Anna Lou, 16 anni, capelli rossi, famiglia cattolica e una passione per i gatti, scompare nel nulla nella città di Avechot, in mezzo alle Alpi. Per risolvere il caso viene chiamato l'investigatore Vogel (Toni Servillo), detective esperto ma incline a montare uno spettacolo mediatico intorno alle indagini. Aiutato dall'agente Borghi (Lorenzo Richelmy), Vogel fa ricadere i sospetti sul professore di liceo Loris Martini (Alessio Boni), che non ha un alibi per la sera della sparizione della ragazza.
Ambigui, inquietanti, vanesi: i protagonisti di La ragazza nella nebbia, film d'esordio di Donato Carrisi tratto dal suo omonimo romanzo diventato un best seller internazionale, incarnano la banalità del male, che non è mai come te lo immagineresti. Nelle sale italiane dal 26 ottobre, il film di Carrisi è un thriller atipico, quasi teatrale, in cui più che la verità al centro di tutto è lo spettacolo.
Abbiamo incontrato a Roma i protagonisti Alessio Boni e Lorenzo Richelmy, a cui abbiamo chiesto come ci si può orientare se chi dovrebbe difendere e tutelare la verità è più interessato invece a cercare le luci della ribalta.
Leggi anche: La ragazza nella nebbia: alle origini del male
"Who watches the Watchmen?"
Un investigatore, un poliziotto, una giornalista, un avvocato, un professore, uno psichiatra: nella scomparsa di Anna Lou sono coinvolte persone che fanno tutte un lavoro che dovrebbe portarli a cercare la verità ma, paradossalmente, è proprio l'elemento che interessa meno a ognuno di loro. Chi controlla i tutori della verità quindi? "È proprio la domanda che pone Donato nel film" ci ha detto Richelmy, spiegando meglio: "purtroppo è una domanda che ci facciamo poco, la storia, che ha luogo in un posto immaginario e quindi potrebbe svolgersi ovunque, ci fa capire quanto siamo inermi. Noi attori lavoriamo con la finzione, è il nostro mestiere, quindi forse siamo più attrezzati per scoprire il trucco, ma chi invece è a casa come fa a capire qual è la giusta fonte di informazione? Ci stiamo trasformando in una società in cui la verità non è più in cima alla lista delle nostre priorità e il film mette in evidenza proprio questo".
Leggi anche: Roma Fiction Fest 2016: Cristiana Capotondi, Alessio Boni e le altre star sul red carpet
Per Boni: "Questo thriller ci attrae perché scardina totalmente l'ipocrisia: non è importante la verità assoluta del caso, ma chi, con il potere, riesce a raggiungere il punto massimo per arrivare ai mass media, alla giurisprudenza, alla televisione. Basta guardare i nostri giornali: continuiamo a essere ipocriti perché ci fa comodo, soprattutto agli italiani. Nessuno dice la verità. Qualche anno è uscito un giornale di Emrgency, ha fatto due numeri e il terzo gliel'hanno bloccato, perché diceva la verità. Non la vogliamo sentire, è scomoda, ci fa male, ci toglie le comodità, ci toglie il nostro tram tram... andiamo avanti accussì! Donato sta facendo proprio questo, nei libri e ora nel film: mette in luce la nostra ipocrisia. Tutti noi, ogni giorno, mandiamo giù qualcosa che non ci piace per paura e invece lui no, scardina tutto e ti dà una realtà cruda, attraverso tre finali spaventosi, lasciandoti di ghiaccio. Questo mi piace perché è come una lama rovente dentro un panetto di burro e il panetto di burro siamo noi".