Una donna giace priva di sensi sul divano di uno squallido salotto, mentre una squadra di paramedici tenta invano di rianimarla. Seduto accanto a lei, un ragazzo adolescente continua a fissare il quiz show trasmesso in televisione, apparentemente impassibile a quanto sta accadendo all'interno della stanza. Quella donna si chiama Julia ed è appena stata stroncata da un'overdose di eroina, mentre il ragazzo al suo fianco è Joshua, detto J., suo figlio.
Questo incipit, per quanto scioccante, non è del tutto nuovo: gli spettatori più attenti, infatti, avranno già visto una scena pressoché identica qualche anno fa all'inizio di un film australiano intitolato Animal Kingdom, lungometraggio d'esordio nel campo della finzione per il regista e sceneggiatore David Michôd. Ambientato nei sobborghi di Melbourne sul finire degli anni Ottanta, Animal Kingdom, distribuito nelle sale nel 2010, è una pellicola in cui le convenzioni del cinema di genere si amalgamano con gli elementi del dramma psicologico: un connubio che ritroviamo ora anche in Animal Kingdom, serie televisiva in dieci episodi trasmessa dal canale satellitare americano TNT.
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La famiglia Cody
Dall'Australia degli anni Ottanta alla California dei giorni nostri, la formula di base non sembra essere cambiata più di tanto. Lo showrunner Jonathan Lisco dimostra infatti una notevole fedeltà sia rispetto alla materia narrativa di riferimento, sia rispetto a certi modelli stilistici del film, coadiuvato in questa trasposizione dal supporto dello stesso Michôd in qualità di executive producer e da quello del produttore John Wells (I segreti di Osage County), anche regista dei primi due episodi. Al cuore del racconto, fin dalle battute d'apertura, vi è infatti la figura di Joshua, che qui ha il volto 'pulito' e lo sguardo tormentato del giovanissimo Finn Cole, proveniente dal cast della serie britannica Peaky Blinders. Con un padre che non ha mai conosciuto, e di cui ignora perfino il nome, e una madre che ha visto morire accanto a sé, ora Joshua ha soltanto un numero a cui rivolgersi: quello di sua nonna Janine (Ellen Barkin), che non vede da oltre dieci anni ma che, dopo aver appreso la notizia della scomparsa della figlia Julia, non esita ad invitare il nipote a fare i bagagli e a trasferirsi da lei.
Joshua, ancora stralunato per questi repentini cambiamenti nella sua vita, si ritrova così ad essere inquilino della lussuosa villa di Janine a Pasadena, a breve distanza dalle rive dell'oceano, dove il ragazzo ritrova anche quei fratelli dei quali non aveva quasi alcun ricordo, Craig (Ben Robson) e Deran (Jake Weary), aitanti, irruenti e spigliati, e pure una sorta di "fratello adottivo", accolto da Janine fin da bambino: Barry Brown, detto Baz (Scott Speedman, volto noto della TV grazie alla serie cult Felicity), che pare il più posato e responsabile tra i 'pupilli' di Janine, soprannominata Smurf (l'equivalente di Puffa), nonché il loro leader. Per Joshua, abituato a una vita di stenti, a creditori minacciosi che lo braccano sulla soglia di casa e alle pressioni di avere una madre tossicodipendente, entrare a far parte del clan dei Cody ha un effetto straniante, ma al contempo irresistibilmente piacevole: mattinate di surf, un giardino con un'enorme piscina, ogni tipo di comfort a disposizione, ma soprattutto la consapevolezza di far parte di una vera e propria famiglia. Una famiglia che, tuttavia, forse cela qualche lato oscuro: per esempio il ritorno di Andrew, alias Pope (Shawn Hatosy), il primogenito di Janine, appena uscito dal carcere; o il fatto che i suoi fratelli non nascondano i loro impulsi feroci e violenti e, nottetempo, pratichino l'hobby delle rapine...
Un coming of age fra ambiguità e crimine
Ma prima ancora di proporsi come crime drama, Animal Kingdom, perlomeno a giudicare dai due episodi d'apertura (trasmessi entrambi il 14 giugno negli Stati Uniti), è principalmente un coming of age: è Joshua, diciassettenne brillante, ma traumatizzato e facilmente malleabile, ad offrirci il punto di vista privilegiato su una realtà accattivante per la sua aura di vitalità e di sregolatezza. Finn Cole ha l'espressività adatta a trasmettere la perplessità, il senso di spaesamento, perfino la sommessa paura al cospetto di quei parenti sconosciuti, ma il background del personaggio è talmente tragico da indurlo a vedere nella famiglia Cody una possibilità di riscatto: non solo in nome di un banale edonismo, ma per conquistare quella sicurezza che gli permetterà di ribellarsi a uno strozzino, di brandire una pistola e, inesorabilmente, di prendere parte alle attività criminali degli zii. Animal Kingdom si configura pertanto come una parabola paradigmatica sulla perdita dell'innocenza: una lenta ma rovinosa discesa in un'oscurità che ha la cornice abbagliante delle spiagge della California.
Con una messa in scena di impostazione tradizionale, ma di impianto solido e più che idonea a questo tipo di racconto, la serie di Jonathan Lisco ci induce a focalizzare la nostra attenzione sui rapporti familiari, contraddistinti da una componente di morbosità e di ambiguità. Una componente individuabile negli atteggiamenti manipolatori, talvolta melliflui, talaltra bruscamente dispotici di Janine, a cui la veterana Ellen Barkin conferisce il carisma e l'autorevolezza necessari, sostenendo degnamente il paragone con la 'mostruosa' matrona interpretata nel film del 2010 da una superba Jacki Weaver (in un ruolo che le era valso la nomination all'Oscar come miglior attrice supporter); ma pure nella natura imprevedibile di Pope, la "scheggia impazzita" della famiglia, con l'aria sottilmente folle del valido Shawn Hatosy (nel film era un ottimo Ben Mendelsohn). E a suggerire il senso di inquietudine che grava sul microcosmo della serie basti osservare le interazioni sempre sul filo del rasoio fra Pope e Joshua, le tensioni in procinto di espoldere al funerale di Julia, o le scene in cui una Janine dai modi carezzevoli ma di evidente malizia fa mettere a confronto i propri figli, o induce Joshua a spogliarsi completamente davanti a lei.
Sono questi i personaggi di maggior impatto di Animal Kingdom, mentre il Baz con il viso da bravo ragazzo di Scott Speedman per ora è assimilabile a un ideale alter ego di Joshua, benché di una generazione precedente: un padre di famiglia diviso fra le ansie di una compagna, Catherine (Daniella Alonso), che aspira ad un'agognata 'normalità', e gli obblighi di una famiglia acquisita sorretta da ferree regole e da un inviolabile patto di fedeltà. Le future scelte morali di Baz, coinvolto suo malgrado nell'uccisione di un poliziotto, e quelle forse meno consapevoli di Joshua, alle prese con la definizione della propria identità di adulto, costituiscono i motivi d'interesse di una serie dal notevolissimo potenziale. Non mancano, ovviamente, alcuni margini di miglioramento, ma ad oggi le premesse ci sono tutte...
Movieplayer.it
4.0/5