Alessandro Gassmann si racconta al Bifest: in memoria del grande Vittorio, con tanta voglia di indipendenza

Accolto con affetto dal pubblico di Bari, il celebre figlio d'arte ha tenuto una masterclass dove, tra aneddoti, confessioni e dolce nostalgia, ha raccontato gli inizi della sua carriera e rivelato i suoi obiettivi futuri.

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Cinema a cielo aperto. Sequenze storiche al profumo di salsedine. L'omaggio di un grande attore baciato dal sole. È questa la piacevole sensazione che si avverte passeggiando nei pressi del Teatro Petruzzelli di Bari a cui lati, in occasione del Bifest 2017, spiccano due gallerie fotografiche che conducono verso il litorale e portano con sé un mare di ricordi. Al centro della mostra ci sono tanti scatti di Vittorio Gassman, protagonista assoluto di questa edizione del festival di Bari grazie ad una ricca retrospettiva a lui dedicata. Nella passerella piena di foto, ecco il famoso gestaccio de Il sorpasso, i dietro le quinte al fianco di Nino Manfredi, Alberto Sordi assieme alle sue tante memorie teatrali. Mentre fuori dal teatro si celebra uno dei più grandi attori italiani, al suo interno il pubblico accogliere suo figlio.

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Lo fa con affetto sincero, un affetto carico di significati, che omaggia l'uomo, il padre e figlio. Tutti assieme. Ed è per questo che Alessandro Gassmann, una volta salito sul palco di un Teatro Petruzzelli gremito, si sorprende, sorride e si emoziona davanti al calore della platea. Forse i più anziani sono lì ad applaudire il suo cognome, ma tanti altri sono lì per Alessandro e lui soltanto. Intervistato da Enrico Magrelli, l'attore romano ha tenuto una sincera e divertita masterclass dove ha raccontato con dolce nostalgia tanti aneddoti del suo passato, il rapporto conflittuale col padre, assieme ai tanti progetti futuri. Un po' in memoria di Vittorio, un po' in nome di Alessandro.

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Lo schiaffo di papà

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Impossibile non partire da quel cognome pieno di onori e di oneri. Impossibile non ritornare su strade che Alessandro Gassmann avrà ripercorso chissà quante volte: il ricordo di suo padre. Si parte dal suo battesimo cinematografico, forzato e a suo modo traumatico, che porta un titolo profetico, un passaggio di consegne ufficiale: Di padre in figlio. Del suo primo film, dove tutti recitavano se stessi, Gassmann ha questo ricordo: "Girai quel film molto controvoglia, un film che voleva riprendere i mutamenti di un rapporta tra padre e figlio. Tra l'altro mio padre mi fece firmare la regia, ma in realtà non feci niente. Il ricordo che più mi è rimasto impresso di quell'esperienza è uno schiaffo avuto da papà mentre stavamo girando una scena. Nel film c'è la sequenza di una lezione di inglese durante la quale lui mi tirò davvero un ceffone. Fu la prima scena dove sembrai un grande attore, perché le lacrime erano vere. Lo ricordo come un esperimento psicologico con cui mio padre mi diede il benvenuto nel mondo del cinema". Gli aneddoti entrano ed escono dal cinema per intrecciarsi con la vita dei Gassmann: "Il mio è stato un padre fermo e severo, con le sue convinzioni, ma anche affettuoso e con una dolcezza infinita. La verità è che io sino ai 18 anni ero un tipo poco raccomandabile. Ero aggressivo e un po' scansafatiche. Per questo, quando iniziai il militare, lui mi accompagnò in stazione e mi fece fare un Roma-Taranto su una tradotta.

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Undici ore di viaggio sui sedili di legno avendo addosso un uniforme in flanella. A luglio. Però devo dire che quell'esperienza mi è servita. In generale credo mio padre mi abbia seguito e indirizzato verso il cinema perché temeva che non volessi far nulla. Quello era l'unico modo per tenermi sotto controllo". Al di là del cinema, il rapporto professionale tra Vittorio e Alessandro si affina soprattutto sul palcoscenico: "In realtà io non volevo fare l'attore, ma l'ingegnere agrario. Quindi immaginate come mi sono sentito quando ho esordito a teatro completamente nudo in scena e con i capelli ossigenati. Vivere il palco al fianco di mio padre mi ha fatto rendere conto del suo carisma incredibile. Aveva una presenza scenica invidiabile e una capacità attrattiva nei confronti del pubblico che non ho mai più visto. Una volta, a teatro, mise in scena Moby Dick. Lui era il Capitano Achab, mentre io ero un marinaio della sua ciurma. Eravamo su un ponte ricostruito sul palco.Ad un certo punto, mentre lui recitava, caddi rovinosamente dal ponte alto quasi tre metri. Il tonfo fu fortissimo, mi rialzai pieno di vergogna, e poi notai una cosa. Non mi vide nessuno. Nessuno si accorse di me. Guardavano tutti lui e lui soltanto".

