Afire, la recensione: Petzold continua una trilogia di relazioni umane e sentimentali

La nostra recensione di Afire, nuovo film di Christian Petzold, in concorso alla 73^ edizione del Festival di Berlino, con la ormai musa Paula Beer a cui si affianca l'ombroso Thomas Schubert.

Afire, la recensione: Petzold continua una trilogia di relazioni umane e sentimentali

La scelta di Barbara, Transit - La donna dello scrittore, Undine, sono solo alcuni dei titoli realizzati dal regista tedesco Christian Petzold che hanno lasciato un segno negli spettatori europei ed internazionali alle edizioni della Berlinale dove sono stati presentati. Nella prima edizione della manifestazione, tornata a pieno regime di presenza e programma dopo l'ultima del 2020, dove, appunto, aveva presentato Undine, primo di una trilogia più intima, umana e presente seppur meno onirica, Petzold porta in concorso Afire (Rotem Himmel) con Paula Beer, ormai indiscussa musa del regista e Thomas Schubert, qui co-protagonista e punto cardine del film.

Afire: la trama del film di Christian Petzold

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Afire: una foto del film

In un giugno già afoso di un'estate tedesca, forse quella del 2022 a giudicare dal tema musicale portante, In my Mind, brano recentissimo dei Wallners, due amici Leon (Thomas Schubert) e Felix (Langston Uibel) vanno alla casa al mare di quest'ultimo, il primo per portare a compimento il suo secondo libro e l'altro per ultimare il portfolio per una scuola d'arte. Lì la loro routine si incontrerà con quella di un'altra ospite della casa dentro i boschi, Nadja (Paula Beer), amica di famiglia e da subito polo di attrazione e repulsione del nostro già tormentato Leon. Attorno a loro, a causa di una pioggia che sa farsi attendere, divampa il fuoco che illumina di rosso il cielo, come il titolo del film evoca. In questa recensione di Afire, vi accompagneremo dentro il nuovo racconto di un regista come Christian Petzold che non è mai uguale a se stesso e che qui diventa più terreno, legato agli elementi, al mare, al fuoco e che vuole sporcarsi letteralmente le mani, nel goulash versato tra l'erba, la lasagna fredda lasciata sul tavolo, lo spray antizanzare e un tetto che si sta sgretolando per il caldo. Anche la Nadja di Paula Beer, pur camminando comunque un po' sospesa da terra rispetto ai suoi comprimari, è più concreta e leggibile in paura, innamoramento e amore. Afire è una storia d'amore, di gelosie, fallimenti possibili ed effettivi e fa venire voglia di liberare la propria creatività, senza pregiudizi. Tra i migliori film di Petzold e i più memorabili della 73esima Berlinale.

Personaggi, persone, dettagli

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Afire: un'immagine del film

Petzold ci ha abituati a guardare alla sua musa, Paula Beer ed ai personaggi a lei regalati, come ad essere reali e onirici allo stesso tempo. Con questo stesso alone di mistero, Nadja fa la sua comparsa nel mondo di Leon, folgorandolo da lontano, mentre stende le lenzuola e si prepara ad andare a lavoro, dopo una notte di gemiti e sospiri in compagnia di Devid, aitante bagnino del luogo. Da quel momento in poi, il suo personaggio, pur rimanendo sempre con un piede nell'onirico e l'altro sulla terra, si unisce alla realtà delle persone e delle cose concrete che Petzold ci racconta anche senza metterle a fuoco. Le mosche e le vespe ronzano incessantemente, si sentono i versi dei cinghiali che popolano i boschi lì intorno, il sole brucia la pelle già a giugno sulla spiaggia, c'è la spesa da fare altrimenti non si mangia. In questa routine estiva così familiare per molti, Petzold racconta una persona, Leon, nelle sue idiosincrasie che sono così particolari ma leggibili, tattili. Nel suo interagire con Felix e Devid, diretto dal regista di Undine - Un amore per sempre, il Leon di Schubert diventa quasi un bambino timido bisognoso di attenzione e approvazione ma, in questo suo continuo negarsi la condivisione con gli altri, si guadagna l'immedesimazione dello spettatore. Non vorrebbe essere giudicato Leon ma si affretta a giudicare spesso, per poi ritrarsi quando si accorge di essersi fatto guidare da presunzione ed egocentrismo. Leon, ancor più che Feliz o Nadja è forse il personaggio più persona che Petzold abbia messo in scena finora. Meno affascinante ed enigmatico di quello di Franz Rogowski in Undine ma più raggiungibile .

Invidia della creatività

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Afire: una scena del film

C'è della poesia nel modo in cui Petzold rende comica, leggibile e tormentosa l'irritante invidia con cui il suo protagonista guarda alle persone attorno a sé, amici e oggetto del suo amore compresi. Nella sua lotta quotidiana interna per trovare la giusta chiave di scrittura del suo secondo romanzo, il cui titolo, Club Sandwich, è già promessa di fallimento, Leon trova le sue nemesi in chiunque abbia intorno. Mentre lui è in crisi creativa infatti, persino il bagnino Devid, che può vantare di aver collezionato un coinvolgimento sessuale e infatuante sia con Nadja che con Felix, riesce a costruire un racconto coinvolgente in una semplice chiacchierata a tavola. Petzold indugia sulle espressioni di Leon mentre il ragazzo sente che tutto rema contro di lui in quella sorta di egoismo che spesso l'essere artista porta con sé. "Non ruota tutto sempre intorno a te" gli rinfaccia Nadja all'ennesimo scontro, quando il giovane è entrato in un loop autoreferenziale. Afire ci mostra gioie e dolori del rapporto con le proprie abilità, i propri difetti e talenti.

Rituale di innamoramento

Tra le prime reazioni al film c'è stato chi ha detto che non succede granché in Afire fino al sessantesimo minuto e poi tutto scoppia. Senza troppi spoiler possiamo confermare che quell'ora passata a seguire il rituale di innamoramento tra Leon e Nadja, fatto di sguardi, litigi, confronti e di piccolissimi segnali che ricordano le cotte adolescenziali estive, serve da base per accogliere quegli ultimi quaranta minuti dove il fuoco metaforicamente e fisicamente divampa. Afire cambia ritmo, diventa una corsa all'ospedale, una fuga dalle fiamme, lutto, accidente, mare illuminato di notte, cenere che cade dal cielo, morte, rinascita e infine processo creativo che diventa terapeutico per superare l'idea di un amore che poteva essere e non è stato, per ricordare un momento felice, un amico fraterno, una vita possibile. Al secondo capitolo di una trilogia, dopo Undine, Christian Petzold mostra una lucidità e una verità senza artifici.

Conclusioni

A fine recensione di Afire di Christian Petzold concludiamo che con questo nuovo capitolo di una trilogia iniziata con Undine, il regista diventa ancora più abile nel raccontare relazioni umane e sentimentali nella loro poesia ed egoismo. Afire è ancora più centrato e concreto di Undine e per questo sua naturale evoluzione.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • Il Leon di Thomas Schubert è tanto irritante quanto vero, palpabile, comprensibile.
  • Parla di relazioni sentimentali ed umane con concretezza e poesia.
  • Paula Beer diretta da Petzold è sempre una certezza.

Cosa non va

  • Sembra fermarsi per un momento senza dire nulla.
  • Ha un finale desiderato ma prevedibile.