Considero me stesso nient'altro che un attore impegnato a trovare il prossimo ruolo e, quando l'ho ottenuto, a vedere se posso trovare un modo per entrarci.
Un attore consumato, allievo di Lee Strasberg ed erede della tradizione dell'Actors Studio. Una star suo malgrado, costretta a far convivere una celebrità leggendaria con un'estrema timidezza. Un volto e un nome entrati nell'iconografia del cinema americano, anche in virtù di film celeberrimi, a partire dalla saga de Il Padrino. Al Pacino, nato a New York il 25 aprile 1940, rappresenta tutto questo: una filmografia sterminata accanto alla passione mai sopita per il teatro; un'adolescenza e una gioventù turbolente e una carriera che, dopo i trent'anni, sarebbe esplosa con fragore assordante; l'indole gentile e insicura contrapposta all'immagine da 'duro' che caratterizza molti dei suoi personaggi... e alcuni di questi personaggi saranno appunto i protagonisti della nostra rassegna dedicata ai migliori ruoli di Al Pacino.
La carriera di Al Pacino, dalla New Hollywood a oggi
Nato a El Barrio, il quartiere ispanico di Manhattan, cresciuto nel Bronx con la famiglia materna (i suoi nonni erano immigrati siciliani), Alfredo James Pacino sperimenta i lati più oscuri e tormentati della vita newyorkese: ragazzo spiantato, con pochissimi soldi in tasca (talvolta è costretto a dormire per strada o in qualche teatro vuoto), ma con un amore per la recitazione che, negli anni Sessanta, lo porta a trovare una ragione di vita sui palcoscenici. Lui, così introverso, fa il suo debutto con la stand-up comedy (e in seguito non perderà occasione per scherzarci su), mentre affina il proprio talento da attore drammatico. Nel 1969 avviene il debutto sul grande schermo, un piccolo ruolo nella commedia Me, Natalie, ma il decennio a venire assisterà alla sua inarrestabile consacrazione.
Gli anni Settanta segnano infatti l'apogeo della New Hollywood e l'improvvisa fortuna di una nuova generazione di interpreti, ben lontani dai canoni dei divi del cinema classico: ad aprire la strada era stato nel 1967 Dustin Hoffman con Il laureato, e da lì in poi esplodono sulla scena Jack Nicholson, Robert De Niro e lui, appunto, Al Pacino. Lanciato nel 1971 da Panico a Needle Park di Jerry Schatzberg, scioccante affresco della tossicodipendenza e della vita di strada fra le vie di New York, nello stesso anno Pacino ottiene l'ambitissimo ruolo di Michael Corleone ne Il Padrino: è il regista Francis Ford Coppola, con una scelta di casting a dir poco ispirata, a lottare con le unghie e con i denti pur di far scritturare Pacino (alla Paramount avrebbero voluto un attore più popolare, come Ryan O'Neal). Il resto, come ben sappiamo, è storia.
Dalle collaborazioni con Jerry Schatzberg, Francis Ford Coppola e Sidney Lumet ai cult degli anni Ottanta, Cruising di William Friedkin e Scarface di Brian De Palma, Al Pacino si divide spesso fra i ruoli da poliziotto e quelli da criminale, conferendo però ad entrambe le categorie un senso di sottile inquietudine. Dopo il breve abbandono del set a metà decennio, ritorna sulla cresta dell'onda con nuove conferme della propria versatilità: per l'amico Warren Beatty impersona il cartoonesco villain Big Boy nel cinecomic Dick Tracy, si dedica alla commedia romantica con Paura d'amare e inanella un'altra serie di grandi film: Carlito's Way di De Palma, Heat - La sfida e Insider di Michael Mann, Donnie Brasco di Mike Newell, Insomnia di Christopher Nolan e, per la TV, una grandiosa performance nella miniserie di Mike Nichols Angels in America.
Una carriera ricchissima, impossibile da racchiudere in poche righe, ma all'interno della quale abbiamo provato a selezionare alcuni fra i ruoli più memorabili in film che sono diventati a tutti gli effetti dei classici del cinema americano, in un percorso che dai primi anni Settanta spazia fino ai tempi più recenti: di seguito ecco dunque un saggio del talento di un attore magnifico, di quelli che non potremmo mai smettere di amare.
