Aki Kaurismäki e L'altro volto della speranza: in assenza della politica, riscoprire l'umanità

L'altro volto della speranza di Kaurismäki offre una stimolante e originale riflessione sull'attuale situazione dell'Europa e sulla drammatica questione dei rifugiati. Qui vi proponiamo una nostra approfondita analisi del film.

Dopo il successo all'ultimo festival del cinema di Berlino, arriva nelle sale italiane l'ultimo film di Aki Kaurismäki, L'altro volto della speranza, che affronta l'attualissima e spinosissima questione dei rifugiati con equilibrio, coraggio e ironia. Si tratta di un vero e proprio regalo del regista finlandese ad un'Europa sempre più sfiduciata e paranoica, perché L'altro volto della speranza è senza dubbio il film sui rifugiati di cui il 2017 aveva bisogno. Non solo per la leggerezza che non si traduce mai in superficialità, per l'intensità che non cede al patetico, per la satira che non scade nella faziosità, ma soprattutto per un dato che potrà forse sembrare paradossale: la sua decisa apoliticità. Con L'altro volto della speranza, Kaurismäki riesce dove ogni anno decine di registi falliscono: affrontare la questione politica più delicata, ma proprio per questo anche più "alla moda", del momento senza cadere nel militantismo spicciolo, senza quella mistica della politica che tanto affascina molti registi e critici, e che da sano esercizio critico finisce col diventare schermo oscurante nei confronti di ogni altra dimensione, da quella estetica a quella esistenziale.

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Khaled e le sue disavventure finlandesi

L'altro volto della speranza: Sherwan Haji in una scena del film
L'altro volto della speranza: Sherwan Haji in una scena del film

Prima di chiarire il senso preciso di questa apoliticità, sarà utile riassumere brevemente la trama del film, che siamo costretti a spoilerare senza pietà, perché è solo dal suo insieme che traspare il senso. L'altro volto della speranza racconta di due vicende separate che finiscono con l'incrociarsi: Khaled, rifugiato siriano arrivato in Finlandia via mare dopo aver praticamente attraversato mezza Europa a piedi, si vede rifiutare il permesso di soggiorno da una burocrazia ottusa e disumana. Evaso dal centro di accoglienza per evitare il rimpatrio forzato, finisce a vivere in un cartone dietro ai bidoni dell'immondizia del ristorante di Wikstrom, ex commesso viaggiatore da poco riconvertitosi in ristoratore, dopo aver lasciato matrimonio e lavoro e aver comprato la più improbabile e sgangherata delle bettole di Helsinki. Grazie all'aiuto di Wikstrom, Khaled riuscirà non solo ad evitare la fame e la polizia ma anche a realizzare l'unica missione che pare ormai tenerlo in vita: far arrivare in Finlandia la sorella dispersa in Europa, per offrirle almeno la speranza di un futuro migliore, benché lui stesso a questa stessa speranza non sembri più credere. Una disillusione, quella del protagonista, che del resto si rivela tristemente profetica, perché Khaled finisce accoltellato da un balordo nazionalista davanti alla porta dello scantinato in cui vive. Ferito a morte, il giovane trova comunque la forza di dissimulare il suo stato e accompagnare la sorella all'ufficio immigrazione, affidandola alle cure di un sistema che pure lo ha amaramente deluso, per poi andarsene a morire, la serenità degli eroi negli occhi e la straniante, agrodolce allegria dell'ennesimo rock-blues finlandese ad accompagnare lui e noi verso i titoli di coda.

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Quel finale surreale che rimanda a Drive

L'altro volto della speranza: Sherwan Haji circondato da personaggi poco raccomandabili
L'altro volto della speranza: Sherwan Haji circondato da personaggi poco raccomandabili

Un finale che agisce retrospettivamente sull'insieme del film, dando un senso compiuto all'intera vicenda e ai suoi più piccoli dettagli. A più di uno spettatore sarà senz'altro venuto in mente il finale di Drive, e il modo in cui Refn saluta il personaggio interpretato da Ryan Gosling su una rilassante, anestetica melodia, che scandisce in modo ipnotico "A real human being, and a real hero". Una scelta tutt'altro che casuale, che serve proprio ad esplicitare, fino ai limiti del didascalico, che la storia non finisce male come potrebbe forse sembrare, e che il vero vincitore è proprio il Pilota, perché è il vincitore morale, nel senso più classico e manicheo che questa nozione può assumere. Concepito e girato su tutt'altro registro, L'altro volto della speranza finisce in fondo allo stesso modo: Khaled viene ucciso, ma muore da eroe, in un momento di tale consacrazione estetica da far apparire impotente e ridicola la pugnalata del suo assassino. Come a dire: a nulla valgono i colpi di un destino avverso, davanti alla superiore serenità dell'uomo giusto.

