viziato amante della bella vita e il senso di responsabilità nei confronti di un bambino bello, intelligente e impaurito che è rimasto solo al mondo, Andrea e la sua fidanzata Livia dovranno gettare per la prima volta nella vita le loro maschere di superficialità e fare i conti con un difficile ma costruttivo percorso di crescita in cui si scopriranno profondamente diversi dai ragazzi che sono stati fino a quel momento, sicuramente migliori, sempre più in contatto con le loro vere emozioni.


L'Africa e l'amore familiare, in tutte le loro contraddizioni. Intenso ed a tratti altamente emozionante, Un altro mondo racconta una storia di crescita e di maturazione e lo fa entrando nel rapporto dapprima burrascoso poi inscindibile tra due fratelli di età, colore della pelle e origini diverse, legati da un destino bizzarro che li porterà a cambiare le loro vite in maniera drastica. Nati in due mondi agli antipodi, i due dimostreranno di avere in comune molto di più di quel che può sembrare a primo acchito. Il loro bisogno d'amore e di stabilità li unisce e li costringe a guardarsi dentro l'un l'altro senza filtri e con estrema sincerità. Al di là dei luoghi comuni, Andrea e Charlie sono di fatto un uomo che non sa stare al mondo e vive circondato da persone che guardano alla vita senza entusiasmo e un bambino di otto anni che di sofferenza e di dignità ne sa quanto tutti loro messi insieme. Un esserino sensibile e vivace che prenderà per mano il fratello maggiore per condurlo in una nuova dimensione, quella in cui si vivono i sentimenti senza veli, in cui non si devono più camuffare gli stati d'animo o mentire a se stessi e agli altri, una dimensione in cui si vive in funzione e in armonia con chi ci sta intorno.

Nonostante gli scetticismi che di solito accompagnano i cognomi noti, Silvio Muccino riesce a sorprendere in positivo con il suo nuovo film, scelto da Universal per l'uscita natalizia come alternativa sentimentale alle risate festive con Megamind. Sono altresì evidenti le lacune e le ingenuità di un regista agli esordi, ma nonostante tutto il film di Silvio Muccino convince la platea anche grazie all'interpretazione potente e viscerale di tutti gli attori, scelti con cura e incollati ai personaggi, capitanati dalla vera star del film, il piccolo Michael Rainey, un attore assolutamente incredibile, la cui performance divertente e commovente allo stesso tempo tocca il cuore e vale da sola il prezzo del biglietto. Qualche eccesso nei dialoghi, talvolta forzati e telefonati, non rovina il risultato finale che brilla proprio per i suoi contrasti, di ambientazione e di stile, tra la prima e la seconda parte del film. La mano un po' grezza di Muccino, nell'accezione meno negativa del termine, contribuisce a restituire sullo schermo una storia dolce e amara fatta di spigolosità e chiaroscuri, caratterizzata da un tenore drammatico discontinuo alternato a momenti anche leggeri che provengono tutti dalla dolcissima simpatia del piccolo protagonista. Un uso ridondante della voce fuori campo nei primi venti minuti ha fatto francamente pensare al peggio ma successivamente la storia fortunatamente decolla senza mai subire momenti di stallo.
Un viaggio di accettazione quello raccontato da Muccino jr., un viaggio di iniziazione alla vita, un viaggio nella savana selvaggia e inospitale che si rivelerà essere una panacea per tutti i mali di un ragazzo abituato a vivere senza equilibrio la sua vita tra alcol, vita notturna e locali alla moda. Tratto, come il suo primo film Parlami d'amore da un romanzo di Carla Vangelista (il primo scritto a quattro mani con lo stesso Muccino), Un altro mondo è una tappa importante nella carriera di Muccino, sotto tanti aspetti. Sotto quello artistico perchè è stilisticamente interessante e grazioso nella sua semplicità; sotto quello umano perchè lo sguardo ammirato e stupito del regista e dell'uomo nei confronti dell'Africa è il vero punto di forza dell'opera che si fregia di una fotografia veramente impressionante; sotto il punto di vista del fatidico taglio del cordone ombelicale che professionalmente lo legava al nome del fratello Gabriele.

Così il giovane regista romano classe 1982, figlio e fratello d'arte, costruisce un film che rispecchia in pieno il momento cruciale di crescita e di evoluzione che per sua stessa ammissione sta vivendo nella vita reale, alla ricerca di un'identità che non è sempre facile trovare. Con tutta l'impulsività che lo contraddistingue, Silvio spalanca gli occhi sull'Africa e racconta una storia coraggiosa di amore fraterno, senza retorica e senza pietismi, dimostrando di avere le capacità tecniche e creative necessarie per dar voce alla sua forza interiore e alla sua veemente passione per il cinema e per le storie che hanno al loro centro personaggi in cammino verso l'accettazione di se stessi e delle proprie debolezze. Che non sia un messaggio in codice rivolto al fratello maggiore con il quale non ha più contatti da tempo?

Movieplayer.it

3.0/5