Il melò di per sé non è sinonimo di forzato o di kitsch. Forse, a ragione, temevano questo il regista Claudio Cupellini, che aveva dato ottima prova col suo secondo film Una vita tranquilla, e il sempre talentuoso Elio Germano, quando dichiaravano che Alaska doveva essere viscerale, "di pancia, di cuore", "spudoratamente romantico". Tutti elementi che potrebbero attrarre, tanto più se uniti a un valido cast e a una regia che non pecca certo di dilettantismo.
Anche il titolo, Alaska, è scelto con stile: Alaska come il paese lontano per antonomasia, che sembra irraggiungibile al pari della felicità. E come il nome del locale alla moda di cui il protagonista diventa socio. Un nome che evoca freddo, com'è fredda la solitudine in mezzo alla gente: male di cui soffrono Fausto (non è un caso che la sua sfrenata e deleteria ambizione assomigli a quella del dottor Faust), Nadine e Sandro, il socio di Fausto abbandonato da tutti. Il problema di Alaska, presentato nella selezione ufficiale dell'ultima Festa del Cinema di Roma, non risiede nel titolo, né nel cast, né nel gelo sconsolato che imbeve il film, con quei rari spiragli che trovano conforto nell'amore. Ciò che trasforma la tenerezza in ridicolo s'insinua nella sceneggiatura fin dall'inizio.
La storia struggente tra Fausto e Nadine
Nadine è un'affascinante ventenne francese, che partecipa controvoglia a una selezione per modelle (straniante quella sfilata di fianchi esangui e ombelichi biancastri, a sottolineare che moda e sensualità sono realtà ben distinte), e imprevedibilmente la vince. Sul terrazzo dell'hotel in cui si svolge la selezione incontra Fausto, cameriere italiano che vivacchia a Parigi e nel frattempo sogna di diventare maître. Dalla pausa sigaretta Fausto non riemergerà più: con un ardire inaccorto per chi spera di far carriera nell'alberghiero, il giovane propone alla bella francesina di visitare insieme la suite più costosa dell'hotel. E come il buonsenso prevedeva, il legittimo inquilino torna senza preavviso e vuole chiamare la direzione. Nadine lo aggredisce, continuando così la lunghissima sequela di sbagli ampiamente evitabili; Fausto per difenderla lo aggredisce a sua volta, ma in maniera ben più violenta. L'incontro fra Nadine e Fausto sembra quindi nato parimenti sotto il segno della sfortuna e delle scelte più assurde: fra loro non ci sono state conversazioni rivelatrici, né sguardi toccanti o silenzi struggenti.
Siamo lontanissimi da quella nottata romantica, trascorsa a confidarsi e a filosofeggiare, che avevano vissuto Jesse e Céline in Prima dell'alba: due sconosciuti, uniti dal modo di sentire le cose, che sognano di rivedersi. In Alaska assistiamo solo a una nuotatina in piscina, a qualche apprezzamento banale di Fausto, e a una colluttazione che gli procurerà due anni di carcere. Si sarebbero dovuti tenere accuratamente alla larga l'uno dall'altra, ma in cella la vita è lunga, quindi che Fausto ripensi con nostalgia a Nadine è piuttosto credibile. Molto meno che, dopo due anni in cui non ha mai risposto alle sue lettere, Nadine si presenti fuori dalla prigione, sopporti un'altra violenta scenata di Fausto, gli confidi di aver pensato a lui ogni giorno e lo accolga nella sua vita milanese da modella ormai affermata. E siamo solo agli inizi: che i protagonisti non dicano che erano impreparati a un futuro non esattamente roseo.
Cos'è veramente la felicità
In realtà la prima parte può perfino incuriosire. Merito della recitazione di Elio Germano, dello sguardo carezzevole di Astrid Berges-Frisbey, e di musiche che s'intrecciano con naturalezza alle scene che accompagnano. Dagli Interpol ai Blonde Redhead, i brani musicali non stonano mai e segnano, a film inoltrato, il punto forse più riuscito: le Supremes cantano significativamente My World Is Empty Without You, e intanto Sandro disteso sul divano maneggia una pistola e una fetta di crostata ai mirtilli, indeciso su come si svolgeranno i successivi minuti della sua vita. Sandro, un Valerio Binasco adattissimo al ruolo, è il personaggio più patetico e il più approfondito, diviso tra una boria da parolaio arricchito e una fragilità da amico leale e lasciato solo. Anche Fausto e Nadine sono soli: è ciò che presumibilmente li unisce fin dall'inizio. Ma nonostante siano i protagonisti, con loro ci sentiamo meno indulgenti: forse perché li conosciamo poco, non sappiamo nulla del loro passato, e assistere a errori sistematici senza capirli alla lunga ci esaspera e non stimola alcuna empatia. Sarebbe stato interessante invece scavare più a fondo in quell'urgenza di emancipazione che muove Fausto, e nel suo inesauribile bisogno di smarcarsi dalla povertà anche quando la ruota gira a suo favore. E sarebbe stato importante capire un po' meglio Nadine: perché sia tanto sola e cosa la spinga tra le braccia di un ex galeotto irascibile, che come vero merito ha quello di tornare sempre da lei. Così le continue direzioni che il film prende risultano eccessive e pretestuose, quasi Alaska volesse dimostrare a nostro discapito che, in un mondo gelido in cui la solitudine non risparmia nessuno, le vere ancore non sono popolarità e ricchezza: solo i sentimenti possono salvarci.
Nonostante questo, il finale didascalico intenerisce. Chiude il film con una struttura ad anello, che sottolinea come Fausto e Nadine siano alternatamente vessati dalla fortuna, che le vette di uno coincidono con l'abisso dell'altra, e soprattutto che quasi a turno compiono le scelte più stupide. Ma in quel dialogo in prigione, il primo veramente romantico che approfondisce almeno le motivazioni di Fausto, forse ripensiamo a La moglie del soldato, forse no, ma per la prima volta sentiamo i protagonisti un po' più vicini.
Movieplayer.it
2.5/5