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Oppure, passando dal piano della filosofia morale a quello dell'attualità politica: tutta la xenofobia e la violenza di questo mondo non basteranno a scalfire la vittoria di coloro che, da entrambi i lati della frontiera, sono ancora capaci di un gesto autenticamente umano, di un atto eroico che ha il suo premio in se stesso, più ancora che nei suoi risultati. Il sacrificio di Khaled sancisce in maniera inequivocabile il suo trionfo, anche se in fondo nulla sappiamo delle sorti di Myriam, e anzi la stessa vicenda di suo fratello lascia pensare che i guai per lei potrebbero essere tutt'altro che finiti. Eppure, nel semplice fatto di aiutare un altro essere umano a sopportare la sua pena, nel semplice altruismo di un gesto autenticamente morale, Khaled consuma già la sua definitiva rivincita sugli orrori della guerra e sull'ostilità dell'Europa, perché malgrado tutto nessuno è riuscito a togliergli la sua umanità.

La natura apolitica dell'opera di Kaurismaki

The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki a Berlino
The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki a Berlino

Ora, questa storia individuale, questa riflessione morale, non si traducono forse ipso facto in una presa di posizione politica?
"Sfortunata è la terra che ha bisogno di eroi", si potrebbe concludere con Bertold Brecht. È innegabile, del resto, che all'eroicità e all'umanità di Khaled il regista intenda contrapporre la barbarie del nazionalismo più becero, e soprattutto l'ottusità e l'inefficacia dell'apparato burocratico finlandese. Kaurismäki ci presenta a questo proposito una satira pacata ma feroce, che si fa beffe dell'astratta legalità finlandese contrapponendole la figura di un eroe abusivo, che anzi da vittima diventa eroe proprio nel momento in cui smette di lasciarsi trasportare dalla burocrazia, proprio nel momento in cui sconfina definitivamente nel campo dell'illegalità. Questa ribellione contro lo status quo, sia essa la storia di un'azione collettiva o quella di un martire isolato, non rappresenta forse la quintessenza di un discorso a tutti gli effetti politico? Perché allora esaltare L'altro volto della speranza proprio in quanto opera apolitica?

L'altro volto della speranza: Sakari Kuosmanen in una scena del film
L'altro volto della speranza: Sakari Kuosmanen in una scena del film

È a questo punto che entrano in gioco non solo Wikstrom, ma anche tutta la miriade di personaggi secondari che, pur non toccando loro la definitiva consacrazione di una morte eroica, sono a tutti gli effetti i veri protagonisti del film.
Il primo colloquio di Khaled al centro di accoglienza è in questo senso un preludio al film stesso: "delle persone per bene mi hanno aiutato" spiega il giovane ad un'incredula funzionaria, quasi per legittimare e rendere verosimile il racconto di un viaggio talmente burrascoso da apparire letteralmente incredibile. Fanno così rapidamente capolino alcuni dei suoi occasionali benefattori: suo suocero in Siria, il marinaio che lo fa imbarcare di nascosto sulla nave per Helsinki, e tutte le altre "brave persone" evocate con evidente riconoscenza, anche se lasciate anonime. Non è un caso che la storia di Myriam, raccontata alla fine del film, evochi anch'essa, con non minore gratitudine, una famiglia afghana che si è presa cura di lei e l'ha salvata, in un racconto per molti versi speculare a quello di Khaled. La trama del film, che si sviluppa tra questi due racconti, è magistralmente architettata per ribadire continuamente questo principio essenziale: con tutta la sua caparbia, con tutta la sua commovente abnegazione, il nostro eroe non sarebbe andato lontano senza l'aiuto di qualche "brava persona".

The Other Side of Hope: una scena del film di Aki Kaurismaki
The Other Side of Hope: una scena del film di Aki Kaurismaki

