Versatile. Duttile. Camaleontico. Potremmo descrivere così Alessio Praticò, che non solo ha affrontato ruoli diversi e spesso antitetici ma ha anche partecipato a prodotti di genere diverso, dalla commedia al dramma, e tanto a co-produzioni internazionali come Trust - Il Rapimento Getty e The Young Pope quanto a fiction per la tv generalista e serie per i servizi streaming, in primis Netflix. Chi meglio di lui allora per provare a fare un punto su tutti i trend degli ultimi anni, su dove ci sta portando l'audiovisivo nel post-pandemia e su dove, magari, dovrebbe andare? Non ci siamo risparmiati in quest'intervista a Alessio Praticò, ospite al Festival del Cinema di Spello. Chissà che chi di dovere, non ci ascolti una volta per tutte.
Guardando all'internazionale
Hai lavorato moltissimo negli ultimi anni tra cinema e tv, anche a livello internazionale, in serie come Trust e The Young Pope. Che differenze hai riscontrato tra le produzioni internazionali e quelle italiane?
Sostanziali differenze non ne ho trovate, anche perché quando una produzione internazionale vuole girare in Italia molto spesso si affida a produzioni esecutive locali. Forse un po' più di organizzazione, se vogliamo. Il set è una sorta di guerra di trincea, gli imprevisti sono all'ordine del giorno, tutto sta nel trovare la soluzione nel minor tempo possibile.
Tra piattaforme e cinema hai notato invece qualche differenza produttiva?
Anche in quel caso forse più che altro ho notato che la piattaforma ha una maggiore cura, per modo di dire, o meglio una direzione data alle persone che occupano poi il set. Ovviamente questo in realtà dipende più dalle persone che dalle piattaforme, però ad esempio per Netflix con cui ho lavorato più spesso, mi è capitato di dover seguire un webinar legato a delle modalità comportamentali che bisogna tenere sul set riguardo il rispetto verso l'altro e il non offendere qualcuno per la religione, il genere o altro.
The Young Pope un'eccezione? Che futuro per la serialità italiana?
Sala vs streaming: il dibattito continua
A proposito di sala e streaming, il dibattito non si è mai veramente fermato ma è sicuramente tornato in auge ora che il periodo più difficile della pandemia forse ce lo siamo lasciato alle spalle. Secondo te qual è la strada da percorrere? Possono convivere? La sala morirà come i più apocalittici dicono?
"La sala morirà" sembra il titolo di un film (ride). Personalmente ho sempre pensato che la piattaforma non dev'essere un'esperienza alternativa a quella della sala cinematografica. L'avvento dei servizi streaming che coincide necessariamente con il progredire della tecnologia ci ha dato una possibilità in più per aumentare la fruizione dell'audiovisivo. A me non piace la divisione tra film per il grande schermo e film per la piattaforma, però penso anche che l'esperienza della sala è giusto che rimanga tale. È completamente diversa dal vedere un film a casa, anche se hai il televisore a più di 80 pollici e il super impianto dolby surround. Il rito è un aspetto importante, come andare a vedere uno spettacolo a teatro. Il rito di uscire da casa oppure andare direttamente dopo il lavoro, comprare il biglietto, o i popcorn, è una condivisione secondo me importante, che è bene non sparisca. Anche sui lati apparentemente negativi, perché sono parte di quell'esperienza, come il dover sentir ripetere le battute del film dalla fila dietro o da quella davanti, con commenti e scherzi continui, anche se vuol dire comunque che stanno partecipando con quanto vedono sullo schermo ed è un buon segno (ride). Anche se dietro di te stanno mangiando rumorosamente i popcorn. Bisognerebbe però ricordargli che non sono nel salotto di casa propria in compagnia (ride). È un'emozione condivisa, oltre all'aspetto tecnico, lo schermo più grande, l'audio super inclusivo.
Quindi nel 2023 che cosa può riportare la gente in sala?
