Scrivendo la recensione di Alex Rider è difficile non tornare con la mente all'estate del 2006, nella fattispecie all'offerta cinematografica di quel periodo: in sala c'erano il conflitto finale degli X-Men (che finale non fu), il ritorno di Superman, la seconda avventura di Jack Sparrow, la terza di Ethan Hunt, i motori ruggenti della Pixar e quelli nipponici della trasferta a Tokyo di Fast & Furious, i poliziotti di Miami Vice in versione moderna e Tom Hanks alle prese con un misterioso codice. E poi c'era lui, Alex Rider, l'agente segreto teenager creato da Anthony Horowitz, protagonista di un adattamento per il grande schermo del primo di tredici romanzi usciti tra i il 2000 e il 2020. Era una trasposizione di tutto rispetto a livello di ambizione, con un giovane attore semisconosciuto - Alex Pettyfer - circondato da grandi nomi del calibro di Ewan McGregor, Mickey Rourke, Bill Nighy e Stephen Fry. Eppure il franchise morì sul nascere, perché nonostante la popolarità dei libri e il box office discreto nel natio Regno Unito il distributore americano - un certo Harvey Weinstein - decise di abbandonare il film al suo destino, facendolo uscire in poco più di duecento sale sul territorio statunitense.
Nuova vita
E così, a quattordici anni di distanza, Alex Rider torna in formato seriale, grazie ad Amazon Prime Video (che però ha optato per una distribuzione a scaglioni, dato che in Italia la serie arriva qualche mese dopo il debutto in altri paesi europei) e allo showrunner Guy Burt, con la complicità di Anthony Horowitz come produttore esecutivo. Insieme hanno scelto di distanziarsi dal precedente tentativo di portare sullo schermo il personaggio, integrando l'essenziale (Alex che viene reclutato come spia dopo la morte dello zio, anch'egli coinvolto in quel mondo) in quello che in realtà è un adattamento del secondo romanzo, un mistero che intriga fin dai primi minuti, con un magnate brutalmente ucciso mentre esce dall'ufficio (anche se, per non alienare il target dei libri, le parti più cruente sono solo suggerite). Una trasposizione in otto episodi (con seconda stagione già confermata), ancora una volta con un giovane semisconosciuto, tale Otto Farrant, nel ruolo principale, ma senza un cast di contorno a base di star: a questo giro, il comprimario più noto, nel ruolo di Alan Blunt, nuovo datore di lavoro di Alex, è Stephen Dillane, alias Stannis Baratheon ne Il trono di spade.
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Spia e lascia spiare
A livello di intreccio non c'è nulla di particolarmente originale (lo stesso Horowitz ha ammesso che è una versione teen di James Bond, e non a caso l'autore ha poi avuto modo di scrivere due romanzi incentrati sul personaggio creato da Ian Fleming), ma la formula spionistica rimescolata in salsa young adult è efficace, soprattutto nelle mani dei due registi della prima stagione, l'austriaco Andreas Prochaska e l'inglese Christopher Smith. Entrambi vengono dall'horror (e Prochaska prima di darsi alla regia - ha anche diretto l'intera prima annata di Das Boot - era il montatore di Michael Haneke), elemento utile per generare suspense nei punti giusti e anche per capire come dosare la violenza e metterla in scena senza per forza ricorrere al sangue che riempie l'inquadratura (ritornando alla sequenza d'apertura, è encomiabile il lavoro di Prochaska che riesce ad evocare atmosfere da horror claustrofobico pur attenendosi ai parametri di una serie che non vuole muoversi troppo in direzioni particolarmente dark, anche perché a quello, per certi versi, ci pensa un'altra serie Amazon, Hanna).
La scarsa originalità narrativa è appunto compensata da un apparato formale sopraffino, che non ha nulla da invidiare alla controparte cinematografica, e il tutto si avvale anche di un ottimo interprete centrale, capace di passare senza problemi dal carisma bondiano alle tipiche preoccupazioni da adolescente, complice la suddivisione in episodi che, al netto di una certa superficialità di scrittura, dà al protagonista il giusto spessore psicologico. E da quel punto di vista Alex Rider è arrivato nel momento giusto, per colmare un buco a livello di spionaggio sullo schermo, dato che al momento James Bond da un lato e gli agenti dell'organizzazione Kingsman dall'altro stanno aspettando un periodo più propizio per invadere le sale. E mentre con loro solitamente l'esperienza dura un paio d'ore, la creatura di Horowitz ne propone otto, senza che l'intrigo deragli in termini di ritmo o spettacolo. Ci sono voluti quasi quindici anni, ma finalmente possiamo dirlo: Alex Rider è pronto a diventare un'icona dello schermo. Piccolo, forse, ma con grandi ambizioni.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Alex Rider, serie Amazon che risolleva le sorti sullo schermo del franchise spionistico ideato da Anthony Horowitz dopo il flop cinematografico del 2006. Nulla di originale, ma il divertimento è assicurato.
Perché ci piace
- La regia è efficace, con discreti momenti di suspense e azione.
- Otto Farrant funziona nei panni di Alex Rider.
- La formula teen applicata al genere spionistico dà risultati intriganti e divertenti.
Cosa non va
- La trama non è particolarmente originale.
- A parte Alex, i personaggi sono scritti in modo un po' altalenante.