C'è un'immagine molto indicativa nella scena iniziale di Angels Wear White: Mia, una ragazza adolescente, percorre al tramonto la strada accanto al lungomare in una cittadina costiera della Cina, nella provincia di Hainan, e si ferma a fotografare la statua di una gigantesca Marilyn Monroe, a gambe spalancate e con il vestito bianco lievemente sollevato come nella famosissima sequenza del film Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder.
L'icona di Marilyn, che ritornerà in maniera emblematica anche nell'epilogo, mentre la statua viene alzata e trascinata via dalla strada, a visione ultimata pare acquisire un preciso valore metaforico: la riduzione del corpo femminile a puro oggetto. Un tema che trova riscontro nelle storie sviluppate dalla regista e sceneggiatrice Vivian Qu, al suo secondo lungometraggio dopo Trap Street (presentato a Venezia 2013 alla Settimana Internazionale della Critica) e in concorso - unica regista donna - alla 74a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
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Angeli in Purgatorio
La trama di Angels Wear White si dipana lungo un duplice binario. Il primo è quello relativo appunto a Mia, la quale sta aspettando di ottenere i documenti che le permetteranno di mettersi in regola, ma nel frattempo si mantiene lavorando come cameriera in un motel. Proprio durante un turno di notte di Mia, a cui una collega ha richiesto una sostituzione all'ultimo minuto alla reception, nel motel avviene un evento drammatico: due ragazze di dodici anni, Wen e Xin, amiche e compagne di classe, nottetempo subiscono degli abusi sessuali da parte di un misterioso stupratore che si è introdotto nella loro camera. Il giorno seguente, a scuola, una piccola lite e la perdita di sangue di una di loro porterà a una visita medica e alla realizzazione che le due giovani hanno consumato un rapporto sessuale, perdendo la verginità.
Se dunque il film sembra presentare diversi aspetti 'scabrosi', in compenso Vivian Qu evita qualunque tipo di sensazionalismo e non cerca il ricatto emotivo nei confronti dello spettatore. Al contrario, Angels Wear White lavora di fino, asciuga quanto più possibile i conflitti alla radice del racconto e si affida soprattutto ai silenzi, ai sottintesi e alla forza del non detto. Un approccio che si riflette anche su alcune precise scelte drammaturgiche: Vivian Qu, infatti, sceglie di racchiudere l'avvenimento cruciale del film, la violenza subita dalle due dodicenni, in un'ellissi, lasciando che la verità emerga a poco a poco nelle scene successive. Senza enfasi, ma con un'attenzione costante agli stati emotivi dei suoi personaggi e a quel senso di smarrimento che, in modi differenti, sembra caratterizzare ciascuna di loro.
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Il bianco è un colore gelido
Il bianco indicato nel titolo della pellicola, e proposto come dominante cromatica proprio a partire dai vestiti delle protagoniste (nonché dal celeberrimo abito della Monroe), sottolinea la condizione di innocenza - e di "innocenza violata" - di Wen e Xin: un'innocenza che, agli occhi delle loro famiglie, rischia di essere macchiata dal possibile scandalo per quanto è accaduto. E Wen, su cui si focalizza maggiormente l'attenzione della Qu, si ritrova a perdere qualunque capacità di autodeterminazione: sottomessa alla volontà di due genitori separati, distratti e spesso insensibili, e pressata dalle attenzioni superficiali di avvocati, medici e forze dell'ordine, mentre il trauma da lei sperimentato viene racchiuso nella banale concretezza della rottura dell'imene, senza alcuna considerazione per le ferite psicologiche della ragazza.
Una situazione per alcuni versi analoga è quella vissuta in parallelo da Mia, più matura di Wen ma comunque in balia di forze alle quali non è in grado di opporsi, e resa ancor più vulnerabile proprio da quella "assenza di identità" simboleggiata dalla mancanza di documenti. E attraverso le loro storie, Vivian Qu allude inesorabilmente a cosa significhi essere una donna nella Cina di oggi, a un rapporto di sudditanza familiare e sociale e a una frustrazione repressa ma strisciante. Una frustrazione che, nel suo film, non trova mai una vera possibilità di concretizzarsi e di esplodere: Angels Wear White è un dramma senza il mélo, tenuto perennemente sotto le righe (da qui il sospetto di una certa 'freddezza') eppure vicinissimo alle sue tormentate protagoniste e silenziosamente partecipe delle loro sofferenze.
Movieplayer.it
3.0/5