Wikstrom è il più complesso e il più approfondito di questi buoni samaritani, ma un ruolo decisivo lo giocano anche il suo compagno di rifugio, che lo consola e lo consiglia, l'infermiera che lo aiuta ad evadere dal centro, i barboni che gli salvano la vita quando viene aggredito per la prima volta, i suoi colleghi che ne prendono le difese quando uno di loro evoca la possibilità di consegnarlo alle autorità... e ancora, il camionista che aiuta la sorella ad entrare clandestinamente nel paese, rifiutando parte del compenso offerto da Wikstrom. È questo il filo conduttore del film, "l'altro volto" della speranza: un volto che è innanzitutto quello delle "brave persone" che sono pronte ad aiutarsi l'un l'altra. Malgrado un tema drammatico e una storia dal finale amaro, Kaurismäki sembra volere innanzitutto riaffermare, a costo di sembrare naïf, che si può sempre "confidare nella gentilezza degli sconosciuti". In un certo senso, Khaled non fa altro che giocare nella storia della sorella il ruolo che Wikstrom gioca nella sua, in uno scambio di ruoli che non è casuale, ma anzi costituisce il cuore di quella apoliticità di cui si parlava: in un mondo dominato dalla barbarie (il fanatico che uccide Khaled) e dall'interesse (il furbacchione che lascia a Wikstrom un ristorante fallimentare spacciandolo per buon affare) la risposta della politica non sa andare al di là di una astratta, ottusa legalità incapace di discernere e comprendere il dramma umano al di là delle scartoffie.

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In assenza della politica, riscoprire l'umanità

The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki e Sherwan Haji a Berlino
The Other Side of Hope: Aki Kaurismaki e Sherwan Haji a Berlino

Una politica, per di più, che non solo si perde dietro a questo vuoto formalismo, ma non riesce nemmeno ad applicarlo in maniera efficace: Khaled riesce a sfuggirle in diverse occasioni, e spesso non serve più che un pezzo di carta stampato in casa o nascondersi in uno sgabuzzino. Davanti ad un paladino della Giustizia tanto inadeguato, molti intellettuali impegnati hanno risposto, ancora una volta: "sventurata la terra che ha bisogno di eroi", auspicando una politica diversa, che sappia dare al cittadino il sostegno indispensabile per migliorare le cose, anziché affibbiargli un fardello insostenibile e anzi appesantito dalla sua stessa inefficienza. Il dramma della guerra e dei rifugiati è il caso emblematico di un problema che non conosce soluzione individuale, ma solo soluzione politica. Pur non risparmiando un'aperta e lucida critica alla politica attuale, e a quella finlandese in particolare, Kaurismäki sembra indicare una soluzione diversa, magari provvisoria, ma non per questo meno urgente: non serve aspettare una nuova politica, ma riscoprire l'umanità. La politica non soppianta la morale, e anzi proprio la morale può fare molto anche nelle situazioni più drammatiche, come quella di Khaled. Possiamo essere tutti, in fondo, lo sconosciuto generoso di qualcun altro; abbiamo tutti, e quotidianamente, la scelta di agire come mostri o come persone decenti.

L'altro volto della speranza: Sakari Kuosmanen, Sherwan Haji e Hussein Simon Hussein Al-Bazoon in una scena del film
L'altro volto della speranza: Sakari Kuosmanen, Sherwan Haji e Hussein Simon Hussein Al-Bazoon in una scena del film

Preso atto della disastrosa situazione in cui versa l'ordine politico ed etico costituito, va da sé che "essere una persona decente" non può più significare semplicemente aderire acriticamente alla legalità e alle convenzioni; è per questo che la solidarietà dei piccoli eroi quotidiani di Kaurismäki passa quasi sempre per l'illegalità, e richiede quindi sia un rischio personale che uno sforzo continuo di discernimento critico. In un'epoca in cui l'individuo passa il suo tempo a deresponsabilizzarsi, attraverso i miti dei nuovi populismi e forme di partecipazione e azione politica sempre più blande e superficiali, come quelle offerte dai social network, L'altro volto della speranza riporta ognuno di noi alla sua personale responsabilità di individuo. Un individuo forse apolitico, perché non crede ad un'azione collettiva ideologicamente coordinata, ma non per questo amorale, perché siamo solo noi a scegliere, giorno dopo giorno, che persone vogliamo essere, e si può essere eroi anche quando si è circondati dalla barbarie.

L'altro volto della speranza: una scena del film
L'altro volto della speranza: una scena del film

Se poi quest'assunzione di responsabilità sia semplicemente una maniera di sopravvivere, o possa invece diventare il punto di partenza di una riforma della politica stessa, è questione complessa, su cui forse non è il caso di pretendere una risposta da un film. Quello che certamente L'altro volto della speranza mostra in maniera chiara è che in ogni caso senza queste istanze individuali non avremo mai altro che la grottesca caricatura di politica che Kaurismäki rappresenta così bene: una macchina inumana, stupida e inefficiente. Insomma, sfortunata la terra che ha bisogno di eroi, ma ancor più sfortunata è la terra che crede di poterne fare a meno.