E se un'app ci permettesse un giorno di tornare indietro nel tempo, esattamente a quel "minuto prima di...", per cambiare le cose? È quello che succede al protagonista del secondo film da regista di Francesco Mandelli e da qui è necessario partire per affrontare la recensione di Appena un minuto. L'idea dei salti temporali con l'anarchico ventaglio di what if che ne deriva, è stata e continua a essere per il cinema fonte di ispirazione.
Il racconto tratto da un soggetto di Max Giusti si addentra pericolosamente nel solco di una tradizione ampiamente consolidata (si pensi a Ricomincio da capo) e portata avanti in anni più recenti da titoli come Cambia la tua vita con un click, commedie che fanno del tempo un elemento narrativo imprescindibile per lo sviluppo dell'intera storia, nonché un pretesto per una riflessione più intima sul senso della vita. Ma è proprio questa dimensione a mancare in Appena un minuto, un film che nonostante le buone intenzioni, si riduce a una sequela di sketch comici svuotando il paradosso temporale della funzione drammaturgica che gli è propria.
La trama: Max Giusti tra commedia generazionale e satira di costume
I tratti sono quelli della commedia pop intrisa di romanità, la storia di Appena un minuto arriva da un'idea di Max Giusti che qui scrive soggetto e sceneggiatura insieme a Igor Artibani e Giuliano Rinaldi. Non solo, il comico romano è anche protagonista di Appena un minuto: interpreta infatti Claudio, uno spiantato agente immobiliare, padre di due adolescenti, separato dalla moglie che lo ha mollato per il "Re della Zumba" (Dino Abbrescia).
Claudio ha cinquant'anni, ma vive con la mamma (Loretta Goggi) nella cameretta di quando ne aveva quindici, tappezzata di poster degli Spandau Ballet e abitata dai fumetti di Tex. Non ha uno smartphone, ma si arrangia ostinatamente con un vecchio Nokia e ogni mattina si sveglia sulle note neomelodiche di "Nu jeans e na maglietta" di Nino D'Angelo.
Quasi inesistente il rapporto con i due figli: Luca, aspirante trapper, che impegna le giornate a esibirsi davanti allo schermo di un telefonino tra un "bufu", un "eskere", un "triplo sette" e un "bibbi"; e Greta, tutta presa a condividere stories su Instagram e acquistare like a suon di centinaia di euro, il prezzo da pagare per costruirsi una immagine social degna dei tempi.
Tutto sembra andare nella direzione del totale fallimento, fino a quando, spinto dall'amico Ascanio e convinto che sia arrivato il momento di convertirsi al digitale, Claudio non deciderà di comprare il suo primo smartphone. Che non è un telefono qualsiasi: con un tasto infatti si può tornare indietro di sessanta secondi. Da quel momento Claudio cercherà di dare una raddrizzata alla sua vita, nel tentativo di riconquistare la propria famiglia.
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La riflessione ironica sul contemporaneo attraverso personaggi stereotipati
Nonostante qualche siparietto comico riuscito e alcuni interventi di Francesco Mandelli, come quello che ha portato Appena un minuto ad essere il primo film italiano a riflettere ironicamente sul fenomeno trap, il problema principale del racconto rimane la scrittura. Abusare dell'espediente del salto temporale fino a normalizzarlo azzerandone il potere narrativo, non fa che ridurre il film a una commedia che mette in fila una manciata di gag discutibili e una critica di luoghi comuni, che altri autori hanno saputo fare meglio altrove. Non c'è nulla di nuovo né nel linguaggio, né nei personaggi, come il cliché della badante dell'est, dell'italiano medio alla ricerca di un riscatto o quello di una generazione di giovanissimi "che non capisce un cazzo" e ascolta musica che "fa cagarissimo", e che però è quello che serve per "fare il botto". Nessuno dei temi messi a fuoco, dallo scontro generazionale alla satira di costume, viene approfondito come meriterebbe, mentre i personaggi non subiscono evoluzione e ripropongono stereotipi.
I pochi momenti genuini sono quelli che Claudio si ritaglia con il padre o gli attimi di solitudine a tu per tu con l'ex calciatore Marco Tardelli che, nei panni di se stesso, assume quasi sembianze oniriche, a metà tra un angelo custode e un grillo parlante. È il simbolo di un'Italia che il nostro antieroe fatica a lasciare andare, un'Italia che custodisce gelosamente tra le pareti della sua camera da ragazzo. Difficile però entrare in empatia con un personaggio che rischia più di una volta di scivolare nel macchiettistico; meritano invece una menzione speciale i giovanissimi interpreti di Greta, Carolina Signore, e Luca, Francesco Mura, credibili e a loro agio nei panni di due adolescenti che si esprimono per slang e comunicano nel gergo dei social. Divertenti anche gli altri comprimari da Herbert Ballerina, con il solito tocco surreale e nonsense, a Paolo Calabresi, che in una esilarante performance finale si conferma interprete dai perfetti tempi comici.
Conclusioni
Alla fine della recensione di Appena un attimo rimane il rammarico per un film che, pur partendo da ottime premesse, vanifica ogni suo potenziale. L'espediente del salto temporale, che sarebbe dovuto essere il motore drammaturgico della vicenda, si trasforma in un divertissement svuotato di senso. Quasi ci se ne dimentica, mentre la commedia si riduce a una sequela di sketch comici già visti. Nulla di orginale nè nel linguaggio nè nei contenuti, eccezion fatta per l'ironico ritratto del fenomeno musicale contemporaneo per eccellenza: la trap e il suo sottobosco.
Perché ci piace
- La riflessione ironica sulla trap e il suo sottobosco.
- La dimensione più onirica e malinconica evocata dall'immagine di Marco Tardelli, un po' angelo custode, un po' mentore.
Cosa non va
- L'idea del salto temporale non è pienamente sfruttata, nel corso della vicenda diventa un espediente talmente abusato da finire in secondo piano.
- I personaggi non subiscono un'evoluzione.
- Il film mette in fila una manciata di gag discutibili e ripropone situazioni comiche stereotipate.