Secondo me forse venire più incontro all'esercente, che magari così ha la possibilità di creare delle promozioni o diminuire il costo del biglietto. Inoltre mi auguro che ci possa essere un pluralismo delle narrazioni, perché spesso qualcuno è convinto che il pubblico voglia vedere un genere in particolare o un certo tipo di storie, invece gli spettatori andrebbero portati a poter fruire di un più ampio spettro di storie. Si tratta anche un'educazione del pubblico, che non si fermerebbe così a quei tre-quattro esempi che facciamo di solito. D'accordo i dati Auditel e gli algoritmi, ma c'è molto altro. Siamo esseri umani, nonostante tutto (ride).
Il caso de La Stranezza, il cinema sui media, gli incassi sopiti: ma qual è lo stato dell'arte?
Verso il cinema di genere
Tu hai recitato anche ne Il mio mome è vendetta e ne Lo spietato. Il cinema di genere sta avendo una rinascita in Italia. Anche in questo caso, secondo te, qual è la strada da percorrere in questo caso?
Continuare a scommetterci sicuramente. Noi abbiamo tutta una tradizione di film di genere, ad esempio l'horror di Mario Bava e Dario Argento. Sono film che hanno creato uno standard che è stato ripreso in pellicole successive anche internazionali. Si rifà al discorso del pluralismo nella narrazione che dicevo prima, ci sono tantissimi amanti del cinema di genere ed è anche bello poter coinvolgere altri che si incuriosiscono andando al cinema a vedere qualcosa di diverso grazie al passaparola. È molto stimolante che ci sia una rinascita del genere ma ci dovrebbero scommettere ancora di più.
A proposito di "fenomeni" nell'audiovisivo di questo periodo storico, tu hai partecipato a Boris 4 che è un revival e Odio il Natale che è un remake. Cosa ne pensi di questo, rischiamo di non riuscire ad uscire dal loop temporale della nostalgia oppure c'è margine per la novità
Forse perché si ha banalmente nostalgia dei momenti o dei prodotti a cui siamo affezionati. I remake in realtà sono sempre stati fatti. Bisogna saper andare oltre, perché se è un semplice remake te ne accorgi subito da spettatore. Facciamo anche qualcosa di originale, di nuovo in cui ci sarà necessariamente qualcosa di vecchio, di già visto, perché semplicemente è venuto prima. Boris 4 più che un revival io direi che è stato proprio una richiesta non solo da parte dei fan della prima ora ma anche da chi l'ha scoperto in questi ultimi anni proprio grazie alle piattaforme, di cui alla fine si è trovato a parlare perché facendo satira in 15 anni l'audiovisivo è cambiato radicalmente e c'era necessità di parlarne. C'erano ovviamente delle aspettative molto elevate da parte dei fan più integralisti e puri che alla fine hanno apprezzato anche questa quarta stagione. Da fan della serie entrare all'interno del meccanismo Boris è stato un sogno realizzato in un certo senso.
Odio il Natale è stata un'esperienza di remake di una serie norvegese portandola però nella nostra dimensione culturale, più legata alle nostre latitudini. Però ancora una volta, ci vorrebbe un po' più di coraggio, da parte di tutte le figure coinvolte. Abbiamo i talenti nel nostro Paese, però bisogna investire in loro, farlo per davvero. Altrimenti è inutile lamentarsi e fare polemica e retorica fine a se stessa.
Il nostro generale, Sergio Castellitto: "Il dolore è ancora vivo, i fatti sono ancora vivi"
Tra revival, remake e biopic
Possiamo dire che ringraziamo Boris anche per aver fatto lavorare i calabresi. In fondo anche Trust.
Chiaramente Boris prende spunto dall'osservazione, anche se la Calabria era già protagonista nel film, qui è stata proprio esplicitata (ride).
L'ultimo tuo lavoro è stato in tv Il nostro generale, che conferma un altro trend recente ovvero quello delle biografie non canoniche e cronologiche, che forse ci avevano un po' stancato...
