Recensione Cantando dietro i paraventi (2003)

Anche Olmi, insieme a Tarantino, affronta il doppio riferimento all'oriente e alla vendetta. Ma il risultato è quanto di più distante possa esserci dal regista americano. Olmi infatti realizza un'opera di grande bellezza visiva, e lascia il messaggio alle immagini più che alle parole.

Affondando in un dipinto

In questo 2003 in cui Tarantino mette in scena il Giappone, anche Ermanno Olmi prende spunto dall'oriente per il suo nuovo film, Cantando dietro i paraventi. Il tema è comune, la vendetta, ma ovviamente i modi in cui i due registi affrontano la materia è quanto di più antitetico ci possa essere.
Olmi mette sullo schermo un'antica storia cinese, la storia della vedova Ching (Jun Ichikawa), che decise di vestire i panni del marito ucciso, un pirata, e di continuare nella sua opera, colpendo tutto e tutti per i sotterfugi e i tradimenti che avevano portato alla morte del suo sposo.

Il regista utilizza per la messa in scena di queste vicende un doppio registro, come a segnare la doppia valenza degli avvenimenti: da una parte il mito, dall'altra la Storia con la s maiuscola. La scansione di questa dicotomia è lasciata al narratore (un bravissimo Bud Spencer, qui con la sua voce originale), che introduce la vicenda come una rappresentazione teatrale per gli occhi di uno sperduto studente occidentale capitato per sbaglio in un bordello, ma che compare anche come il vecchio capitano sulla nave della vedova Ching.

La pellicola infatti scarta spesso dalla scena essenziale del vecchio bordello a una raffigurazione dettagliatissima dei particolari e dei paesaggi. Olmi gioca spesso con la poesia delle immagini, concentrandosi sugli infiniti aspetti della vita corsara, sulla bellezza di una vela che si spiega o dell'acqua che si increspa, splendidamente coadiuvato dal direttore della fotografia Fabio Olmi. Il regista si avvale inoltre di una colonna sonora, composta da Han Yong, che supporta tutto il film e che accompagna le vicende e i suoni naturali; esempio ne è la splendida battaglia navale, in cui musica e colpi di cannone di fondono insieme all'effetto ottico dei lampi nel buio della notte.

Il risultato è un film di rara bellezza visiva, che preferisce affidarsi appunto alle immagini più che alle parole, dosate accuratamente nel racconto. Purtroppo ciò porta anche a una lentezza nella narrazione, soprattutto nella seconda parte, nonchè a una difficoltà per lo spettatore nel capire tutte le implicazioni di quello che vede. Questa grande operazione culturale trova quindi il suo ostacolo maggiore nella noia, che la renderà poco fruibile agli spettatori che non siano anche amatori incodizionati della pittura e delle silenziose gallerie d'arte.