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5. The Irishman (2019)
Abbiamo dovuto aspettare il 2019 (e il contributo finanziario di Netflix) per assistere finalmente a una collaborazione fra Al Pacino e uno dei massimi registi di sempre, Martin Scorsese, ma se non altro l'attesa è stata ampiamente ripagata: in The Irishman, fluviale biografia del sicario mafioso Frank Sheeran (Robert De Niro), Pacino ruba puntualmente la scena nei panni di Jimmy Hoffa, il famigerato leader sindacale legato a doppio filo alla criminalità. Un personaggio che permette all'attore di mettere a frutto il proprio istrionismo ben temperato: la sfacciata arroganza, il ruvido carisma, ma pure il senso di genuino affetto e di limpida fiducia nei confronti dell'amico Frank. E al fianco di un De Niro sapientemente sotto le righe, Al Pacino dà vita ad alcuni duetti recitativi da pelle d'oca, inclusa la struggente telefonata tra Frank e Jimmy e la scena del loro ultimo incontro. E per The Irishman, a ventisette anni di distanza dalla sua penultima candidatura, Pacino si è guadagnato la nona nomination all'Oscar della propria carriera.
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4. Profumo di donna (1992)
Remake dell'omonimo classico di Dino Risi del 1974, basato a sua volta sul romanzo Il buio e il miele di Giovanni Arpino, Profumo di donna, diretto da Martin Brest nel 1992, è la pellicola che è valsa finalmente ad Al Pacino il premio Oscar come miglior attore, oltre a un Golden Globe. Perché in questo film, Pacino ha modo di sfoderare un'intensità e un magnetismo che strappano l'applauso a più riprese nei panni del tenente colonnello Frank Slade, ufficiale in pensione che ha perso la vista: un individuo burbero ed eccentrico, affidato per un weekend alle attenzioni di Charlie Simms (Chris O'Donnell), timido studente di un prestigioso college del New England. Dagli scatti di collera alle innumerevoli bizzarrie, dalla passione per le donne alla solitudine ben celata, in Profumo di donna Al Pacino si produce in una performance esplosiva, che culminerà nel finale in uno strepitoso monologo in difesa di Charlie.
3. Il Padrino (1972)
Perfino con una filmografia così vasta e ricca, il nome di Al Pacino resta legato soprattutto a un personaggio: Michael Corleone, il figlio più giovane del boss don Vito Corleone (Marlon Brando), ma destinato a succedergli sul trono di sangue del suo impero criminale. Pacino indossa per la prima volta gli abiti di Michael nel 1972, nella trasposizione del romanzo di Mario Puzo ad opera di Francis Ford Coppola, dando vita a uno dei più grandi eroi tragici negli annali del cinema: il suo Michael è il giovane uomo introverso che tenta di prendere le distanze dalla propria famiglia e dall'ingombrante ombra paterna, ma anche il 'delfino' ambizioso e vendicativo che si scaglia con furia implacabile contro i suoi avversari. E ne Il Padrino, che gli è valso la prima nomination all'Oscar, Al Pacino è perfetto nel mettere in scena la lenta trasformazione di questo oscuro antieroe.
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2. Il Padrino, parte II (1974)
Se ne Il Padrino Michael Corleone incarna la forza sanguinaria di un personaggio shakespeariano, due anni più tardi, ne Il Padrino, parte II, il boss del clan dei Corleone assume una statura ancora più spaventosamente tragica: è un sovrano delle tenebre prigioniero della propria solitudine, un'anima dannata che sta generando il vuoto tutt'attorno a sé. E Al Pacino, con una performance ancora più sommessa e trattenuta, ne fornisce un ritratto indimenticabile e da brivido, meritandosi un'altra nomination all'Oscar come miglior attore. Nel 1990, Pacino sarebbe tornato a impersonare un'ultima volta Michael Corleone nel capitolo finale della trilogia di Coppola, Il Padrino, parte III.
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1. Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)
Un terzetto di rapinatori improvvisati, un piano andato storto fin da subito e una logorante trattativa con la polizia: sono gli ingredienti di Quel pomeriggio di un giorno da cani, uno dei capolavori di Sidney Lumet, che nel 1975, a due anni dal cult poliziesco Serpico, consente ad Al Pacino di mettere in scena la performance più stupefacente di tutta la sua carriera. Nei panni di Sonny Wortzik, criminale alle prime armi che dà voce alla frustrazione della folla al grido di "Attica!" (il penitenziario teatro di una celebre rivolta nel 1971) e si sforza di trovare una via d'uscita in una situazione disperata, evitando spargimenti di sangue, Pacino disegna un personaggio-simbolo del cinema della New Hollywood, nonché una delle icone del ribellismo anti-establishment degli anni Settanta.
Ma il suo Sonny è anche una figura umanissima di cui l'attore, ricompensato con il BAFTA Award e la nomination all'Oscar, mette in risalto in maniera superba fragilità e contraddizioni: basti vedere il dialogo telefonico con la sua amante transgender, Leon Shermer (l'esordiente Chris Sarandon), in cui la rabbiosa intensità di Sonny cede il posto a una quieta, rassegnata dolcezza.
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