Il secondo film italiano presentato in concorso a Venezia, dopo la pessima accoglienza riservata a Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi, racconta la storia di un giovane palermitano che, all'apice di una carriera fulminante nelle file criminali della mafia siciliana, si ritroverà a dover compiere importanti scelte che determineranno il corso della sua vita. Una storia decisamente più affine ai gusti del pubblico italiano, disorientato dalla sofisticatezza del film di Franchi, che, in attesa della prima proiezione pubblica di questa sera, si è già guadagnata un moderato applauso da parte della critica. Per presentare alla stampa Il dolce e l'amaro sono arrivati in laguna i protagonisti del film, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni e Donatella Finocchiaro, insieme al regista Andrea Porporati.
Andrea Porporati, com'è nata l'idea del film?
Andrea Porporati: Volevamo raccontare un certo tipo di italiano, concentrandoci su certe scelte che la vita offre e sulle conseguenze che queste comportano. Il mio non è un film sulla mafia, ma un film su un personaggio. Ci interessava raccontare un uomo qualunque, anche se all'interno della mafia, di cui tutti quanti potevano seguire lo sguardo. E' difficile identificarsi col Vito Corleone de Il padrino che è un re al di sopra di tutti, mentre è più semplice accostarsi a un personaggio comune, che se fosse nato da un'altra parte avrebbe fatto sicuramente una vita diversa. Seguire un simile personaggio significava voler vedere dove ci portasse alla fine.
Come ha lavorato in fase di regia?
Andrea Porporati: Il nostro è stato un tentativo di ripercorrere le strutture drammaturgiche classiche dei film di gangster non con un approccio etico, ma minimalista, quindi dal basso. Il personaggio di Saro è un eterno adolescente. La macchina da presa cerca di vedere il mondo con lo sguardo di questo ragazzo non ancora cresciuto. La scena dei due bambini sequestrati è raccontata come una favola, ma da quel momento in poi lo sguardo del film cambia e diventa più realistico. L'inquadratura di Saro che si lava le mani con la terra dopo aver assistito all'assassinio dei due bambini rappresenta per la prima volta uno sguardo più adulto.
Come mai la scelta di far virare il film nella commedia in scene come quella, irresistibile, della rapina in banca?
Andrea Porporati: Il tono comico di alcune scene è ricercato e voluto con l'intento di non ridicolizzare eventi e personaggi. Ci sono certe situazioni tragicamente comiche per chi fa quel tipo di vita, ricco di contraddizioni. Spesso queste persone sono analfabeti, ignoranti che non riescono mai a farsi capire se non impugnando una pistola. Le scene dal tono più scanzonato sono solo un altro aspetto della vita di queste persone.
Quali sono stati i film che più l'hanno ispirata nella lavorazione de Il dolce e l'amaro?
Andrea Porporati: Sicuramente Il mafioso di Alberto Lattuada con Alberto Soldi, un'altra storia tragica con venature comiche. Avevamo inoltre la voglia di tornare a fare un certo tipo di cinema, di raccontare di nuovo al modo de La grande guerra, ma con una sensibilità contemporanea.
Perché i personaggi dei suoi film portano con sé sempre un senso di minaccia incombente?
Andrea Porporati: Spesso tra gli sceneggiatori si dice che i cattivi sono più interessanti perché mostrano le contraddizioni dell'uomo in modi più evidenti. In entrambi i miei film quello che mi interessava era cercare di capire il percorso che fa una persona normale verso il male. In Sole negli occhi raccontavo di una persona che arrivava ad uccidere il proprio padre per il deserto emotivo nel quale era stato abbandonato. Ne Il dolce e l'amaro è il percorso inverso di un giovane che arriva al male per ragioni culturali, per una cultura alternativa a quella socialmente condivisa. I film sono come sogni, spesso minacciosi, ma è importante riflettere sui mostri che si agitano dentro di noi.
Qual è la sua opinione sullo stato attuale del cinema italiano?