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Il cognome, la bellezza, l'autonomia

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Questo moto di dolce malinconia si chiude con la grande lezione di vita che Vittorio ha lasciato in eredità ad Alessandro: "Mio padre era un uomo del 1922, di origini ebraiche, che ebbe una giovinezza poco felice. Lui sapeva cosa significa partire da zero e conquistarsi quello che si desidera. Ecco, lui mi ha insegnato questo: ad affrontare i problemi di petto, a superare gli ostacoli senza mai cercare scorciatoie, superare gli ostacoli". Si passa poi alle tappe fondamentali della carriera di Alessandro, al suo rapporto con quel cognome pesante e con una bellezza insolita per chi lavora spesso nella commedia: "Avere un cognome come il mio mi ha aiutato tantissimo, ma la cosa ha giocato anche a mio discapito, perché ho lavorato quando non ero ancora pronto, e magari mi chiamavano solo perché mi chiamavo Gassman. Un esempio lampante è La monaca di Monza , un film che definirei infelice, nonostante stimi tantissimo Luciano Odorisio. Mi sono sempre imposto di non fare dei film orrendi, ma devo dire che ho girato un po' di tutto: film molto buoni, buoni, meno buoni e pessimi. La svolta è arrivata quando ho capito in che maniera dovevo utilizzare il mio corpo. Per uno con la mia fisicità, calarsi in un ruolo brillante non è facile, perché non sono buffo, non sono nato comico.

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Così ho dovuto sdrammatizzare il mio aspetto. Questa è stata la chiave. Col tempo ho cercato anche di migliorare come attore drammatico, anche perché ritengo che la commedia misurata sia il genere più difficile perché assomiglia alla vita reale. Ripenso ai grandi della commedia all'italiana, a Dino Risi, ad Ettore Scola, a Mario Monicelli, a mio padre. Facevano cose difficilissime, perché ridevano dei difetti e degli orrori. Ci facevano entrare in quei racconti in maniera leggera, per poi creare un effetto dirompente quando ne cogli la morale. Sembrano tutti film girati dopodomani, per lungimiranza e la capacità di mettere in scena tipologie umane universali". Dopo la coscienza di sé, però, arriva il momento dello stacco definitivo dall'ombra paterna, con il film che fa cadere definitivamente l'etichetta del "figlio di": "Il film della svolta, per me, è stato Il bagno turco di Ferzan Ozpetek. Un film importantissimo per la mia carriera. Era un progetto in cui credevano in pochi, perché alcuni attori rifiutarono quel ruolo, con la paura che un personaggio omosessuale potesse essere dannoso per la loro carriera. Meno male che ci sono un sacco di scemi".

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Il futuro è in viaggio

Gli ultimi saranno ultimi: Alessandro Gassman in una scena del film
Gli ultimi saranno ultimi: Alessandro Gassman in una scena del film

Padre di un ragazzo 18enne, Alessandro Gassmann svela anche il suo modo di essere genitore: "Lui non vuole fare l'attore, né io voglio costringerlo a farlo. È uno sportivo vero. Ammetto di essere anche io un padre severo, perché credo che i genitori non possano essere amici dei propri figli. Dobbiamo stagli un po' sulle palle, ma io per primo sono uno che dispensa abbracci. Ora che è maggiorenne posso dire che il nostro rapporto è salvo, un rapporto nel quale ho cercato di evitare tutti gli errori che sono stati commessi quando io sono stato figlio. Sicuramente, però, ne avrò commessi di altri". Dopo il suo esordio alla regia di 4 anni fa con Razzabastarda, Gassmann ammette di provare piacere nel raccontare storie e nell'aver scoperto una passione per la regia. Così, un po' a sorpresa, condivide con il pubblico alcune anticipazioni del suo secondo film, le cui riprese inizieranno il prossimo 8 maggio: "Racconta di viaggio divertente e toccante fatto da una famiglia piuttosto stramba, che parte Roma per arrivare a Stoccolma. Il capostipite è un vecchio signore anziano, un letterato un po' taciturno, interpretato da Gigi Proietti. Lo trovo una macchina attoriale perfetta che al cinema ha un talento drammatico ancora inespresso, per questo gli ho affidato questo personaggio profondo e per certi versi anomalo. Gli altri attori sono Rocco Papaleo e Anna Foglietta. Gireremo anche in Danimarca e in Svezia". Il saluto finale, sincero e affettuoso, ritorna sul confronto onnipresente e imprescindibile con papà Vittorio: "La verità è questa. Ci tengo che qualcuno un giorno non dica mai: è esistito il grande Vittorio, e invece il figlio...". Gli applausi del pubblico di Bari erano lì a dirgli di non preoccuparsi.