Recensione Il dolce e l'amaro (2007)

Il secondo film italiano in concorso alla Mostra del Cinema numero 64 è scorrevole e ben fatto, ma non aggiunge niente di nuovo ai numerosi già visti lungometraggi dedicati a Cosa Nostra.

'Io nulla saccio'

Una storia di mafia siciliana ambientata negli anni '80 con tanto di picciotti, padrini, malafemmine, assassini e picchiatori. Il dolce e l'amaro di Andrea Porporati, secondo film italiano in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia numero 64, è scorrevole e ben fatto, ma non aggiunge niente di nuovo ai già visti lungometraggi dedicati a Cosa Nostra.
Pur esibendo un Luigi Lo Cascio di eccezionale bravura, il film affronta le solite tematiche da gangster movie italico: onore, fiducia, violenza, gelosia, rancore. La classica storia del ragazzo impulsivo che sfrutta la sua cavernicola impetuosità per farsi strada nella malavita. Un padrino da rispettare fedelmente, un amico quasi fraterno che minaccia il tradimento, una donna appassionatamente amata che non accetta la delinquenza di lui e scappa. Non poteva mancare un carismatico giudice (interpretato da Fabrizio Gifuni) per creare il duopolio del buono contro il cattivo. Un rivale del protagonista fin dalla giovane età, in fondo più simile a lui che i suo colleghi mafiosi, paradossalmente un amico di fiducia, anche se suo palese alter ego.

Ci sono momenti divertenti e genuini colpi di scena per una sceneggiatura ben cadenzata e un personaggio centrale solido e ottimamente definito. La ruvidità della Sicilia è descritta dai gesti aggressivi; gli sguardi intimidatori ed intimoriti; la scelta di usare un dialetto stretto, rappresentazione linguistica di una chiusura mentale e culturale. Il tradizionalismo che va a braccetto con l'ignoranza, il potere si basa solo sul maggior grado di crudeltà e sangue freddo.
Lo Cascio è Saro Scordia, rabbioso ma capace e brillante picciotto, un fisico tirato, il petto muscoloso mostrato da una volgare e spavalda camicia sempre un po' aperta. È sfrontato e determinato, trattiene la paura a denti stretti, senza esporre mai cenni di debolezza.
All'inizio non pensa ad altro che a distinguersi dagli altri, a farsi valere e rispettare, poi le sue mire cambiano, ma i tentativi di crearsi una famiglia e una stabilità collidono con il suo stile di vita e i suoi "successi professionali": gli assassini e le minacce di morte sono difficili da far convivere con l'amore per una moglie ed un figlio.

Le sue ossessioni non gli danno pace, il suo cuore è sempre in subbuglio, anche perché la donna che ama da sempre non è quella che ha sposato ma la bellissima Ada (Donatella Finocchiaro), partita per il Nord Italia.
Cosa Nostra è un strada senza ritorno, un vicolo cieco per la propria dignità e sopravvivenza. Essere un uomo d'onore, guadagnarsi la fiducia e la protezione di "una famiglia perfetta, dove è tutto alla luce del sole e ci si aiuta fino alla morte"- come dice il protagonista del film- ha un prezzo da pagare che non permette alcuna chance di fuga.
Il desiderio di redenzione, la paura sempre dietro l'angolo, incubi di un passato che perseguita come lo stesso presente.
Il vero potere, alla fine, sta nella libertà di scegliere. Come esprimono le parole del giudice Massirenti dopo aver saputo da Saro che sulla sua testa pende una spada di Damocle: "La vita che ho fatto l'ho scelta. Essere ammazzato è un inconveniente".