Andrea Porporati: L'Italia è l'unico paese al mondo dove può capitare, entrando in un bar, di vedere appesi alle pareti fotogrammi di vecchi film, per esempio quelli con Sordi o con Totò. Nel nostro paese il cinema è sempre stato molto importante, vissuto come un qualcosa che rappresenta gli italiani. Ad un certo punto, oltre le ragioni economiche, è successo che il paese è cambiato molto velocemente, radicalmente e questo cambiamento è stato così rapido che si è fatta grande fatica a trovare gli strumenti più adeguati per raccontarlo al meglio, perché non riuscivamo a capirlo. Adesso che il cambiamento si è determinato e siamo arrivati ad una situazione un po' più stabile ci è tornata la voglia di viaggiare per il paese per raccontare gli italiani senza disprezzarli, con l'atteggiamento dei grandi maestri del cinema italiano che avevano la felicità di raccontare anche le tragedie dell'Italia. Da spettatore, da qualche anno, ho visto film molto belli. Una delle ricchezze del nostro cinema è che ci sono diverse generazioni, da Amelio, Olmi e Bellocchio a Sorrentino, Garrone e Vicari, che si esprimono in modo molto interessante. Bisognerebbe ricordarci sempre che il nostro primo dovere è quello di ritrovare la dimensione della popolarità, senza svendere la propria arte, perché il rapporto con il pubblico dovrebbe essere sempre la priorità nel fare film.
Luigi Lo Cascio, lei aveva già affrontato il tema della mafia ne I cento passi, interpretando però un personaggio estremamente diverso rispetto al Saro di questo film. Come ha lavorato al personaggio?
Luigi Lo Cascio: Per Peppino Impastato de I cento passi mi riferivo ad una persona realmente esistita che aveva avuto una straordinaria esperienza e quindi il lato dell'invenzione era messo da parte perché ero al servizio di una storia vera. Questo personaggio è invece fittizio e mi ha permesso più liberta in corso d'opera perché non c'era il bisogno di fedeltà a un modello. L'attore quando interpreta un ruolo deve sospendere il giudizio per evitare un diaframma tra sé e il personaggio. Saro crede di non essere cattivo ed entra in crisi quando si rende conto di essere in una situazione di disincanto e in questo è molto diverso rispetto a Peppino Impastato che aveva studiato e quindi conosceva bene il mondo che aveva deciso di sfidare, mentre lui in qualche modo è assolutamente impreparato.
Si è mai divertito interpretando questo ruolo?
Luigi Lo Cascio: Il mio maestro di recitazione diceva sempre che recitare significa recuperare il si fa che s'era dei bambini, quindi il gioco di guardie e ladri. Si addestra il bambino al gioco della guerra per poi fargli capire che la vita reale è un'altra cosa. Per una persona trattenuta ogni tanto il fattore "capocciata", come quella che do a Gifuni durante il film, rappresenta l'aspetto giocoso del film che c'è ed è giusto vivere.
Fabrizio Gifuni e Luigi Lo Cascio sono legati da una grande amicizia nella vita reale. Quanto è stato utile questo rapporto nella lavorazione del film?
Fabrizio Gifuni: Io e Luigi avevamo già lavorato insieme ne La meglio gioventù, dove il vissuto pregresso era messo a disposizione di scene giocose. In questo film i personaggi non vivono un legame paragonabile a quello che univa Nicola e Carlo nel film di Marco Tullio Giordana. Mi fa sorridere il ricordo di un'intervista rilasciata da Luigi qualche anno fa nella quale affermava che mai avrebbe voluto picchiarmi sul set, mentre qui si trova a darmele di santa ragione. Lavorare con lui è molto stimolante. Nella scena del nostro ultimo incontro, guardarlo negli occhi ha significato per me allinearmi al suo stato d'animo ed è stato molto bello per me.
Donatella Finocchiaro, lei interpreta il ruolo di un personaggio che rappresenta la Sicilia onesta che si schiera contro la mafia.
Donatella Finocchiaro: Trovo che ci sia un grande aspetto simbolico nel mio personaggio che scrive un "no" a caratteri cubitali contro la mafia. Ada è legata a Saro da un grande amore, ma alla proposta di matrimonio di lui è costretta a rifiutare perché è una persona normale che vuole una vita normale, senza sposare un delinquente per fare una vita che non le appartiene. Quando i due si rincontrano, dopo un lungo percorso del ragazzo chiamato ad affrontare una grossa crisi esistenziale, il ritorno tra le braccia di Ada è un ritorno alla sua vera natura di uomo libero, di un uomo che alla fine ha scelto anch'egli di vivere una vita normale.