È stato davvero un bel gruppo di lavoro perché aveva la voglia di raccontare la figura del generale Dalla Chiesa sotto vari aspetti spesso inediti. Si raccontano sempre i suoi ultimi mesi di vita prima che venisse ucciso ma non il prima, il metodo che tuttora viene utilizzato nella cattura dei latitanti, che nasce proprio dall'intuizione di quest'uomo che ha servito lo Stato e dedicato la propria vita al servizio del bene comune. Abbiamo avuto la responsabilità di raccontare questa linea temporale e anche i suoi difetti, non solo i pregi - non dimentichiamoci che siamo tutti esseri umani e quindi sfaccettati - e la possibilità di assorbire la dedizione di Sergio Castellitto come interprete.
Le piattaforme hanno aumentato a dismisura non solo l'offerta ma anche la produzione ovviamente. Pensi che questo abbia creato molte più possibilità lavorative o alla fine rischi di far lavorare sempre le stesse persone?
Secondo me c'è il rischio che, seguendo quella linea di mercato e l'algoritmo, si vada proprio in quella direzione. Inizialmente non era così, erano tutti contenti di poter avere la giusta opportunità, anche nell'ottica di essere visti automaticamente anche all'estero. Come dicevo, bisogna aumentare non tanto il numero delle produzioni, ma raccontare più storie diverse e diversificate. Altrimenti ci limitiamo a raccontare ciò che un computer o un'intelligenza artificiale attraverso dei dati ha stabilito, in un'ottica se vogliamo "fredda", in cui ci dev'essere la quota teen o il crime. C'è anche altro, parlavamo dei generi prima, il thriller, il western che è tornato in auge, perché no? In Italia non riusciamo a scommetterci troppo però poi quando la vediamo arrivare da altri lidi diciamo "che bravi, straordinario". O fare come Tarantino, ibridare i generi, ovviamente è una strada complicata ma quanto può essere fresco e stimolante vedere un film e prima ridere, poi spaventarsi, poi commuoversi? In fondo la vita è proprio questo: un immenso carrozzone tragicomico dove ci sono tutti i sentimenti. E siccome noi dovremmo raccontare la vita di alcuni esseri umani ad altri esseri umani, dovrebbe essere proprio questo il nostro strumento per farlo.
Uno sguardo al futuro
Tra l'altro la nostra commedia all'italiana ci insegnava che il riso è fatto anche di lacrime.
Infatti perché Boris funziona? È il prodotto più vicino forse a quella tradizione, in cui vengono esaltati e quindi presi in giro i difetti dell'italiano medio. Raccontare il dietro le quinte di una "fictionaccia" è una metafora per raccontare il nostro Paese e la nostra società e quei tipi di personaggi sono persone che davvero si può aver conosciuto nella propria vita. Come dovrebbero fare il cinema e il teatro, tu ti vedi allo specchio e ti giudichi. Può diventare anche un modo per migliorarsi, perché no? Il servizio pubblico che si fa attraverso l'audiovisivo per me è un aspetto fondamentale, e noi l'abbiamo anche fatto con, un esempio su tutti, il lavoro di Elio Petri.
Bisogna anche saper prendersi in giro e noi italiani forse non sappiamo farlo abbastanza.
I miei colleghi spesso si prendono troppo sul serio. Io mai, ma proprio nella vita, o almeno ci provo (ride).
Quindi bisognerebbe anche un po' educarlo questo pubblico.
Sì ma ti ricordi cosa si dice in Boris (che continuo a citare non volendo)? Seconda stagione, Medical Dimension, come la chiama Sergio: "Una nuova fiction non è possibile, perché costa troppo, e comunque non conviene perché il pubblico è abituato a quei prodotti", e noi quindi non facciamo quello sforzo produttivo in più. Ultimamente ci sono varie eccezioni che fanno lo sforzo di alzare l'asticella ma dovrebbero diventare sempre più la regola. Il vero problema è che queste cose continuiamo a dircele e a dirle, ma sembra che non cambi mai nulla. Facciamoci coraggio per davvero!
Prossimamente dove ti vedremo? Cinema? Tv? Streaming?
Dovrebbe uscire quest'anno un film per la sala che ho girato l'anno scorso, tratto dal romanzo La festa del ritorno di Carmine Abate, opera prima di Lorenzo Adorisio, e poi sempre entro l'anno dovrebbero uscire anche due serie, Un'estate fa per Sky e Briganti per Netflix, su quel periodo ottocentesco della storia d'Italia.