Recensione Primo amore (2004)

L'ultima fatica del talentuoso regista de "L'imbalsamatore" non è un film sull'anoressia, ma la torbida cronaca di un amore malato.

Anatomia di un desiderio malato

Il giovane talento visionario Matteo Garrone ci catapulta nuovamente, dopo il nerissimo L'imbalsamatore, nell'universo livido e maledetto delle ossessioni amorose. L'ultima fatica del regista romano non è certamente un film sull'anoressia, ma la torbida cronaca di un amore malato.

Vicenza è il teatro dell'incontro tra due sconosciuti bisognosi di affetto e bellezza che da un appuntamento al buio si ritrovano con i corpi intrecciati in un pericoloso gioco d'amore e desiderio. L'orafo Vittorio lega a sè la fragile Sonia plasmandola, come i suoi oggetti filiformi, secondo un ideale anoressico di bellezza. Si crea così una dipendenza fisica e psicologica che porterà Sonia a perdere gli equilibri di una vita normale e quindici chili.

L'occhio attento e avido di Garrone rivela più volte la provenienza pittorica delle sue immagini rivestite di una patina drammatica sotto la quale gratta per cercarne l'essenza. La ricerca della bellezza che nel film precedente si manifestava attraverso "l'arte" dell'imbalsamazione di animali, è qui ossessivamente presente nella creazione di oggetti in oro e nei ritratti degli studenti d'Accademia. Sia Vittorio che Sonia hanno a che fare con l'arte. L'inquietante e psicotico Vittorio, interpretato dal bravissimo Vitaliano Trevisan, scrittore e coautore della sceneggiatura, ricerca la perfezione nella magrezza estrema di corpi femminili che scolpisce nell'oro. Come un pigmalione Vittorio modella la sua fidanzata-vittima attraverso il peso. Le impone il digiuno nutrendola in cambio con il suo amore perverso. Ma l'orafo è prigioniero e vittima della sua stessa ossessione; vive in una casa che sembra una prigione, interamente protetta da sbarre ed inferiate che lo separano dalla realtà per segregarlo in un mondo surreale e distorto.
Il corpo di Sonia, offerto in pasto al desiderio malato di Vittorio, è gentilmente offerto e sacrificato dalla straordinaria attrice di teatro Michela Cescon che (s)veste i panni di una vulnerabile e dipendente amante-sottomessa. Sonia vuole a tutti i costi piacere all'uomo che è convinta di amare; lei, che col suo corpo armonioso posava come modella per i ritrattisti dell'Accademia, si trova ora a farsi passivamente ridisegnare da un folle artista-amante che ne modifica le forme ed i profoli.

Il regista scava tra le pieghe del desiderio malato, distruttivo, che ricerca l'essenza, l'assoluto. E lo stesso fa il protagonista, che aspira alla purezza eliminando e bruciando la sostanza di cui non rimane che cenere, ma che, come la polvere dell'oro, conserva intatto il proprio valore.
Primo amore è un film doloroso e profondo che colpisce per la disarmante naturalezza dei protagonisti che, proprio come fu per L'imbalsamatore, si calano perfettamente in situazioni estreme senza chiudere mai il cerchio, lasciando aperti inquietanti orizzonti.