Alla base c'è l'omonima piece teatrale, che il suo stesso autore Francesco Apolloni decide di adattare per il grande schermo cosceneggiandola insieme a Fabrizio Nardi e dirigendola. L'abito è quello del filone della commedia americana scollacciata e rocambolesca nel narrare catastrofici addii al nubilato, come ci insegnano bene alcuni dei titoli più rappresentativi dall'irriverente saga di Una notte da leoni a Crazy night o Le amiche della sposa, una tradizione che il cinema italiano almeno fino ad ora non aveva mai provato a esplorare. Il primo tentativo (come leggerete nella recensione di Addio al nubilato in uscita su Amazon Prime Video dal 24 febbraio), potrebbe proprio essere questo film: non solo, Apolloni declina la storia al femminile cercando di mettere in scena un racconto dissacrante nelle intenzioni, ma estremamente superficiale nella realizzazione, tanto da rimanere vittima degli stessi luoghi comuni da cui vorrebbe affrancarsi.
Una disastrosa "notte da leoni"
Al centro del film la storia di cinque amiche, che si danno appuntamento per festeggiare l'addio al nubilato di una di loro. Sono passati vent'anni da quando Linda (Laura Chiatti), Vanessa (Chiara Francini), Chiara (Antonia Fotaras), Eleonora (Antonia Liskova) e Akiko (June Ichikawa) sul finire degli anni '90 si facevano una promessa solenne: non diventare mai come le loro madri, non "fare le signore", con un mutuo da pagare e "la messa in piega fatta il sabato dal parrucchiere". Una polaroid avrebbe immortalato quel momento in cui cinque giovani donne si preparavano ad affacciarsi all'età adulta ognuna con le proprie ossessioni: morire prima dei 40 anni, rifarsi tutta o ingrassare troppo. L'unica certezza era che ci sarebbero state sempre l'una per l'altra, come si era fatta promettere Chiara.
È lei la sposa che, da San Francisco dove vive ormai da tempo, ha organizzato quello strano addio al nubilato, senza esserci: sarà una caccia al tesoro, con una serie di indizi lasciati qua e là, e che porteranno le quattro damigelle ad attraversare la città, in una nottata che terminerà proprio davanti al vecchio liceo.
La storia di Addio al nubilato si snoda sulle note di "Non sono una signora" di Loredana Bertè a fare da leitmotiv alle disastrose vicende delle protagoniste, mentre i festeggiamenti a bordo di una limousine che le porterà in giro a scorrazzare per la città, diventano un pretesto per ripercorrere un'amicizia ventennale e riportare a galla vecchi rancori e rapporti irrisolti. Ma al netto dell'esplorazione di una femminilità che si emancipa da modelli maschili e, più o meno ironicamente, prende coscienza di sé, il resto è un'accozzaglia di cliché e luoghi comuni sulle donne: insoddisfatte, confuse, a volte isteriche, represse e spasmodiche davanti al malcapitato spogliarellista di turno, complice qualche calice di troppo.
Senza contare una buona dose di volgarità gratuita tra le quali annega qualsiasi tentativo di riscatto. Un racconto che ha il sapore di una cartolina con tanto di messaggio affidato alla figura della Bertè che campeggia su un grande schermo nella notte di un luna park: "Usate bene il tempo, perché non sappiamo quanto ne avremo a disposizione. Io ho settant'anni e ancora non sono una signora!".
Un cast al femminile prigioniero dei cliché
La caratterizzazione dei personaggi latita e finisce per essere seppellita da quello che spesso si avvicina più ad una caricatura che non a una definizione accurata delle figure femminili: Chiara la femminista, Linda la fotografa, Vanessa l'aspirante attrice con un matrimonio fallito alle spalle e una figlia a cui badare, Eleonora la Life Coach che dispensa consigli sul sesso, Akiko, l'integerrima, che al seguito di un maestro spirituale "de noantri" ha sposato i principi della filosofia orientale, crede di essere un fenicottero e se ne va in giro con tanto di maialino al guinzaglio.
C'è il politicamente scorretto, c'è il trash cercato e usato con intento dissacratorio, ma manca l'irriverenza dura e pura: la scrittura rende i ruoli prigionieri di schematismi e dinamiche preconfezionate, è prevedibile, non brilla e spesso soffoca qualsiasi sforzo di uscirne fuori da parte delle attrici, che pure ci provano ognuna con il proprio registro. Comiche, divertite, anarchiche e a tratti elegantemente ironiche: è un peccato che non abbiano potuto dare al film più di quanto il testo non gli imponesse di fare.
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Conclusioni
Come abbiamo spesso ribadito nella recensione di Addio al nubilato, il film di Francesco Apolloni rimane un esperimento interessante, ma solo nelle intenzioni. Peccato che l'intero racconto finisca per perdere strada facendo i toni dissacranti a cui aspirerebbe e che si ritrovi prigioniero del trash, che vorrebbe invece usare in senso dissacratorio. Mentre la narrazione al femminile abusa di cliché e luoghi comuni, che vanificano ogni buona premessa.
Perché ci piace
- L'idea di rispolverare un genere sconosciuto al nostro cinema: quello della commedia americana su catastrofici e scollacciati addii al nubilato.
- La scelta di declinare l'intera vicenda al femminile.
Cosa non va
- Una narrazione dissacrante nelle intenzioni, ma estremamente superficiale nella realizzazione, tanto da rimanere vittima degli stessi luoghi comuni da cui vorrebbe affrancarsi.
- La pioggia di volgarità spesso gratuite, che affogano qualsiasi tentativo di un racconto della femminilità affrancata da modelli maschili.