L'elettrizzante prologo di Anatomia di una caduta, oltre ad avviare il motore alla base della trama, ci suggerisce già nella prima manciata di minuti la natura del film scritto e diretto da Justine Triet: un'opera sull'ostruzione dello sguardo, e dunque sull'impossibilità di vedere. Un giallo in cui, fin dal principio, la percezione della realtà non può contare sull'osservazione diretta, e pertanto deve tentare di affidarsi ad altri sensi e ad altre suggestioni. Nella scena iniziale, la studentessa Zoé (Camille Rutherford) viene accolta dalla scrittrice tedesca Sandra (Sandra Hüller) in uno chalet alpino in un paesaggio innevato nei pressi di Grenoble, al fine di effettuare un'intervista per la sua tesi universitaria. Ma le due donne non sono da sole nello chalet: nell'attico dell'edificio c'è anche il marito di Sandra, Samuel (Samuel Theis), che da lì a breve giacerà senza vita sulla soglia dello chalet.
L'impossibilità dello sguardo
L'uomo non compare davanti ai nostri occhi, eppure la sua presenza irrompe di colpo dallo schermo mediante una canzone: una versione strumentale del brano P.I.M.P. del rapper 50 Cent, che sovrasta le voci di Zoé e Sandra al punto da compromettere la loro intervista. Samuel non si manifesta di persona, ma quella musica trasmessa a volume assordante è un segno tangibile - e forse prevaricatore? - dell'altra metà della coppia. Segue un'ellissi narrativa, tòpos immancabile del giallo, e nel frattempo la prospettiva si trasferisce da Sandra al suo figlio undicenne Daniel (Milo Machado-Graner), a passeggio insieme al loro cane Snoop. Sulla via del ritorno, il border collie raggiunge di corsa il corpo di Samuel, ma stavolta è lo sguardo di Daniel a restare escluso: il ragazzo ha perso la vista, ed è solo attraverso il tatto che può rendersi conto della morte del padre, mentre la musica di P.I.M.P. si confonde con le sue grida.
La cecità di Daniel è un'evidente concessione metaforica all'interno della pellicola di Justine Triet, ricompensata con la Palma d'Oro come miglior film al Festival di Cannes 2023. Di contro, però, il ragazzo è quanto di più prossimo al ruolo di personaggio-focalizzatore sia proposto al pubblico: è lui l'unico occupante dello chalet insieme alla vittima e alla presunta omicida. È infatti su Sandra che le autorità francesi, nell'impossibilità di stabilire una versione convincente dei fatti, rivolgono i propri sospetti, accusandola di aver spinto il marito dal parapetto del balcone. Ma come può Daniel, il cui affetto filiale è scosso da un dolore tanto terribile, sperare di vedere davvero chi sono i suoi genitori? L'handicap riflette la paradossale cecità di un'eccessiva vicinanza: la testimonianza di Daniel è minata da incongruenze e ricordi confusi sui frammenti di una conversazione captata poco prima di uscire, e potrebbe essere influenzata dal suo istinto di protezione nei confronti della madre.
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Il dramma giudiziario di Justine Triet
Daniel, interpretato con struggente espressività dal giovanissimo Milo Machado-Graner, ci offre così il suo punto di osservazione - inevitabilmente 'difettoso' - sul processo contro Sandra; ma noi spettatori condividiamo anche e soprattutto la sua ansia di sapere, di aggrapparsi alla verità (o quantomeno a una verità) anziché essere abbandonato nel baratro dell'immaginazione, in un corto circuito gnoseologico in cui i sentimenti privati costituiscono una componente da cui non si può prescindere, una potenziale "variabile impazzita". E quella verità risiede forse nel mistero incarnato dalla figura-chiave del film, sua madre Sandra; e non solo perché la donna potrebbe essere l'assassina di Samuel, ma per il pregresso della relazione fra i due coniugi, oggetto - ben più della caduta del titolo - dell'impietosa anatomia che si consumerà nell'aula di tribunale, nel corso di un processo inscenato dalla Triet con rigore implacabile.
Laddove le ricostruzioni oggettive non sono sufficienti a far luce sulla morte di Samuel, ecco dunque che l'occhio inquisitorio di giudici, giuria e avvocati (l'implacabile magistrato impersonato da Antoine Reinartz) si punta sulla storia della coppia: quel complesso groviglio di amore, frustrazione e sofferenza che diventerà l'autentico terreno d'indagine di Anatomia di una caduta. In questo giallo sui generis che in apparenza aderisce ai codici del dramma processuale (fin dal titolo, omaggio al capolavoro di Otto Preminger Anatomia di un omicidio), il picco emotivo arriva non a caso quando a scontrarsi in maniera diretta sono marito e moglie, la futura vittima e l'imputata di omicidio; e la registrazione audio del loro litigio, una furiosa escalation di recriminazioni e di reciproca insofferenza, si traduce in una rara concessione alla 'vista', nel momento in cui le voci rievocano l'unico flashback in cui Sandra e Samuel si materializzano l'uno di fronte all'altra.
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Una scrittrice in terra straniera
Al banco degli imputati, il compito di Sandra non si limita a dover respingere le accuse di colpevolezza: per conquistare la giuria (così come gli spettatori), la donna deve riuscire a farla penetrare nella realtà del suo rapporto con Samuel, o perlomeno quella che Sandra considera la propria realtà, per quanto essa possa sembrare sbilenca, imperfetta, perfino contraddittoria. Un'impresa doppiamente ardua, se si tiene conto della provenienza del personaggio: una 'straniera', tedesca in terra francese, che ha bisogno di un canale linguistico intermedio - l'inglese - per superare la barriera comunicativa e poter esprimere le proprie ragioni, in tribunale ma prima ancora in famiglia. E tuttavia, un altro aspetto di Sandra si ricollega in maniera ancor più emblematica all'essenza del film: ad accentuare il malessere di Samuel è il successo letterario della moglie, che dalla propria vita ha tratto ispirazione per i suoi libri, in un amalgama tra invenzione e autobiografia.
Nel processo, in fondo, Sandra si trova a compiere un'operazione analoga a quella già intrapresa come scrittrice: ricondurre il caos dell'esistenza entro i binari di una narrazione coerente secondo criteri razionali, nonché in grado di suscitare la partecipazione e la fiducia di chi ascolta. Un'operazione che, sul versante filmico, spetta alla scrittura lucidissima di Justine Triet quanto al talento sopraffino di Sandra Hüller, magnifica nel restituire ambiguità e inquietudini della sua protagonista, ma pure quel rassicurante carisma capace di stemperarne le asprezze. Innervato di tensione, ma senza dover ricorrere a forzature e cliché dei gialli processuali, Anatomia di una caduta fa leva sui meccanismi del murder mystery per dissezionare relazioni ormai logore e affetti messi a dura prova; invitandoci con discrezione, passo dopo passo, ad anteporre le ragioni dell'empatia alla morbosità dello sguardo.